Riflessioni intorno al pensiero di Bernard Charbonneau – Vincent Cheynet di La Décroissance
di Resistenze al nanomondo (redazione)
Intervento per la presentazione del libro di Bernard Charbonneau Il giardino di babilonia, Edizioni degli animali, dell’11 Dicembre a Bergamo presso Lo Spazio di documentazione La Piralide
Non parlerò qui nello specifico del libro Il giardino di Babilonia di Bernard Charbonneau. Il mio italiano è cosi cosi quindi vorrei essere il più semplice, diretto possibile, per parlare del cuore del suo lavoro.
Innanzitutto vorrei dire che, tra tutti i precursori della decrescita, ho un attaccamento speciale per Bernard Charbonneau.
È lui la cui sensibilità mi ritrovo di più, e prima di tutto nella sensibilità metafisica. Penso di dire che questo è vero non solo per me ma anche per Pierre Thiesset e Denis Bayon che sono nel comitato editoriale di La Décroissance. E siamo in 4. Sul giornale, Bernard Charbonneau è l’autore che citiamo di più.
Per approfittare di questa filiazione, sono stato molto orgoglioso quest’anno quando suo figlio, Simon Charbonneau, mi ha scritto questa frase: “Caso piuttosto raro nei riferimenti al lavoro paterno, hai perfettamente compreso il paradosso esistente tra natura e libertà che consentirebbe una vera e propria politica di decrescita.”
Perché leggiamo anche molte cose false su Bernard Charbonneau. È normale. Come mai ? Perché Bernard Charbonneau è soprattutto un pensatore della dialettica. Vale a dire: ragiona per tesi, antitesi, e sintesi.
La tentazione è sempre grande di prendere solo la parte che ci interessa, cioè quella che accredita la nostra soggettività, e di rifiutare l’altra parte. Ad esempio, Bernard Charbonneau critica certamente aspramente la politica o lo Stato, ma mostra anche l’impasse dell’assenza della politica o dello Stato. C’è una formula che esprime bene ciò che è al centro dell’opera di Bernard Charbonneau.
Lo cito: “Viviamo in un Universo spezzato, il che non è comodo; eppure è attraverso questa fessura che si diffonde il respiro della vita e della libertà.” È tratto dal primo libro pubblicato Bernard Charboneau: Teilhard de Chardin, profeta di un’epoca totalitaria. Questo libro è stato pubblicato nel 1963 da Denoël.
Penso che tutto il lavoro di Bernard Charbonneau sia basato su questo quadro di lettura della condizione umana.
Perché quando Bernard Charbonneau afferma che: “Viviamo in un Universo spezzato, il che non è comodo; eppure è attraverso questa fessura che si diffonde il respiro della vita e della libertà.” Pone la questione centrale della condizione umana. Potrei anche riassumere questa domanda così: c’è “Continuum o alterità”? Potrei anche dire “monismo o dualismo”, “differenziato” o “indifferenziato”, ecc. Questa è la questione centrale oggi. Lo troviamo dietro a tutti i grandi dibattiti attuali, soprattutto quelli sull’ecologia. Senza che spesso ce ne accorgiamo, questo dibattito condiziona tutto.
Ne prendo uno per esempio, il più croccante: il sesso. Lo dico scherzando ma anche perché l’alterità sessuale è “l’alterità delle alterità”. Il sesso, si sa, nasce dal tagliare, dal dividere. Discendiamo tutti da un uomo e da una donna. L’umanità, come il regno animale, è divisa in 2: uomini e donne, maschi e femmine. I maschi hanno cromosomi XY e le femmine hanno cromosomi XX. Sono purtroppo obbligato a precisare che le rarissime eccezioni ed esitazioni non invalidano questa regola ma la confermano. Tuttavia, la caratteristica del nostro tempo è mettere in discussione questa regola.
Il nostro mondo tende all’idea che non ci sarebbe alterità, separazione, “fessura” come ci ricorda Bernard Charbonneau, ma continuum. In questa prospettiva ci sarebbe un molto maschile e un molto femminile, con in mezzo tutte le sfumature possibili. È l’ideologia del gender. Da un mondo duale, cioè sessuato, si passa a una visione monistica: quella del gender. Certo, il grande paradosso del gender è quello di giustificarsi in nome della complessità e della molteplicità. Infatti, i sostenitori del gender vogliono cancellare LA grande differenza. Perché si va oltre il dualismo solo sprofondando nel monismo. Poiché al di là del bene e del male, c’è solo il male.
Naturalmente, solo perché osserviamo che ha due sessi non significa che neghiamo la complessità. Sappiamo che ci sono uomini con un lato femminile e donne con un lato maschile. Gli psicologi ci dicono che tutti abbiamo, necessariamente, anche se in modo minuscolo, una parte bisessuale. I sostenitori del gender ce lo ripetono più e più volte: il dualismo è binario, è semplicistico. Sostengono di essere “non binari”. Ma abbiamo anche due occhi o due gambe, destra e sinistra, e solo perché è semplice non significa che non esista. Non confondiamo, come fanno loro, il dualismo, quello che può essere binario, e il pensiero manicheo, anzi. Dico cose che potrebbero essere considerate infantili, ma siamo a un punto in cui dobbiamo tornare su questo.
In Francia, qualche anno fa, ho osato affermare in un’università che gli uomini avevano un pene e le donne una vagina. Questa semplice enunciazione della realtà mi ha fatto chiamare reazionari, ecc.
La scorsa settimana al Sience-Po Paris, un’insegnante di danza è stata licenziata per aver definito i suoi studenti “uomini” e “donne”. Oggi, semplicemente enunciare la realtà materiale può portare in tribunale. Questo è il caso se spiego perché mi rifiuto di usare la parola “transessuale”. Semplicemente perché un uomo, definito dai suoi cromosomi XY, non potrà mai diventare una donna XX, e viceversa. Ricordare questo elemento fattuale scientifico può portare ad essere citato in giudizio per “transfobia”. Eppure non ci sono più “transessuali” che “viventi o morti”. Siamo morti o vivi, come siamo un uomo o una donna.
Ma ciò che vale per il sesso e il confine tra la vita e la morte, che sono intimamente legati, vale per tutte le tensioni che attraversano la nostra condizione umana. Ancor più centrale del sesso, Bernard Charbonneau ci chiama attraverso il suo lavoro a pensare alla tensione tra natura e libertà. Vale a dire tra le necessità, i vincoli, della realtà e le aspirazioni dello spirito. Trascurarli entrambi è un errore spirituale ma anche materiale. Ora, cosa posso osservare come editore ormai un po’ vecchio del primo titolo di ecologia politica in Francia? Riceviamo a La Décroissance una moltitudine di saggi sull’ecologia. Qual è il tratto comune della maggior parte di loro? Direi che la stragrande maggioranza del discorso contemporaneo, la maggioranza proveniente dall’università, difende una posizione che è rigorosamente opposta a quella di Bernard Charbonneau. Riassumerei così questo discorso attuale sull’ecologia: “L’uomo, e più precisamente il maschio bianco di più di 50 anni, “cis gender”, ha peccato affermando la libertà che lo distingueva in natura, cioè che sarebbe “un animale ma non solo”. Questa affermazione sarebbe l’essenza del grande collasso planetario.”
In mezzo a tutti questi saggi che sviluppano questo credo, uno di loro, quello del ricercatore Jacques Tassin, rivela la sostanza di questo discorso, il più delle volte impensato. Cito: “Se la nostra cultura ci separa dalla Natura, il nostro corpo non ci ha mai separato da essa. Sta a noi riscoprire questo grembo vivo che, alla nostra nascita, si presenta come un prolungamento del grembo materno in cui abbiamo vissuto come feto. […] Sta a noi trovare questa matrice e far scoppiare la bolla invisibile che abbiamo plasmato crescendo, rinchiudendoci nella nostra individualità. Allora il mondo può raggiungerci da solo, come un liquido amniotico che ci immerge.”
Sarebbe quindi opportuno pentirsi per comprendere, in umiltà, che bisogna fondersi con l’indifferenziato, il Grande Tutto, la Pacha Mama, la Terra-Madre. In questa prospettiva, è logico che il “terzo separatore”, l’uomo che separa la madre dal figlio, debba essere combattuto, con tutti i mezzi. In termini simbolici, il Verbo, dopo essere emerso dalla materia, dovrebbe essere ri-fagocitato in essa.
Il paradosso è che questa ecologia arcaica si adatta, fa affidamento e si vanta regolarmente dei peggiori deliri tecnologici.
Non stupisce quindi che il film di James Cameron, Avatar, sia costantemente citato come la grande storia di questa “cosmologia”, a cominciare dagli accademici. Penso che questa griglia di analisi faccia luce su una serie di fatti di attualità a priori incomprensibili. Bernard Charbonneau ha avvertito che c’è un pericolo ancora peggiore del crollo della società dello sviluppo, è il suo successo, la sua realizzazione.
Sarebbe il mondo dei robot, il regno della quantità. La tecnologia ci sta portando a tutta velocità su questa strada. La politica sanitaria Covid ha dato una grossa spinta e la tecnologia attende altre opportunità. La Cina ci sta aprendo la strada. L’unica via d’uscita dal trionfo totale della tecnica sarebbe allora la morte perché è meglio essere un vivente morto che un morto vivente, cioè uno zombie.
Per essere persone degne, dobbiamo prima fare di tutto affinché questa “fessura” di cui parlava Bernard Charbonneau non sia bloccata dalla tecnologia.
Questa lotta condiziona tutte le altre perché “è attraverso questa fessura che si diffonde il respiro della vita e della libertà.”
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