Calore e partecipazione all’evento “Il giornalismo non è un crimine – Voci libere per Julian Assange” che si è svolto ieri, giovedì 29 settembre, a Roma, al Nuovo Cinema Aquila, per parlare ancora una volta di Julian Assange e del suo procedimento giudiziario.
L’incontro è aperto dall’associazione di volontari Free Assange Italia, presenti anche AmnestyInternational Italia e La mia voce per Assange, comitato che contribuisce all’iniziativa lanciata dal Premio Nobel Pérez Esquivel per la libertà del fondatore di WikiLeaks.
A moderare le voci sul palco il giornalista Vincenzo Vita.
Tra i partecipanti il giornalista Gianni Barbacetto, il diplomatico Enrico Calamai, il regista Franco Fracassi, la senatrice Barbara Lezzi e altri.
Appelli accorati anche dagli attori Laura Morante e Moni Ovadia.
IL GIORNALISMO NON È UN CRIMINE, L’EVENTO ROMANO PER ASSANGE
La portavoce di Free Assange Italia, Marinella Diaz, spiega che Assange è prigioniero in una cella di 3 metri per 2 e da tre anni è sottoposto a torture psicologiche, in isolamento anche per 23 ore al giorno e privato luce naturale. Uno spazio angusto e una condizione di sevizia inaccettabile in uno stato europeo.
Il primo intervento è quello di Sara Chessa, giovane e combattiva penna di Independent Australia che spiega alla platea come si stanno muovendo i legali di Assange.
Il procedimento giudiziario americano è diverso dal nostro e non riprenderà prima di dicembre perché a giugno sono stati presentati 4 motivi di ricorso aggiunti ad altri 12 motivi di ricorso contro la sentenza in primo grado; ma per rispondere a questi punti è necessario un certo periodo di tempo. Poi Assange tramite team legale potrebbe avere la possibilità di rispondere.
I giudici dell’Alta Corte saranno chiamati a decidere se concedere l’appello e per quali punti e in tale fase si potrà valutare il ricorso presso la Corte Europea dei Diritti Umani, ma solo dopo che sono stati esauriti i gradi di giudizio in Gran Bretagna.
Se viene concesso ci vorrà almeno un anno, periodo durante il quale resterà ancora in carcere.
Dunque, non si prevede un esito veloce della vicenda.
Il microfono poi è passato a Fulvio Grimaldi, giornalista e scrittore: “Assange è una bandiera della libertà, non solo di stampa, ma della libertà in senso assoluto, gravemente minacciata oggi in Occidente.
Beato il paese che non ha bisogno di eroi, diceva Bertold Brecht, ma beati i paesi che hanno eroi come Assange, dico io.
I carcerieri di Assange non sono solo la polizia penitenziaria, sono i giornali mainstream, sono tutti coloro che rinnegano la deontologia e la morale del loro lavoro.
Assange è un baluardo contro la civiltà ipocrita delle democrazie occidentale che hanno subito restrizioni di genere negli ultimi anni”.
Alberto Fazolo ha ripreso un tema emerso durante il dibattito e “a me molto caro: chi sia o non sia giornalista. In Ucraina ha condizionato il dibattito pubblico sui giornalisti uccisi. er la stampa italiana negli scorsi anni sono 7, per la nostra intelligence sono 40, io dico che sono più di 90. La stampa addomestica spara a casaccio, i servizi segreti considerano giornalisti solo coloro che hanno un incarico ufficiale e non tutti gli altri operatori dell’informazione come blogger o tecnici, ammazzati per il loro servizio civile.
Il caso Assange rappresenta un’opportunità per tutti noi di rivendicare i diritti di tutti gli operatori dell’informazione alla pari degli altri”.
Fazolo ha aggiunto che la questione è politica e non giudiziaria e quindi la su risoluzione si deve cercare negli stessi canali, quelli politici.
Prezioso anche il contributo video della reporter Germana Leoni: “Assange non è mai stato contestato di aver rivelato nessun segreto di stato ad altri stati nemici, innanzitutto perché non c’erano stati in guerra, e poi perché ciò che ha rivelato lo ha esposto all’opinione pubblica: dobbiamo dunque considerare l’opinione pubblica un nemico?” e ancora: “Perché un giornalista australiano come potrebbe essere italiano o francese, per esempio, deve rispondere alle leggi americane? Questo deve essere oggetto dibattito pubblico”.
CHI E’ JULIAN ASSANGE
Assange è un giornalista australiano detenuto dal 2019 in Gran Bretagna, in attesa della decisione sulla sua estradizione al tribunale Usa, nei quali rischia 175 anni di carcere e di detenzione durissima, insomma la pena di morte.
Tutto questo mentre i crimini denunciati grazie al portale WikiLeaks restano impuniti.
WikiLeaks è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che riceve in maniera anonima documenti protetti dal segreto di stato o militare.
Assange lo ha fondato e ne è capo redattore. WikiLeaks ha reso noti crimini di guerra e tortura come il noto Collateral Murder (attacco aereo del 12 luglio 2007 a Baghdad compiuto dall’Esercito degli Stati Uniti nei confronti di civili iracheni disarmati durante la Guerra in Iraq) e altri che mostrano soldati americani in Iraq sparare a civili e ridere.
Ha reso noti più di 76mila documenti sull’Afghanistan e scambi di messaggi tra diplomatici di tutto il mondo.
WikiLeaks ospita anche documenti della diplomazia italiana e vaticana, 4189 per la precisione, dalla fine 2001 al 2010.
Lo spiega Stefania Maurizi, l’unica giornalista italiana che ha ricevuto direttamente i documenti di WikiLeaks intervistata da Collettiva.
Salvare Assange significa salvare la libertà di stampa e i diritti umani.
Assange è un Uomo che soffre ogni minuto una pena ingiusta, una vendetta di stato, lontano dalla sua famiglia, privato delle libertà più elementari.
Vittima di una questione politica, di trattamenti persecutori per ragioni, lo ribadiamo, politiche.
Proprio colui che denuncia i crimini viene castigato e non chi li commette: è il paradosso della tragica vicenda Assange viene detto in sala.
Una vicenda in fondo senza tempo quella di Assange, kafkiana, aggiunge qualcuno, che ricorda anche il processo a Socrate.
Assange è il simbolo di una guerra di menzogne in cui stiamo scivolando, voluta proprio da un Occidente che si vanta dei suoi valori democratici.
Assange rappresenta le responsabilità del sistema occidentale imperialista e incarna la necessità di essere vigili su quella parte oscura della nostra civiltà che non vogliamo vedere.
Lo stesso sistema che ci trascina in una guerra che interessa solo agli Usa, che va contro i nostri interessi nazionali, implicando un pericolo nucleare inaudito prima d’ora.
PAROLA D’ORDINE. PARLARE A TUTTI DI ASSANGE
La parola d’ordine è parlare del caso Assange: raccontarlo agli amici, parenti, conoscenti, gli insegnanti dei nostri figli, scrivere ai giornali perché ne rendano nota la vicenda.
Perché, come lui ha cercato di rendere cosciente l’opinione pubblica, ora l’opinione pubblica ha il dovere e anche il diritto di salvare Assange.
Rendere le scuole e le università centri di vigilanza sulla sua condizione che ne chiedano l’immediata scarcerazione. Iniziative comunali, di quartiere, occasioni artistiche, appelli di ogni tipo.
Questa missione non deve avere connotati ideologici ma avere un respiro universale.
All’attenzione del pubblico la data dell’8 ottobre nella quale si terrà un importante evento organizzato dalla famiglia di Assange: l’obiettivo è circondare il Parlamento britannico, partiranno comitive anche da Milano e da Roma, con i membri di Free Assange Italia.
In chiusura viene citato Eschilo che nel V secolo a C. affermava: “La prima vittima della guerra è la Verità”.
Forse, come scriveva Freud nel famoso carteggio con Einstein, in cui quest’ultimo gli domandava perché l’uomo è spinto alla violenza e alla guerra, finché ci sarà l’umanità e le sue pulsioni ci sarà la guerra.
Forse non possiamo prometterci la pace definitiva in terra, ma l’impegno che almeno dobbiamo assumerci è quello di saper costruire solidi tempi di pace.
La pace è forse una chimera, una speranza annacquata al sentimentalismo. Mentre i tempi di pace sono un impegno costante, edificato sullo sforzo della verità.
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