HOMO VOLUNTARIUS
di PAGINA FACEBOOK DI PIERLUIGI FAGAN (Pierluigi Fagan)
Non ho sottomano un affidabile vocabolario italiano-latino, GT mi restituisce questa tradizione per “uomo intenzionale”. L’intenzionalità, in filosofia, è spesso ricondotta ad una particolare definizione di Brentano per il quale ogni pensare è pensare a qualcosa. Il pensiero sarebbe quindi intenzionato. Ma noi qui usiamo “intenzionalità” nel verso più di senso comune “avere l’intenzione cosciente di…”. In tal senso, l’intenzione è un attributo della volizione, è volere qualcosa di prima pensato. Vi prego qui di non farvi distrarre dalle polemiche sulla “libera” volontà, concentratevi solo sulla volontà che ovviamente non sarà libera come non lo è il portatore del cervello-mente-corpo.
Non ho la mia biblioteca sottomano quindi tratto l’argomento a braccio, che per andare al sodo è anche meglio. È un argomento complicato, stranamente poco trattato. Attiene alla coscienza e l’autocoscienza. Su cosa sia la coscienza c’è voluminoso dibattito. Di recente, un neuroscienziato italiano trapiantato lì dove si fa ricerca seria, quindi negli Stati Uniti, Giulio Tononi, ha proposto la definizione di “informazione integrata”. Sarebbe lo stato integrato di funzionamento in stato di veglia del cervello a definire lo stato di coscienza. Afferenza dei cinque sensi (più il senso interno), memorie, pensiero, tutte attività sincronicamente operanti, darebbero lo stato mentale cosciente. Quando dormiamo, ad esempio, non tutte queste operatività funzionano. Ne consegue che lo stato cosciente lo condividiamo, perlomeno con tutti gli animali superiori, ognuno con la sua specifica qualità differente rispetto alle rispettive menti, quindi cervelli.
Purtroppo, tutto questo argomento è spezzettato in un gran numero di discipline ed ogni disciplina ha la moda di pensiero del momento, inclusi termini, concetti, luoghi comuni del pensiero. La conoscenza è attività sociale e quindi ci sono vari livelli: quello cerebrale, quello mentale, sarebbe meglio dire mentale incorporato (la mente sopravviene all’attività cerebrale che è un organo connesso ad altri organi facenti assieme il corpo) ed appunto quello sociale. Negli Stati Uniti, ad esempio, la ricerca su questi concetti è fortemente influita dagli interessi di sviluppo dell’AI, quindi è tutta “informazione”. Ricordo di aver letto una lunga intervista sul FT a quello che è considerato il più grande neurochirurgo del mondo (o almeno uno dei…), il quale ha aperto e messo mano dentro centinaia di cervelli, il quale sosteneva che quando leggeva i saggi di questo tipo di ricerche per lo più non capiva niente del cosa stessero parlando. È un fatto da me verificato più volte quello per il quale in gran parte di questa ampia e variegata comunità di ricerca, mancano i biologi. Vorrebbero replicare l’attività del cervello umano ma spesso sanno poco o niente proprio di cervello.
Non è questo il caso del Tononi che ha collaborato per vari anni con Gerald Edelman che quanto a cervello e mente sa bene di cosa parla, eccome. Però poi la sua comunità di ricerca l’ha consigliato a trasferire i discorsi in informazione, magari con qualche equazione perché così si fa.
Noi ce ne freghiamo di mostrare il nostro expertise specifico in questo o qual campo di ricerca su questo argomento usando i concetti di moda nel momento. Li abbiamo, studio questo argomento da anni ed anni, conosco la topografia di tutta la vasta comunità che ricerca intorno a questo sfuggente problema, definito “hard problem”, ma ci interessa andare al sodo non la sociologia delle cucine che cuociono le uova sode.
Se la coscienza è considerata l’”hard problem” per antonomasia (che lo sia davvero ci sarebbe da discutere), in ambito anglosassone è del tutto escluso voi possiate parlare di auto-coscienza, coscienza riflessiva, coscienza di secondo grado, coscienza che ha per oggetto sé stessa. Non è cosa scientifica e quindi ciccia, ragionano così. Il discrimine non è se un argomento esiste o meno, esiste solo se lo potete trattare in maniera scientifica. Storia lunga quella di spiegare come si passa dal Circolo di Vienna alla filosofia analitica anglosassone ed al dominio dello scientismo più ottuso che qui non possiamo trattare.
Sta di fatto che è proprio l’autocoscienza a dare all’intenzionalità umana una diversa qualità rispetto a quella degli animali superiori, inizialmente differenza di grado che poi diventa di modo. In pratica, è la differenza tra fare una cosa più o meno d’acchito o pensandoci su più o meno a lungo dopo di che liberate l’intenzione, fate la cosa che avete lungamente valutato e pensato di fare. Tutto questo pensiero che precede l’azione, si svolge da qualche parte nel nostro cervello e pare sia, sin dagli esordi dell’homo habilis che in inglese è detto “handy man”, il nostro più peculiare tratto distintivo. Marx, andando appresso agli inglesi per certi versi della sua mentalità, parlava di homo faber. Ma che sia “faber” perché fa e che fa perché ha le mani, quelle mani sono collegate ad un peculiare modo di funzionare del cervello.
C’è uno scavo di due milioni di anni fa, in iniziale habilis, in cui si trovano i resti di lavorazione di decine e decine di pietre scheggiate per una comunità il cui numero dedotto è assai contenuto. Se ne è dedotto che: a) preparavano le pietre non per un uso immediato, ma in previsione di…, anche con una certa propensione all’accumulo; 2) lavoravano in gruppo, una sorta di primordiale divisione del lavoro per specializzazione; 3) soprattutto, si procuravano la materia prima andando a 15 chilometri da dove poi l’hanno lavorata, lì nei dintorni non c’erano depositi di pietre. Quest’ultimo punto rivela la forma inedita della prima mente umana. Si doveva elaborare l’intera sequenza nella mente e tra l’altro comunicandola ai simili, prima di compierla: -se- alcuni di noi vanno a prendere tante pietre lì e le portano qui, -allora- le possiamo lavorare assieme in vista di… . Questo è il pensare prima di fare. L’intenzionalità è l’intera sequenza del pensare e poi fare.
Questo “pensare” si svolge in un sistema che qui chiamiamo “immagine di mondo”, l’intero sistema di logiche, memorie, concetti, esperienze, modelli e conoscenze stratificate messe a sistema che fanno la nostra mente. Chi controlla il pensare, controlla il fare.
Tutto il problema del campo di conoscenza che chiamiamo “politica”, attiene al come i membri di una comunità pensano prima di deliberare l’azione, individuale e collettiva. Dopo ci sono tradizioni, forme sociali, modi di produzione della sussistenza e tutta la complessità nota in filosofia e sociologia politica, prima però c’è individuo e gruppi che pensano, giudicano ed agiscono in base a ciò che hanno in testa.
Il primo, generativo campo del comportamento politico, è nella mente umana. Alcuni filosofi hanno duramente lavorato sulla forma della propria mente per arrivare a pensare in maniera indipendente ed emancipata. Nessuno ha elaborato una teoria emancipativa sul come aiutare masse critiche a condividere lo stesso processo di indipendenza ed emancipazione. Ne ha sentito chiara l’esigenza il Gramsci, ma il suo lascito non è stato ripreso, qualcun altro con interessi in pedagogia tipo Dewey ma poco altro. Se non si riprende quel lascito, non avremo mai una teoria politica emancipativa che funzioni ovvero produca cambiamento sociale e politico.
Le élite compaiono all’inizio della civiltà e da allora tali sono perché controllano la formazione dell’immagine di mondo. Se la democrazia dipende dalla sovranità, la sovranità mentale è la precondizione per ogni altra.
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