I Diavoli: dalla Realtà, alla Fiction, alla Teoria Economica
da ECONOMIA E POLITICA (Biagio Bossone)
Si dice che i mercati abbiano un modo sicuro per prevedere il futuro: farlo accadere. Fare accadere il futuro è opera dei Diavoli, come l’autore di bestseller di successo Guido Maria Brera ha chiamato coloro che, dietro le quinte, tirano le fila della finanza internazionale e scatenano le forze invisibili che guidano l’economia mondiale – appunto i mercati. Brera ne ha scritto per i lettori di romanzi e ne ha lanciato l’immagine per gli appassionati delle serie TV, rappresentando il grado d’influenza che la finanza globale esercita sulla vita di persone e paesi.
Avendo ammirato la trasposizione dei Diavoli dalla realtà alla fiction letteraria e cinematografica, ho ritenuto utile porre il medesimo soggetto al centro della teoria economica e finanziaria per vedere come cambia l’allocazione internazionale del capitale, e con quali conseguenze, quando sono i Diavoli a pilotarla.
Avevo iniziato a farlo col mio primo lavoro sulla Portfolio theory of inflation and policy (in)effectiveness, che ho successivamente illustrato in un contributo più di natura divulgativa e che ho ripreso nel lavoro appena pubblicato nel quale ho corretto gli errori della prima versione e ho sviluppato altri importanti aspetti della teoria. In questi lavori, non compare ovviamente il nome “Diavoli”, avendo usato in suo luogo quello meno accattivante ma accademicamente più accettabile di “Investitori globali”, specificamente definiti. Nel prosieguo di quest’articolo, che esporrà i tratti essenziali del mio lavoro, prenderò a prestito la felice invenzione di Brera e parlerò dunque di Teoria dei Diavoli.
Giusto per caratterizzarne l’impostazione generale, rappresento che laddove nei modelli economici standard l’impatto delle politiche macroeconomiche si misura considerando il modo in cui le azioni di governo influiscono sulle scelte di una moltitudine di operatori locali piccoli e privi del potere, da soli, di influenzare gli andamenti dei mercati, nella Teoria dei Diavoli gli investitori globali sono al centro di un modello di economie nazionali altamente integrate che studia come le loro scelte di portafoglio hanno il potere di alterare le azioni di governo e i relativi effetti macroeconomici e finanziari.
La Teoria dei Diavoli
La Teoria dei Diavoli si riferisce a un grado d’integrazione finanziaria internazionale molto elevato e indica un contesto nel quale le passività pubbliche di un paese (moneta e debito) vengono negoziate sui mercati finanziari internazionali a prezzi che sono influenzanti (se non determinati) dalle scelte allocative di investitori globali, alias i Diavoli.
Tre aspetti macroeconomici costituiscono le componenti chiave della teoria:
- La centralità dei Diavoli nell’allocazione internazionale delle risorse.
- L’elasticità dei vincoli intertemporali di bilancio (VIB) degli Stati come funzione della credibilità dei rispettivi governi agli occhi dei Diavoli.
- La neutralità dei Diavoli rispetto al rischio delle diverse valute in cui sono espresse le passività pubbliche di un paese.
Passiamo in rassegna queste componenti.
I Diavoli
A differenza degli operatori locali, i Diavoli agiscono come “investitori marginali” che, in quanto tali, esercitano un’influenza decisiva sul prezzo degli scambi che effettuano sui mercati finanziari internazionali. Rispetto agli operatori locali, essi godono di un accesso ben maggiore alle informazioni rilevanti e dispongono di risorse assai più ingenti per assorbire i costi di transazione. Inoltre, i Diavoli non soffrono di “home bias” (ovvero di preferenze verso le economie nelle quali investono) o, se ne soffrono, le loro preferenze si rivolgono ai maggiori centri finanziari dove sono basati, non certo verso le economie periferiche dove investono, in tal modo amplificando gli effetti (ri)allocativi delle loro scelte che in casi di crisi sfavoriscono tali economie. Nella fiction di Brera, per esempio, che certamente trae da una conoscenza “dal di dentro” della finanza globale e dei suoi attori principali, il Diavolo per eccellenza, Dominic Morgan, amministratore delegato del gigante bancario New York-London Investment Bank (NYL), certamente pensa in termini globali, ma la visione strategica che lo anima e che motiva le sue scelte d’investimento è profondamente americano-centrica.
Soprattutto, i Diavoli utilizzano criteri di allocazione delle risorse basati su prezzi e fattori di rischio globali; per esempio, non utilizzano i tassi d’inflazione locali per misurare il valore reale delle loro attività d’investimento, ma considerano in loro vece deflatori globali oppure le dinamiche dei tassi di cambio delle valute di riferimento, le cui variazioni relative possono differire anche di parecchio e persistentemente dalle sottostanti parità teoriche dei poteri d’acquisto. Oppure semplicemente pensano in termini di una valuta di riserva presa a riferimento (tipicamente il dollaro).
I Diavoli consumano solo una piccolissima frazione delle proprie ricchezze, mentre la grossa parte la (re)investono, e in ogni caso non la consumano nei paesi dove investono, se non in misura trascurabile. Per loro, quindi, il rendimento reale dei capitali investiti tiene conto dei prezzi delle attività di investimento alternative, non dei prezzi dei beni e servizi locali. Beninteso, anche gli investitori locali possono adottare comportamenti e parametri analoghi, ma tendono comunque a seguire e replicare le scelte allocative dei Diavoli e operano ai prezzi di mercato da questi influenzati se non determinati.
Si osservi che, in circostanze così fortemente condizionate da attori globali, e soprattutto per economie piccole e aperte, sono i tassi d’inflazione nazionali a essere determinati dalla dinamica dei tassi di cambio, piuttosto che il contrario; e più sono flessibili i prezzi interni di queste economie, maggiore è la trasmissione verso questi prezzi delle variazioni dei tassi di cambio (il cosiddetto “effetto pass-through”) indotte dai Diavoli.
Di fronte alle prospettive di un paese che emette passività in quantità superiori al livello che essi giudicano sostenibile, i Diavoli sono pronti a sostituirle con attività estere che servano da riserve di valore più sicure; e le sostituiscono molto più rapidamente, su scala molto più ampia, e a costi assai più bassi, di quanto non possano fare i piccoli operatori locali, in tal modo esercitando un peso decisivo sulla determinazione dei prezzi. Di fatto, proprio per queste ragioni, i piccoli operatori locali finiscono per servirsi dei servizi dei Diavoli per gestire indirettamente i loro risparmi e, anche quando agiscono in prima persona, transano ai prezzi determinati al margine dai Diavoli.
Naturalmente, chi opera localmente richiede valuta nazionale per l’esecuzione delle transazioni interne e per il pagamento delle tasse, così come acquista prevalentemente titoli di risparmio denominati in valuta locale in presenza di costi di transazione e fattori di viscosità che limitano le possibilità di diversificazione dei portafogli. Tuttavia, tale domanda di attività in valuta locale può non essere sufficiente per impedirne il deprezzamento nell’eventualità che i Diavoli, spinti da aspettative pessimistiche, spostino rapidamente grandi quantità di capitale verso attività alternative. E, ancora una volta, in ogni caso, la domanda avverrà ai prezzi che si saranno determinati sui mercati per effetto dei Diavoli.
I Diavoli e i vincoli di bilancio statali
Sebbene i contratti di debito siano generalmente espressi in termini nominali, chi li acquista lo fa perché rappresentano diritti su risorse reali ed è pertanto interessato a recuperare il valore reale di quanto ha in essi investito (più gli interessi). Ciascun emittente di passività deve impegnarsi a generare nel tempo risorse reali sufficienti per adempiere ai propri obblighi finanziari nei confronti degli investitori.
Coerentemente a ciò, il VIB per uno Stato esprime l’obbligo che il valore corrente attualizzato delle eccedenze future del bilancio dello Stato sia almeno uguale a quello delle passività pubbliche correntemente in essere. Dal punto di vista dei Diavoli, dunque, gli Stati che emettono passività devono dimostrarsi capaci e disposti a restituire l’intero valore delle loro future obbligazioni di debito espresse in termini di valute di riserva o di potere d’acquisto internazionale. Inoltre, il VIB deve valere ugualmente indipendentemente dalla valuta in cui sono denominate le passività (si veda la sezione successiva).
Il VIB si traduce in un vincolo più o meno stringente, a seconda della considerazione che i Diavoli hanno della credibilità del paese in questione, e ciò determina l’“elasticità” del suo VIB, cioè quanto il vincolo possa essere attenuato senza compromettere la sostenibilità finanziaria del paese emittente. Questa elasticità varia da paese a paese, ma ogni Stato deve sottostare a un VIB e, per quanto elastico questo sia, c’è sempre un punto critico oltre il quale esso diventa stringente.
Uno Stato che, a parità di altre condizioni, si dimostri più di un altro capace e disposto a soddisfare il proprio VIB è ritenuto più credibile dai Diavoli, che gli concedono quindi un maggiore spazio di policy – definibile come margine d’azione che i policymaker possono utilizzare per condurre politiche fiscali e monetarie espansive prima che esse minino la sostenibilità delle passività pubbliche e/o prima che si rendano necessarie misure per garantirne la sostenibilità.
Maggiore è la credibilità di uno Stato (agli occhi dei Diavoli), maggiore è l’elasticità del suo VIB e maggiore è la disponibilità dei Diavoli stessi ad assorbire quantità più ampie di passività a dati prezzi, consentendo al governo maggiori margini di manovra per politiche espansive. D’altra parte, con una credibilità più debole, le prospettive che lo Stato sia capace e disposto a raccogliere risorse future sufficienti per ripagare i suoi obblighi di debito sarebbero percepite dai Diavoli come più incerte e il VIB farebbe scendere i prezzi delle obbligazioni, restringendo i margini di azione. Un’ulteriore erosione della credibilità dello Stato potrebbe persino portare i Diavoli a non volere più acquistare o detenere le sue obbligazioni e a spostare conseguentemente i capitali verso attività estere, azzerando lo spazio di policy.
Riguardo all’obiezione secondo cui uno Stato che gode di sovranità monetaria non sottostà al VIB, giacché esso può sempre stampare il danaro necessario per onorare i propri obblighi di debito, la Teoria dei Diavoli risponde che, poiché i Diavoli sono guidati dal giudizio di credibilità che essi stessi attribuiscono allo Stato emittente, laddove essi giudicheranno quello Stato poco o per niente credibile, agiranno in modo da ridurre il valore delle sue passività e influenzeranno i mercati sino al punto da indebolire la domanda di passività denominate nella valuta dello Stato in parola, in tal modo incidendo sul suo VIB e restringendo il suo spazio di policy. Viceversa, per gli Stati che i Diavoli giudicheranno credibili.
Il fatto che lo Stato possa stampare quantità illimitate di valuta nazionale (cosa che non potrebbe fare in valuta estera) non altera (a parità di circostanze) le perdite (reali) che i Diavoli prevedono di incorrere su contratti espressi in valute diverse: le condizioni contrattuali sarebbero stipulate in modo tale da rendere i Diavoli indifferenti tra le diverse valute di denominazione utilizzate.
Neutralità dei Diavoli verso il rischio di denominazione
Come osservato, si sostiene sovente che gli Stati che emettono passività denominate nella propria valuta non possono risultare inadempienti sugli obblighi derivanti da tali passività. Ciò dovrebbe convincere i governi a denominare sempre il proprio debito nella valuta nazionale, poiché ciò aumenterebbe il loro potere negoziale nei confronti dei Diavoli.
Se così fosse, un governo potrebbe sempre ottenere un “pasto gratuito” indebitandosi nella propria valuta, di cui può sempre disporre in quanto possa stamparne in quantità illimitata. Il che, invero, accade quando il governo è in condizione di sfruttare investitori locali piccoli, disinformati e con limitata capacità di gestione degli investimenti, oppure che operano in mercati dei capitali locali segmentati, chiusi o captivi.
Ma, lo ricordiamo, in mercati non captivi, gli investitori intendono recuperare il valore reale dei loro investimenti (più un adeguato tasso di ritorno) e non investono altrimenti oppure escono dall’investimento che non risulta remunerativo. Per i Diavoli, che misurano il valore reale dei propri investimenti in dollari o sulla base di un deflatore globale, essere ripagati in una valuta che si svaluta e il cui tasso di svalutazione non è compensato, costituisce una forma di default, se non in termini legali, certamente in termini economici e finanziari. Pertanto, come detto, o investono proteggendosi da questo rischio, o non investono, o escono dall’investimento.
Quando le economie nazionali sono finanziariamente integrate e le loro passività vengono scambiate sui mercati globali, i Diavoli valutano la capacità di rimborso del debito (in risorse reali) dei mutuatari (ad esempio, i governi): tale capacità è ovviamente la stessa in qualunque valuta siano stipulati i contratti, giacché lo stesso è il potenziale produttivo che genera le risorse per ripagare il valore reale dell’investimento (più il ritorno richiesto). Ho dato dimostrazione formale di questa conclusione applicando il teorema di Modigliani-Miller alle finanze pubbliche di economie globalizzate.
Simmetricamente, lo Stato emittente è soggetto al medesimo VIB per ciascuno dei suoi contratti, poiché il tasso d’interesse che riconosce sulle proprie passività deve adeguarsi al sottostante rischio che, per quanto già visto, non può che essere uguale per tutti i contratti, a prescindere dalla valuta di denominazione. Inoltre, quanto minore è la credibilità dello Stato emittente, tanto maggiore è il rischio di deprezzamento della valuta e quindi il premio d’interesse richiesto dai Diavoli per essere indotti ad acquistarne e detenerne le passività. Da qui la loro neutralità tra passività emesse dalla stessa entità e denominate in valute diverse.
I principali risultati della Teoria dei Diavoli
Secondo la Teoria dei Diavoli, l’integrazione di un’economia nazionale nei mercati finanziari globali conferisce a questi ultimi il potere di creare o distruggere lo spazio di policy dei governi. L’ampiezza di questo spazio dipende da quanto i Diavoli ritengano credibili le politiche adottate (e le istituzioni che le adottano), sullo sfondo del potenziale produttivo dell’economia sottostante.
Poiché i Diavoli operano su un orizzonte temporale multi-periodale, lo spazio di policy che le loro scelte perimetrano per un paese ne determinano l’elasticità del relativo VIB e, quindi, ne fissa i gradi di libertà disponibili per prendere a prestito risorse dal futuro da impiegare per usi correnti: quando i Diavoli ritengono che la credibilità di un’economia sia bassa, il VIB è più rigido e l’effetto dell’emissione di passività (sotto forma di danaro o debito), pure intesa a stimolare l’economia, tende a dissiparsi in deprezzamento della valuta nazionale e aumento dell’inflazione. D’altra parte, se la stessa azione espansiva è intrapresa da un paese giudicato credibile, un VIB più elastico rende l’effetto macroeconomico efficace e senza conseguenze dissipative. Le preferenze dei Diavoli, dunque determinano l’efficacia o inefficacia delle politiche macroeconomiche: questa è la fonte del loro potere.
La Teoria dei Diavoli spiega anche perché politiche simili hanno effetti diversi in paesi diversi. Spiega, ad esempio, perché, sino a prima del Covid, in Giappone politiche fiscali e monetarie espansive di durata e intensità senza precedenti permettessero un’elevata occupazione e un livello d’inflazione praticamente pari a zero, mentre stimoli notevolmente inferiori in Turchia causavano il crollo della lira turca e un pericoloso aumento dell’inflazione. Così come per anni, in Stati Uniti, la Federal Reserve e il Tesoro statunitensi sono riusciti a portare la disoccupazione ai minimi storici senza surriscaldare l’economia, mentre nello stesso periodo l’espansione fiscale e monetaria in Messico ha comportato il deprezzamento della valuta e l’aumento dell’inflazione senza apparenti vantaggi.
Dalla Teoria del Diavoli deriva infine che, se un’economia è afflitta da scarsa credibilità, essa ha poco da guadagnare dall’adozione di un regime di tassi di cambio flessibili in termini di di recupero di maggiori margini d’indipendenza nell’uso delle leve di policy. Seppure, in linea di principio, i regimi di cambio flessibili conferiscono ai policymaker una maggiore flessibilità rispetto a quelli fissi, la flessibilità varia inversamente alla credibilità del paese percepita dai Diavoli. Maggiore è lo stock di passività di un paese poco credibile, meno elastico è il VIB che i Diavoli gli concedono e maggiore è la sua esposizione al rischio d’interruzione improvvisa di afflusso di capitali dall’estero e di deflusso di capitali verso l’estero, a prescindere dalla valuta di denominazione delle passività.
I Diavoli in azione: un esempio recentissimo
Le recenti vicende della sterlina inglese offrono un plastico esempio dei Diavoli in azione. Ripercorrendo brevemente i fatti che risalgono soltanto a qualche settimana fa di questo difficile autunno, il precedente Governo britannico, da poco insediatosi alla guida del Liz Truss, aveva dato pubblico annuncio di una manovra fiscale incentrata sul taglio delle tasse alle fasce di reddito più alte e sul congelamento dei prezzi dell’energia; manovra che all’incirca costa 60 miliardi di sterline da finanziare in deficit. I mercati l’avevano bocciata, non già perché di colpo scopertisi sensibili ai problemi della disuguaglianza sociale, ma semplicemente perché convinti che il proposto pacchetto di misure espansive, nel dato contesto inflazionistico, costituisse la premessa di una politica di bilancio non sostenibile. Ne seguirono una svendita dei titoli di stato e una crisi valutaria che la Banca d’Inghilterra affrontò stampando sterline, acquistando i titoli, stabilizzandone i prezzi e consentendo il recupero della sterlina. il Governo dovette infine ritirare il provvedimento e prima il Cancelliere dello Scacchiere e poi lo stesso Premier poi furono costretti alle dimissioni. Il resto è cronaca dei nostri giorni.
Quel che di questa storia rileva ai fini del presente articolo è che al crollo di credibilità del Governo di Sua Maestà agli occhi dei Diavoli ha fatto riscontro la credibilità che gli stessi riconoscono alla “Vecchia Signora” – la Banca d’Inghilterra – il cui intervento, grazie a ciò, ha efficacemente difeso il valore del debito e della valuta nazionale, ad onta peraltro delle difficoltà poste dal fatto che la Banca si trovasse a dover cogliere con un unico strumento – il tasso di interesse – due obiettivi nella fattispecie opposti: la stabilizzazione del corso dei titoli, da un lato, che richiedeva tassi bassi, e l’impegno a contrastare l’inflazione dall’altro, che richiedeva tassi alti).
Seppure le circostanze abbiano indotto la Banca a interventi e comunicazioni non sempre coerenti, i Diavoli non hanno mai dubitato che, compiuto l’intervento di salvataggio, essa sarebbe tornata a tener fede al suo impegno antinflazionistico di medio termine. Fu molto chiaro in tal senso il segnale del Governatore Andrew Bailey, che, alla successiva seduta di novembre, dichiarò che il Monetary Policy Committee non avrebbe “esitato a variare i tassi d’interesse nella misura necessaria per tornare sostenibilmente all’obiettivo d’inflazione di medio termine del 2%. Non soltanto alcuni operatori gli credettero, altri considerarono anche che l’aumento dei tassi sarebbe stato persino anticipato.
Riconoscendo la credibilità della Banca, i Diavoli le hanno consentito d’intervenire evitando che l’iniezione di nuova moneta causasse ulteriore svalutazione e, anzi, invertendone la tendenza. Così essi hanno, sì, sfiduciato il Governo e il suo debito, ma hanno dato fiducia alla Banca d’Inghilterra e alla moneta da lei emessa (d’altra parte, perché mai dovuto accettare quest’ultima se ne previsto il deprezzamento?).
Si è quindi trattato di un vero e proprio decoupling che solo l’indipendenza della banca centrale ha reso possibile. Certo, la banca centrale non ha evitato la crisi; né, da sola, avrebbe a termine potuto supplire a un quadro di policy giudicato insostenibile. Risolutivo è stato infatti il ritiro del pacchetto proposto da parte del Governo e le successive sostituzioni ai vertici. Ciò tuttavia non invalida, e anzi conferma, l’esigenza di istituzioni credibili agli occhi dei Diavoli quando si naviga sulle acque da loro vigilate.
Per apprezzare appieno questa considerazione si considerino due contro-scenari alternativi. Si supponga, dapprima, che la Banca d’Inghilterra non godesse della credibilità riconosciutale. In tal caso, la scelta di stampare sterline per acquistare titoli di stato (soprattutto a fronte delle elevate aspettative d’inflazione) ne avrebbe depresso il valore, innescando una spirale svalutazione-inflazione-svalutazione che prima o poi avrebbe reso inevitabili correzioni di policy, tanto più restrittive quanto meno credibili fossero ritenuti Governo e Banca.
Si supponga poi che, pure in assenza d’inflazione, il Governo decidesse di perseguire il suo programma di variazione strutturale del bilancio e che la Banca fosse obbligata a monetizzarne permanentemente la spesa in deficit (come auspicano avvenga di norma i simpatizzanti della finanza funzionale). Seppure, in prima battuta, l’inflazione avrebbe anche potuto non risentirne, la crescita attesa indefinita dello stock di moneta avrebbe indotto un aumento della speculazione sui mercati degli asset finanziari e della sterlina, provocando il deprezzamento di quest’ultima e l’effetto di una maggiore inflazione importata. Di più, scontando tali effetti, i Diavoli ne avrebbero accelerato il corso, questa volta sfiduciando egualmente Governo e Banca.
I governi di altri paesi – soprattutto quelli che si sono affidati ai Diavoli con grandi emissioni di debito e quelli che programmano di farlo – traggano utili insegnamenti circa il perimetro di azione disponibile per le proprie scelte di politica economica, e cioè quello “spazio di policy” oltre il quale i Diavoli rendono inefficaci le politiche o possono anche indurle a retroagire negativamente sugli obiettivi prefissati. Quello spazio è endogeno alle scelte dei Diavoli: quanto meno credibili essi giudicano le politiche economiche di un paese, tanto più ne restringono i contorni.
Riflessioni
Mi è stato obiettato che questa teoria decanta i criteri con cui operano i mercati-diavoli e ne esalta il ruolo di guardiani della sostenibilità. Nient’affatto. Questa obiezione scambia il mio tentativo di comprendere il funzionamento di una realtà – tentativo che sottende lo scopo della teoria sopra succintamente esposta – con il mio giudicare quella realtà come buona e desiderabile.
Non è quel che io credo. Detto ciò, dico anche che quel che io credo (o che chiunque altri creda) in proposito non rileva. I mercati hanno criteri per giudicare la credibilità di un’istituzione o di un paese e, giusti o sbagliati che quei criteri siano, chi si affida ai mercati (come fanno governi e operatori che presso di loro collocano ingenti quantità di debito) viene giudicato in base a quei criteri e con quei criteri deve misurarsi. Che piacciano o no e che siano validi o meno.
Quei criteri possono essere falsi o possono essere applicati incorrettamente, ma questo non toglie che i mercati hanno la forza (invero, lo strapotere) per imporli. L’indipendenza della banca centrale, per esempio, rientra tra questi criteri e la sua fondatezza, quale strumento di orientamento in senso antinflazionistico delle aspettative dei soggetti economici, può essere messa in discussione (si veda al riguardo il bel contributo di Thomas Palley sul tema). Ai fini pratici, tuttavia, ciò diventa irrilevante una volta che i mercati ne abbiano fatto uno dei criteri su cui incardinare le proprie scelte allocative. Chi lavora sui mercati sa bene quanto condizionanti (se non determinanti) siano tali scelte nel definire il perimetro dello spazio di policy agibile dai governi che ai mercati ricorrono per prendere risorse a prestito.
La crisi britannica dei gilts deriva da un pacchetto di policy che i Diavoli hanno giudicato non sostenibile (a torto o a ragione) e che solo la credibilità della Banca d’Inghilterra (sempre agli occhi dei Diavoli) ha parzialmente risolto, pur con tutte le asperità e incoerenze del caso. È un fatto che la forza dei Diavoli sia infine riuscita a far cadere la leadership di un governo di un paese dal peso, peraltro, nient’affatto trascurabile come il Regno Unito.
Quando ai Diavoli ci si affida “mani e piedi”, con le loro regole si è costretti a giocare e discuterne del merito diventa pretestuoso. È semmai sullo strapotere dei Diavoli che occorre interrogarsi e sull’opportunità che i paesi consegnino loro una parte importante dei propri destini, emettendo passività (debito e/o moneta) in misura sconsiderata sino a perderne la sovranità.
Conclusione
Nel mondo della finanza globalizzata, i Diavoli determinano la relativa (in)efficacia delle politiche macroeconomiche dei paesi dove essi investono capitali: più debole è la credibilità che essi attribuiscono a un paese e alle sue istituzioni, più ristretto è lo spazio di policyche essi gli concedono e meno efficaci (o per niente efficaci) risultano le manovre espansive.
Inoltre, lo spazio si contrae tanto più quanto più i Diavoli ritengano che le policy adottate dal paese ne erodano ulteriormente la credibilità, dissipandone gli effetti sottoforma di svalutazione del cambio e maggiore inflazione importata. Alla fine, i Diavoli vedono giusto. Ma non perché sono brevi e sanno prevedere il futuro, ma perché possono farlo accadere – semplicemente (ri)orientando i propri portafogli.
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