Durante la Guerra Fredda Washington e Mosca si sono battuti duramente per il dominio dell’Artico. Ma in seguito queste tensioni si sono dissipate negli anni Novanta, un periodo di “riavvicinamento tra l’Occidente e la Russia”. Fu persino creato il Concilio Artico, il quale ha raccolto gli stati della regione e gli ha permesso di coordinare le rispettive politiche. Dopodiché, per un po’, l’Artico è divenuto d’importanza secondaria per gli Stati Uniti, dopo il Medio Oriente e l’Indo Pacifico.
Tuttavia, lo scioglimento del ghiaccio, che ha spalancato nuove rotte di trasporto ed accesso alle ricchissime risorse naturali della regione, ed in particolare alle riserve intatte di petrolio, gas, metalli rari, e vaste quantità di pesce, ha trasformato anche la regione artica in una zona dinamica di competizione e rivalità. E, in aggiunta agli stati nordici, agli Stati Uniti e alla NATO, anche i paesi asiatici si sono uniti alla “battaglia per l’Artico”, in particolare Cina, Giappone, India, Corea del Sud, dal momento che intravedono dei vantaggi significativi nell’utilizzare una rotta di trasporto più breve e più economica verso l’Europa, oltre al potenziale in termini di risorse. Altri paesi asiatici appartenenti ai BRICS e alla SCO si sono mostrati interessati alla cooperazione con la Russia nell’Artico, dimostrando la natura strategica di queste intenzioni.
Il desiderio di Tokyo di alzare il livello della lotta per l’Artico viene spiegato ormai da lungo tempo dai media giapponesi [in giapponese]. Il Giappone sta sviluppando attivamente una ricerca sulle osservazioni e previsioni meteorologiche, sulla protezione ambientale, e il “miglioramento” della legge internazionale nell’Artico. Chiaramente spera di guadagnarsi, tra i paesi il cui territorio non fa parte della regione, un accesso senza restrizioni allo sfruttamento e all’utilizzo dei “vantaggi artici”. In particolare, la promettente rotta che collega l’Europa e l’Asia attraverso la costa settentrionale della Russia è già usata da navi portacontainers e navi cisterna per trasportare il Gas Naturale Liquido (LNG) dai giacimenti di gas della penisola di Yamal, tanto verso l’Europa quanto verso l’Asia.
Anche Pechino si è dichiarato un paese “vicino all’Artico”, ed ha formulato una propria politica artica [in inglese], giustificando i suoi interessi nella regione in base al fatto che lo scioglimento del ghiaccio artico potrebbe allagare molte coste cinesi e sfollare venti milioni di persone. Secondo la visione cinese del futuro, una “Via della Seta Polare” è destinata a passare attraverso le distese di ghiaccio, con un’infrastruttura e un regime legale che permetta di operare alle numerose navi.
E mentre gli esperti cinesi concludono che la Rotta Marittima Settentrionale (NSR) dovrebbe essere inizialmente proposta, è chiaro che nel lungo termine Pechino non intenda tollerare il dominio russo. E così la Cina ha dei piani per stabilire una Rotta Marittima Transpolare che funga da collegamento attraverso il centro dell’Artico, al di fuori della zona economica russa. Per raggiungere questi obiettivi la Cina sta investendo attivamente nella costruzione di porti e nello sfruttamento di risorse naturali. In particolare, nel progetto di produzione, liquefazione e fornitura del gas naturale russo dello Yamal, e nei giacimenti di petrolio e gas norvegesi, mentre al contempo sviluppa anche i propri progetti. E a tal fine, Pechino sta lavorando attivamente non solo con la Russia, ma anche con i paesi più piccoli della regione artica – Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca, e Islanda. Al contempo viene condotto del lavoro scientifico (ad esempio nelle isole Svalbard della Norvegia), vengono inviate delle spedizioni, e lo stato della regione è monitorato dai satelliti. Il rompighiaccio pesante Xue Long 2 ha lasciato lo scalo di alaggio nei cantieri navali cinesi e sono in costruzione delle nuove navi artiche.
Sulle orme della Cina, la Corea del Sud è divenuta un osservatore permanente nel Consiglio Artico, avendo a sua volta iniziato a costruire la propria flotta di rompighiaccio, ed avendo persino adottato un programma d’azione per concretizzare la Politica Artica Nazionale. Essa si concentra in particolare sulle potenzialità economiche offerte dal rifornire la Rotta Marittima Settentrionale. A tal proposito, il programma d’azione include il bisogno di sviluppare la costruzione di navi di tipo polare, incluse i rompighiaccio, e di realizzare la propria flotta di rompighiaccio e diventare un esportatore globalmente riconosciuto di navi adattate al ghiaccio. Secondo le autorità sudcoreane, questa è precisamente la posizione che meglio aiuterà il paese a migliorare il suo status nel Consiglio Artico, divenendo membro a pieno titolo entro la fine degli anni 2020, e garantendo così l’accesso ai progetti internazionali di sviluppo scientifico ed economico nell’Artico. Perciò Seul sta ora cercando attivamente il sostegno dei paesi al di fuori della regione artica, in particolare Cina e Giappone, e sta lavorando individualmente con ciascuno dei paesi circumpolari.
Quanto all’India, questa pone l’accento sulla propria partecipazione nei progetti energetici artici. In particolare, sull’isola di Sakhalin, AFK Sistema e ONGC, la più grande società di petrolio e gas dell’India, hanno firmato degli accordi quadro di cooperazione nel 2010, e nel 2011 gli uomini d’affari indiani sono divenuti partner chiave nello sviluppo dei giacimenti petroliferi nel distretto autonomo di Nenets (in Russia).
L’inclusione dei paesi asiatici nella battaglia per l’Artico ha già avuto un impatto significativo e complessivo sulla geopolitica, intensificando la competizione già vigorosa tra gli USA e l’Asia. Sullo sfondo della crescente attività nell’Artico e del crescente interesse dei paesi asiatici (specialmente la Cina) nell’area del Polo Nord, gli Stati Uniti e la NATO stanno cercando di rafforzare la propria posizione nella regione, come riporta il giornale tedesco Der Tagesspiegel [in tedesco]. A tal fine, in particolare, gli Stati Uniti hanno nominato per la prima volta un inviato speciale per l’Artico, in modo da promuovere gli interessi americani.
E il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha esplicitamente dichiarato che l’Alleanza dovrebbe rafforzare la sua presenza nell’Artico, il quale è di “grande importanza strategica” per il blocco. Al contempo, l’Alleanza intende stabilire delle basi navali nelle regioni artiche del Canada e della Norvegia settentrionale attive tutto l’anno. Per farlo gli Stati Uniti e la Norvegia hanno già firmato un accordo nell’aprile 2021 sulla costruzione delle basi militari: tre basi aeree e due basi navali. In aggiunta, gli Stati Uniti gestiscono già otto basi nella regione artica, oltre a quelle dei propri alleati: la Danimarca (cinque basi), la Norvegia (cinque basi) e l’Islanda (una base). Il totale è di 19. Se Washington negozia con la Svezia e la Finlandia, che stanno per unirsi al blocco, potrebbe avere l’accesso ad altre 9. Per rafforzare la sua posizione nell’Artico, nel 2019 l’amministrazione Trump ha esplorato la possibilità di acquistare la Groenlandia dalla Danimarca, e nel 2020 gli Stati Uniti hanno deciso di riaprirvi un consolato.
Tuttavia, gli Stati Uniti e i loro alleati, per poter “espandere la loro presenza” nell’Artico, devono affrontare il difficile compito di costruire una flotta di rompighiaccio praticamente da zero. Secondo il sito militarytimes.com, gli Stati Uniti al momento dispongono solamente di due rompighiaccio diesel operativi. E uno di questi, D, ha già superato il suo ciclo di vita trentennale da ben dieci anni, mentre Healy ha subìto un cortocircuito elettrico nel 2020. Inoltre, ci sono altri due rompighiaccio negli USA, ma uno è impiegato dall’Università dell’Alaska e l’altro è privato. Ma il Congresso americano ha recentemente approvato il permesso di costruire altri sei rompighiaccio.
Per fare un confronto, la Cina ha due rompighiaccio e ne sta costruendo un terzo (nucleare), mentre la Russia ha almeno 46 rompighiaccio, di cui 3 nucleari, e sta costruendo nuove navi artiche, incluse rompighiaccio e cisterne LNG capaci di navigare tra i ghiacci.
Tenendo in mente questi dati, diversi esperti notano ora che l’attività militare internazionale alle alte latitudini è cresciuta, recentemente e bruscamente, e che le attività militari nell’Artico si stanno internazionalizzando. E diventare un possibile teatro di guerra internazionale è certamente una tendenza molto preoccupante per la regione artica. La politica NATO di “espandere verso nord” l’Alleanza, includendo paesi neutrali come la Finlandia e la Svezia, potrebbe complicare ulteriormente la situazione nell’Artico e intensificare il confronto nella regione..
*****
Articolo di Vladimir Danilov pubblicato su New Eastern Outlook il 18 settembre 2022
Traduzione in italiano di JoRed per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
Commenti recenti