Guerra e parole
da ANALISI DIFESA (Marco Bertolini)
Non so se l’avete notato, ma nella nuova realtà sono scomparse parole, concetti, che fino a un annetto fa erano ricorrenti e facevano parte del minestrone semantico di tutti i giorni.
Uno di questi era il termine ”Esercito Europeo”, espressione abbastanza generica e fumosa con la quale si intendeva la realizzazione di una capacità militare comune in ambito UE (fatta coincidere e confusa, senza troppi complimenti, con l’Europa, che è altra cosa). Era una semplice velleità, un po’ pelosa, con la quale l’UE diceva di volersi accreditare come potenza militare autonoma tra le grandi, nonostante il disarmo progressivo al quale si era applicata con entusiasmo da qualche decennio, dopo che era stata convinta che il futuro delle operazioni militari sarebbe stato esclusivamente nelle cosiddette “operazioni di pace”: quelle condotte dal Primo Mondo, per esportare il suo benefico modello sugli altri pianeti.
L’uovo di Colombo, insomma: mettiamo assieme le nostre insufficienze militari per avere una forza credibile complessiva, senza dover rinunciare al godimento dell’inutile e senza ammainare la bandiera del nostro stile di vita, anzi della nostra way of life, che dovrebbe distinguerci da quegli arretrati dei nostri avi.
Operazioni di pace, appunto, altro termine scomparso dal vocabolario corrente con l’esplodere in Europa della guerra vera che fa tenere il fiato sospeso a tutte le tifoserie, scandalizzate dal fatto che la realtà non si è piegata alle loro infatuazioni ideologiche, ai loro convincimenti di tronfi fruitori della modernità e, in Italia, di figli di una Costituzione che avrebbe abolito la guerra col suo articolo 11 da almeno ottant’anni.
Una modernità per la quale la militarità dovrebbe essere scorporata dall’etica del soldato di tutti i tempi, basata sull’amor di Patria da sostituire con l’asettica disciplina di coalizione; basata sul sacrificio estremo, sulla forza militare quale lecita espressione dello Stato e su un’idea virile di società che mal si adatta ai dettami della femminizzazione di tutti i ruoli, inopinatamente smentita dalle immagini degli scannamenti intereuropei che quotidianamente erompono con maschia brutalità dai nostri teleschermi.
L’Esercito Europeo! Come è andata a finire questa velleitaria terzietà continentale l’abbiamo visto in questi mesi nei quali l’UE si è appiattita completamente sulle posizioni Usa e Nato nella guerra in Ucraina, senza nemmeno tentare di far valere le proprie esigenze e preoccupazioni per una guerra che affligge il nostro continente e non la Luna.
Una UE che si limita a passare ai suoi “soci” le istanze ucraine o d’oltreatlantico, drenando preziose risorse dalle singole Difese nazionali per alimentare una guerra per classiche rivendicazioni territoriali tra due Stati sovrani, estranei all’Unione stessa, che non ci dovrebbe riguardare direttamente. Una guerra dalla quale, infine, non ci verrà nulla di buono.
Inutile dire che, nel caso di questa fantastica e fantasiosa Difesa Comune, si trattava di un’idea peregrina anche perché non esistono in ambito europeo interessi così radicalmente comuni da presupporre anche l’impiego delle armi e il versamento del sangue delle singole gioventù nazionali, per difenderli.
Non è di interesse comune il rapporto con il Nord Africa, incendiato da Usa, UK e Francia con le primavere arabe, abbandonando il Sud Europa e l’Italia in particolare alle conseguenze di una guerra che ha distrutto ogni speranza di stabilità alle porte di casa nostra nell’indifferenza generale, con particolare riferimento a quella del Nord Europa.
Non è di interesse comune quello che succede in Medio Oriente dove una guerra crudelissima ha ucciso centinaia di migliaia di persone e distrutto comunità antichissime in Siria, musulmane e cristiane, e dove si è evitato che ISIS e Al Qaeda aprissero i loro ombrelloni sulle spiagge di Latakia e Tartus solo grazie all’intervento di una potenza europea, la Russia, mentre altre potenze europee ed extraeuropee di fatto remavano e remano contro.
Non è stato di interesse comune il guazzabuglio creato nei Balcani, dove si è impiantato un muretto di Berlino tra Kosovo e Serbia che ha continuato a dividere l’Europa dopo la caduta della Cortina di Ferro – e che tutt’oggi continua a preoccupare – mentre i singoli paesi europei si interessavano soprattutto di ricavarsi nell’area vantaggi esclusivi a scapito delle realtà statuali locali e dei “concorrenti” del vecchio continente.
E non è di interesse comune neanche l’incendio bellico appiccato in Ucraina con l’Euromaidan nel 2014 e con quello che ne è seguito l’anno scorso, anche se ora tutta Europa sembra essersi stretta a coorte per rispondere alla chiamata alle armi di una potenza extra europea come gli Usa che vuol mettere le cose a posto (?).
Ma che ci siano come minimo diverse sensibilità in merito è fuor di dubbio, viste le esitazioni dell’Ungheria e della Bulgaria, gli alti e bassi della Francia e i timori della Germania, già degradata a modesta potenza regionale da rampante potenza economica mondiale che era, dopo il taglio del Nord Stream 1 e 2 che la collegava comodamente e a buon mercato al più grande distributore di energia del mondo.
E’ in questo complicato contesto che è scomparso un altro termine, sovranità, a meno di sporadiche comparsate per irridere, da parte di chi lo ha sempre vituperato, gli avversari che invece lo eleggevano a propria bandiera. Avversari che ora sono costretti a rincorrere UE e Nato, in un crescendo rossiniano di chiamate alle armi che poco o nulla hanno a che fare con gli interessi nazionali dei rispettivi Stati.
Nessuno sembra averlo capito, tristemente, ma la cessione dei propri “gioielli” militari ad altri – nella consapevolezza che dopo la perdita della moneta nazionale, Forze Armate forti e ben equipaggiate rimangono l’ultimo presidio di una indipendenza costata sangue e sacrifici per generazioni – potrebbe rappresentare la fine di un’epoca nella quale le sovranità nazionali hanno dato forma all’Occidente.
Lo dobbiamo fare per difendere la democrazia, ci dicono, come se di una democrazia compiuta si trattasse nel caso di un paese che ha messo fuorilegge i partiti di opposizione, che chiude le chiese ortodosse arrestandone i preti e che discrimina i propri cittadini in base alla lingua che parlano.
Una guerra per difendere un principio, insomma, come se fosse umano mettere a rischio la vita di migliaia di ragazzi semplicemente per affermare un “valore”, qualunque esso sia, e non per un interesse concreto, che riguardi il proprio popolo e il suo (del popolo) futuro.
Puoi consolare una madre che ha perso il proprio figlio per salvare, armi in pugno, la sua famiglia. Puoi consolarne altre costrette allo stesso sacrificio per il bene della propria comunità; le più generose si faranno una ragione della perdita grazie alla consapevolezza che è stato per la salvezza della propria Patria e per questo, l’Ucraina è nel suo pieno diritto di combattere finche lo riterrà necessario.
Ma a nessuno si possono chiedere sacrifici per contese territoriali tra paesi diversi dal suo, soprattutto se come nel caso in esame non sono nemmeno suoi alleati. Questa era la logica delle guerre di un tempo. Una logica cinica ma che riusciva a circoscrivere gli incendi, al contrario del moralismo attuale per il quale non esistono confini e differenze ma che non si fa scrupoli a discriminare i buoni dai cattivi usando filtri autoreferenziali, irrorando di benzina le fiamme.
Foto: Commissione Ue, Fausto Biloslavo, RIA-FAN e Ministero Difesa Ucraino
FONTE: https://www.analisidifesa.it/2023/01/guerra-e-parole/
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