Schengen e i flussi migratori, tra retorica e realtà
di OSSERVATORIO BALCANI E CAUCASO (Tamara Opačić)
Il sistema di libera circolazione di Schengen viene sempre più spesso messo in crisi da sospensioni applicate da alcuni stati membri chiamando in causa la necessità di contrastare le migrazioni, spesso senza il riscontro dei numeri. La situazione in Croazia e Slovenia
(Originariamente pubblicato sul portale Novosti , il 28 ottobre 2023)
Il fiore all’occhiello dell’integrazione europea, come un tempo i burocrati di Bruxelles chiamavano il sistema di Schengen, è stato seriamente messo a repentaglio dalla decisione di undici stati membri dell’UE di sospendere temporaneamente il regime di libera circolazione. Dal centro dell’Unione (Germania, Francia, Danimarca, Svezia) alla periferia, ossia al confine tra Slovenia e Croazia, passando per la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Italia e l’Austria, si è assistito al ripristino dei controlli alle frontiere. Una misura che non ha colto di sorpresa chi, soprattutto tra gli studiosi del fenomeno migratorio e i migranti stessi, negli ultimi mesi ha attraversato uno dei paesi di cui sopra a bordo di un autobus o un treno.
Tra chi non è rimasto stupito c’è anche Marijana Hameršak, ricercatrice presso l’Istituto di etnologia e studi sul folklore di Zagabria, responsabile del progetto ERIM , che indaga i meccanismi di gestione dei flussi migratori alle periferie dell’UE.
Hameršak spiega che da anni ormai nell’UE il sistema di Schengen e la questione migratoria vengono sfruttati in un’ottica strategica, come strumento di politica estera, ma anche come mezzo di polarizzazione dell’elettorato e, in ultima analisi, come espediente per normalizzare l’idea – che peraltro non trova alcun riscontro nella realtà, né tanto meno è corroborata da ricerche – secondo cui le migrazioni rappresentano un problema.
“L’aumento dei numeri, di cui si parla cercando di spiegare la decisione della Slovenia di introdurre controlli al confine con la Croazia, è una variazione relativa, in parte conseguenza dell’applicazione dei diversi sistemi e tattiche amministrative. Ad ogni modo, non è un aumento recente – i numeri hanno iniziato a crescere nella primavera del 2022, se non addirittura prima – così come l’introduzione dei controlli, per quanto ci si sforzi di presentarla in un’ottica emergenziale, non è una misura inattesa”, sottolinea Hameršak.
Se alcuni stati membri, come l’Austria, hanno continuato quasi ininterrottamente ad effettuare controlli alle frontiere sin dall’ondata migratoria del 2015, altri paesi solo negli ultimi mesi hanno dispiegato le cosiddette pattuglie mobili ai confini, giustificando tale decisione con un possibile ripetersi della crisi, alimentando così un sentimento di paranoia tra la popolazione.
Stando ad un’analisi pubblicata sul portale Euractiv alla fine di settembre, un quarto dei paesi dell’area Schengen ha impiegato le pattuglie mobili lungo i confini prima ancora della sospensione ufficiale del regime di libera circolazione, rendendo così più difficile la vita di molti cittadini dell’UE, ma anche dei rifugiati e altre persone in movimento che attraversano i paesi Schengen.
Uršula Lipovec Čebron, professoressa associata presso il Dipartimento di Etnologia e Antropologia culturale della Facoltà di Filosofia di Lubiana e collaboratrice al progetto ERIM, fa il punto della situazione al confine sloveno-croato.
“Anche prima della sospensione di Schengen la polizia slovena effettuava controlli giornalieri su treni e autobus, ricorrendo alla profilazione razziale. Quindi, fermava sistematicamente i migranti, registrava i loro dati personali e poi li faceva scendere dai mezzi di trasporto. Negli ultimi mesi, viaggiando in treno da Zagabria a Lubiana, ho spesso assistito a simili scene a Dobova e ad altri valichi di frontiera”, spiega Uršula Lipovec Čebron.
Per la professoressa Lipovec Čebron, la sospensione di Schengen da un lato ha legittimato una prassi già esistente, dall’altro ha portato ad una spettacolarizzazione del lavoro della polizia di frontiera.
Anche Marijana Hameršak è dello stesso avviso. Stando alle sue parole, sono state proprio le pratiche impiegate dalla polizia di frontiera a spingere molte persone, anche dopo l’ingresso della Croazia nello spazio Schengen, ad attraversare il confine croato-sloveno di notte, al di fuori dei valichi ufficiali, anche cercando di superare il filo spinato.
“Ora che sono stati introdotti controlli sistematici, chiudendo anche i passaggi nella recinzione al confine, quei percorsi stanno nuovamente diventando l’unica opzione”, afferma Marijana Hameršak.
Se il premier croato Andrej Plenković e il ministro dell’Interno Davor Božinović si sono sforzati di presentare la sospensione della libera circolazione da parte della Slovenia come una decisione legata esclusivamente agli attacchi terroristici sul suolo europeo, il ministro dell’Interno sloveno Boštjan Poklukar ha a più riprese criticato le autorità croate a causa dell’aumento del numero di migranti giunti in Slovenia dalla Croazia. Lubiana ha anche offerto aiuto a Zagabria, proponendo più volte di formare pattuglie miste lungo il confine, ma la Croazia ha sempre rifiutato di collaborare.
Nel frattempo, le procedure applicate nei confronti dei migranti intercettati nel territorio croato sono cambiate. Nella primavera del 2022 la polizia croata aveva iniziato a rilasciare ai migranti un foglio di via, intimando loro di lasciare la Croazia e lo Spazio economico europeo entro sette giorni. Poi però da marzo di quest’anno l’atteggiamento della polizia è cambiato: molte persone sorprese mentre cercavano di entrare in Croazia, ma anche quelle che soggiornavano irregolarmente nel paese sono state registrate come richiedenti asilo, per poi essere sollecitate a proseguire il loro viaggio verso ovest.
Marijana Hameršak spiega che i documenti rilasciati ai migranti durante quella procedura praticamente significano una regolarizzazione temporanea del loro status, ossia un riconoscimento delle persone in transito in cerca di protezione internazionale.
“Non sappiamo ancora quali possano essere le conseguenze di tale prassi, né tantomeno sappiamo se le persone interessate rischino di essere maggiormente esposte a reclusioni e deportazioni in altri stati membri dell’UE. È chiaro però che bisogna trovare la forza politica per perseguire una strada finalizzata alla decriminalizzazione del transito e dei flussi migratori in generale, tenendo conto dei bisogni dei singoli individui. Non è una strada impossibile, ci sono diversi precedenti storici. Posso citare il cosiddetto passaporto di Nansen, che prende il nome dal primo commissario per i rifugiati della Società delle Nazioni, che nel periodo tra le due guerre mondiali aveva permesso a centinaia di migliaia di sfollati di raggiungere luoghi dove – per motivi economici, legami familiari o altri fattori – volevano provare a rifarsi una vita”, spiega la ricercatrice.
Stando alle statistiche ufficiali, in Croazia nei primi sei mesi del 2023 oltre 24mila persone hanno chiesto asilo, una cifra di gran lunga superiore rispetto agli anni scorsi. Tuttavia, le espulsioni violente continuano: nei primi nove mesi di quest’anno sono stati registrati circa duemila respingimenti. Sul sito dell’iniziativa No Name Kitchen sono stati riportati i dettagli di un recente caso in cui dieci cittadini afghani e due indiani sono stati gettati nell’acqua fredda dopo essere stati privati dei loro beni e intimiditi con colpi d’arma da fuoco, manganellate e altre forme di abuso fisico da parte della polizia croata. Secondo le testimonianze delle vittime, l’episodio si è verificato all’inizio di ottobre nei pressi di Bihać, al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina.
Nel frattempo, in vista delle elezioni europee e nazionali, molti leader politici, come anche le forze di opposizione, continuano ad alimentare un clima emergenziale, parlando del collasso di Schengen e spingendo ostinatamente per l’adozione del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo in cui vedono l’unica soluzione. La proposta del patto – che, vista la situazione attuale, potrebbe essere approvata prima del previsto – rappresenta un passo indietro nella tutela dei diritti dei migranti e dei rifugiati.
Se il testo dovesse essere approvato nella sua versione attuale, l’accesso all’asilo in Europa diventerebbe ancora più difficile, si cercherebbe di tenere i migranti il più lontano possibile dall’UE e molti di quelli già presenti sul suolo europeo verrebbero rimpatriati. A lungo termine, la Croazia, la Serbia e la Bosnia Erzegovina con ogni probabilità verrebbero trasformate nella cosiddetta “zona cuscinetto”, ma anche in una sorta di dumping ground dove confinare gli “indesiderati”. E per questo si è deciso in fretta e furia di costruire un centro di identificazione a Dugi Dol, nei pressi di Krnjak, in Croazia.
Marijana Hameršak sottolinea che la sospensione di Schengen e i discorsi che l’accompagnano contribuiranno ad un’ulteriore stigmatizzazione dei migranti, alla normalizzazione delle pratiche di profilazione razziale e alla polarizzazione della società – dinamiche che ultimamente sono diventate molto evidenti su entrambi i lati del confine croato-sloveno. Se in Croazia l’opposizione di destra invoca l’invio dell’esercito al confine e un referendum sull’immigrazione, in Slovenia vogliono ribaltare la decisione di rimuovere il filo spinato lungo il confine, una delle principali promesse elettorali dell’attuale premier sloveno Robert Golob.
“Da tempo ormai in Slovenia si cerca di strumentalizzare politicamente le migrazioni, con l’intento di dividere la popolazione che di solito ha pochi contatti con i rifugiati, quindi non riesce attraverso la propria esperienza ad acquisire un’adeguata consapevolezza del fenomeno migratorio. È facile incutere paura diffondendo informazioni non veritiere, tanto che molti cittadini continuano a non vedere nulla di problematico nella recinzione al confine. C’è però anche chi protesta pubblicamente contro la chiusura dei valichi di frontiera e altre misure che rendono più difficile e mettono a rischio la vita dei migranti, ma non potranno mai fermarli nel loro tentativo di trovare una via per raggiungere l’Unione europea”, conclude la professoressa Lipovec Čebron.
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