Il Fondo Monetario Internazionale alleva la super-razza dei competenti
di COMIDAD (Redazione)
A differenza di molti Paesi cosiddetti ”in via di sviluppo”, l’Italia non è assolutamente indebitata con il Fondo Monetario Internazionale. Semmai è il FMI a dipendere finanziariamente dall’Italia per circa il 3% delle quote di partecipazione, che sino a qualche tempo fa corrispondevano ad una quindicina di miliardi e che, con gli ultimi versamenti, sono diventati una ventina.
La barzelletta corrente denomina queste quote versate al FMI come “diritti speciali di prelievo” (DSP), poiché i “detentori” delle quote stesse avrebbero la facoltà di richiederle e riutilizzarle in proprio. Colei che oggi viene presentata come la Presidente del Consiglio in pectore (Mattarella permettendo), tra il 2020 e il 2021 propose che l’Italia ricorresse a quei DSP. Le rispose Carlo Cottarelli, ex dirigente del FMI per le politiche fiscali: l’Italia quei soldi se li può scordare, poiché ormai il FMI se li è presi e se li usa per ricattare i Paesi poveri. Nel dibattito televisivo con la Meloni, Enrico Letta ha rinfacciato quell’episodio alla sua rivale. La Meloni saprà però certamente redimersi da quell’ingenuo errore di gioventù ed allinearsi non solo ai voleri della NATO (cosa che il suo partito ha sempre fatto) ma anche del FMI. La Meloni è così pompata dai media perché è una Pierina che dal banco battibecca coi professori facendosi forte della protezione del preside, e che sa imparare alla svelta quali siano i deretani da prendere a calci e quali vadano invece lustrati a dovere. Una volta la carriera di Giorgia non sarebbe andata oltre il grado di rappresentante di classe o d’istituto, ma oggi è la democrazia scolastica a fare da paradigma alla democrazia parlamentare.
A proposito di deretani che contano, ci sono una serie di indizi che dovrebbero mettere sull’avviso per quanto riguarda l’effettivo ruolo delle organizzazioni sovranazionali nei confronti di Paesi come l’Italia. Gli ultimi due presidenti della maggiore banca italiana, Unicredit, non sono soltanto due ex ministri dell’Economia e Finanze, ma entrambi provengono dalla carriera interna al FMI. Fabrizio Saccomanni buonanima, ministro nel governo Letta, era distaccato al FMI per conto della Banca d’Italia. Il suo successore alla presidenza di Unicredit, Pier Carlo Padoan, era stato suo successore anche al Ministero dell’economia, nei governi Renzi e Gentiloni. Padoan proveniva a sua volta dal FMI, dove aveva svolto la funzione di direttore esecutivo per l’Italia; successivamente lo stesso Padoan ha svolto l’incarico di vicesegretario e di capo-economista presso un’altra organizzazione sovranazionale, l’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo. Se si considera che anche Mario Draghi ha ricoperto un ruolo dirigenziale nella Banca Mondiale, la sorella minore del FMI, si può notare che nel curriculum di porte girevoli degli oligarchi della finanza non manchi quasi mai l’appartenenza nella prima fase della carriera ad uno di questi organismi sovranazionali.
Ovviamente il FMI non è onnipotente e talvolta i suoi ex appartenenti si rivelano degli sfigati irrimediabili, come Carlo Cottarelli; ma si può essere certi che il marchio FMI lo renderà ancora riciclabile.
Le lobby si formano appunto in questa trasversalità delle carriere tra pubblico e privato, tra nazionale e sovranazionale, per cui le oligarchie locali vantano sempre sponde e agganci all’estero. In definitiva è proprio il loro conflitto di interessi ad accreditare gli oligarchi di un alone di “competenza”, elevandoli all’Olimpo di una sorta di super-razza degna di detenere il potere politico e finanziario; ciò in nome di capacità che sono presunte e desunte esclusivamente sulla base delle carriere personali e delle aderenze internazionali, non degli effettivi risultati economici, che invece risultano regolarmente disastrosi. Paradossalmente il successo di un oligarca non consiste nello scongiurare le emergenze bensì nel provocarle.
Il ruolo di centrale del lobbying finanziario svolto dal FMI è stato particolarmente evidente nel caso della devastante bolla dei titoli ESG (Environmental, Social, Governance), cioè la finanza indirizzata agli investimenti verso l’economia cosiddetta “sostenibile” e “green”. Fu Christine Lagarde, all’epoca direttore del FMI, a promuovere l’influencer dei social Greta Thunberg (un’altra Pierina) al rango di interlocutore dei potenti in materia di ambiente e di riscaldamento globale. I soliti imbecilli di mestiere si sono incaricati di conferire l’etichetta di teorico della cospirazione a chiunque notasse questa evidenza, come se il fatto non fosse rilevante in sé e necessitasse per forza di una dietrologia per assumere significato. La tecnica infallibile dell’imbecille professionista è quella di porre sempre una domanda in più del necessario, in modo da ignorare il dato oggettivo e creare confusione con falsi problemi, come appunto l’attribuire per forza una dietrologia ad ogni constatazione di un dato di fatto. Lo schema ricorrente è quello del famoso aforisma attribuito ad Harry Truman: “Se non puoi convincerli, confondili”.
Volente o nolente, infatti Greta è stata usata come testimonial pubblicitario dei titoli ESG, della finanza “green”. Il 22 aprile 2021, in occasione della Giornata della Terra, il quotidiano confindustriale “Il sole-24 ore” titolava: “Generazione Greta ed Europa spingono per una finanza più sostenibile”.
Poi tutta questa manfrina della finanza green si è rivelata per quello che era: una speculazione al ribasso sui titoli dei combustibili fossili, per poi rastrellare quegli stessi titoli. Il fondo di investimento che ha spinto maggiormente sulla finanza “green” è stato Blackrock, ed è lo stesso fondo che detiene 82 miliardi di investimenti nel carbone ed altri 468 miliardi nel gas e nel petrolio.
Fonte: http://www.comidad.org/dblog/articolo.asp?articolo=1118
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