I media russi gongolano e di certo esagerano. Ma si fanno sempre più rumorose le voci che, da Kiev, parlano di un recente dissenso (ok, non esageriamo nemmeno qui: divergenza di vedute) tra i due incontrastati protagonisti di questa difficilissima stagione della storia ucraina: il presidente Zelens’kyj e il generale Zaluzhny, comandante in capo delle forze armate ucraine. che i due abbiano idee diverse è stato certificato dalla recentissima intervista che il generale ha rilasciato a The Economist, in cui parla di “stallo” delle operazioni militari, esclude prossimi colpi di scena (ovvero, risultati clamorosi) e invoca una specie di rivoluzione tecnologica che possa fornire ai soldati ucraini i mezzi per sfondare le linee russe. Il tutto mentre Zelens’kyj non cessa di girare il mondo e incontrare leader per assicurarsi gli indispensabili rifornimenti, garantendo a tutti che la vittoria ucraina è non solo inevitabile ma anche prossima. E mentre il ministro della Difesa, Rustem Umerov, conferma ufficialmente la dottrina militare del Paese, come se dal 24 febbraio 2022 non fosse successo niente. E mentre i consiglieri della Presidenza, primo fra tutti l’ineffabile Mykhaylo Podoljak, annunciano uno sfondamento al giorno.
Zelens’kyj non può fare a meno del suo generale, è chiaro. Ma Zaluzhny sa bene che per il momento Zelen’skyj è l’uomo di cui i Paesi occidentali si fidano, l’unico che può portare all’esercito armi e aiuti. Ma il cortocircuito è evidente e, considerata la statura di Zaluzhny (di certo l’uomo più popolare in Ucraina oggi), non può essere considerato solo informativo ma anche politico. A confermarlo, altri resoconti di organi di stampa che non possono certo essere considerati anti-ucraini. Come per esempio il settimanale americano Time, che in una lunga e accurata inchiesta ha reso conto dei dubbi che ormai circolano anche all’interno dei più fedeli sostenitori di Zelens’kyj. Alcuni di loro lo descrivono come un leader incupito, che ha perso il contatto con la realtà e non riesce ad accettare il verdetto del campo di battaglia, dove l’offensiva della primavera-estate, che ha reclamato così tante vite sull’uno come sull’altro lato della barricata, è fallita (in sette mesi gli ucraini sono avanzati, in media, di soli 17 chilometri), emettendo un verdetto chiaro: la vittoria finale è forse ancora possibile ma deve necessariamente essere rimandata.
In questo quadro è piombata un’altra di quelle “voci” che sembrano tanto notizie anticipate. Il deputato ucraino Aleksej Goncharenko (tutt’altro che un disfattista, visto che i russi l’hanno messo nella lista degli “estremisti e terroristi”) ha dichiarato che Zelens’kyj ha formalmente incaricato l’amministrazione presidenziale di avviare l’organizzazione di elezioni presidenziali, che dovrebbero svolgersi il 31 marzo del 2024. Anche solo la voce è un piccolo colpo di scena, considerando come lo stesso Zelens’kyj, ancora nell’agosto scorso, non le escludesse ma le legasse a una serie di condizioni (un ulteriore finanziamento di 5 miliardi di euro e l’organizzazione di seggi nei molti Paesi in cui oggi vivono gli ucraini espatriati) che, insieme con lo stato di guerra, le rendevano di fatto impossibili. Zelens’kyj che ha poi voluto smentire ancora una volta l’ipotesi di elezioni, definendole “un regalo per la Russia”.
Le interpretazioni a questo punto impazzano. Quella più diffusa è che siano stati “gli occidentali” (ovvero, Usa e UE) a imporre la forca caudina elettorale a Zelens’kyj per restaurarne il carisma e poter così continuare a chiedere ai contribuenti gli sforzi economici necessari per aiutare l’Ucraina a vincere la guerra. Nel frattempo, sfruttando i poteri che gli sono concessi dalla legge marziale, appena prolungata, Zelensk’yj farebbe piazza pulita di ogni potenziale avversario, a cominciare proprio dal generale Zaluzhny. Non rimosso (nemmeno Zelens’kyj se lo può permettere) ma depotenziato, per esempio privandolo degli ufficiali più fedeli. Come Viktor Khorenko, il capo delle forze speciali da poco silurato dal ministro della Difesa Rustem Umerov, un fedelissimo del Presidente. O come Gennady Chistjakov, l’assistente di Zaluzhny morto in una misteriosa esplosione: secondo la versione ufficiale, di una granata maneggiata in casa con scarsa cura; secondo altre versioni, di un pacco-bomba recapitatogli per il compleanno.
L’altra interpretazione che va per la maggiore è quella che ritiene Usa e UE impegnati a promuovere le elezioni in Ucraina per poi sostenere il cosiddetto “partito della pace”, ovvero quel fronte (ancora difficile da valutare perché in gran parte sotterraneo) che spinge per il congelamento del conflitto, in vista di un inverno che rischia di rivelarsi durissimo, tra perdite al fronte, economia al crollo, popolazione in fuga e aiuti occidentali che incontrano le difficoltà di cui si diceva. La figura di spicco di questo fronte sarebbe al momento Oleksy Arestovich, l’ex consigliere di Zelens’kyj diventato critico, che spesso negli ultimi tempi ha proposto una tregua con la Russia. Arestovich, però, non sembra in grado di impensierire Zelens’kyj nel favore degli ucraini. Non va dimenticato che il presidente, oltre al prestigio accumulato negli ultimi due anni, gode di un quasi monopolio dei media, cioè della possibilità di influenzare l’elettorato. E che non è disposto a fare concessioni: non è certo un caso se Oleksy Danilov, segretario del Consiglio di sicurezza ucraino, ha accennato alla possibilità di bloccare il social Telegram, diventato la prima fonte di notizie per gli ucraini, non più soddisfatti dall’informazione di Stato.
Ipotesi, scenari, possibilità. Una sola cosa è chiara: il fallimento dell’offensiva e le crescenti difficoltà occidentali nel sostenere l’aiuto all’Ucraina ai livelli del primo anno di guerra hanno messo in moto un po’ di cose a Kiev. Ed è chiaro che i sussulti, da Zaluzhny in giù, a cui stiamo assistendo sono solo l’inizio.
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