Le carceri italiane, Alfredo Cospito e il 41 bis
di GLI ASINI (Marzia Coronati)
Qualche sera fa a Roma, in un piccolo locale di periferia, Flavio Rossi Albertini ha incontrato una cinquantina di persone interessate a saperne di più sul caso Cospito, lo ha fatto dopo una proiezione di un breve filmato, un documentario montato in fretta e furia in queste settimane per ripercorrere le vicende biografiche di Alfredo Cospito. Rossi Albertini è l’avvocato dell’uomo detenuto al 41bis in sciopero della fame da più di cento giorni, quella sera era stanco, è entrato nella stanza riscaldata da una stufa a fungo e si è seduto su una delle sedie disposte in semicircolo, era reduce da altri tre incontri in cui era stato chiamato a raccontare, spiegare, rispondere alle domande: un ritmo incessante e del tutto inusuale a cui è sottoposto da settimane. Era un venerdì, le dieci di sera, faceva un gran freddo, il giorno dopo il legale avrebbe preso un aereo per raggiungere il carcere di Bancali a Sassari, eppure non ha rinunciato a mettere a disposizione le sue informazioni e competenze con sconfinata generosità e pazienza.
Rossi Albertini è un avvocato appassionato, una persona piuttosto schiva e umile, non un giornalista, non un conferenziere né uno showman, ma un professionista che risponde a un’urgenza contingente. È un continuo di telefonate, richieste, interviste, ha esordito, tutti vogliono fare la scarpetta nel sangue di Alfredo, ma rispondere ora è necessario. Già, perché questa mediatizzazione, spesso fastidiosa, impropria, imprecisa, sta – a volte anche suo malgrado – raccogliendo alcuni frutti, velocizzando alcuni passaggi amministrativi di firme e scartoffie depositati su tavoli di uffici, segreterie e tribunali, snellendo una serie di processi che avrebbero comportato mesi di attesa in qualsiasi altra situazione. Così l’avvocato non si ferma, continua a fare avanti indietro tra il carcere (prima a Sassari, ora a Milano) e Roma, a lavorare in studio, a studiare documenti e possibili soluzioni, a parlare, a spiegare. La sua posizione, o meglio, la conclusione che ho tratto dal suo resoconto, è chiara, semplice, lineare, logica: Alfredo Cospito non deve essere sottoposto al 41bis perché nessuno dovrebbe esserne sottoposto, perché non è un regime legale, non è legale negare a qualcuno di avere nella propria cella le foto dei suoi genitori, non è legale non potere vedere per mesi un albero, una siepe una foglia, non è legale non potere toccare i propri cari, non è legale passare le giornate in una buia cella sotto il livello del mare dove non batte mai la luce del sole.
Dopo un’ora abbondante di conversazione, di domande e di dubbi appariva chiaro a tutti i presenti una circostanza: le condizioni in cui si trovano attualmente i detenuti al 41bis non solo non rispondono al diritto, ma risultano totalmente inutili. In sintesi, poiché il tempo stringe e mentre scriviamo e ciarliamo la salute di Alfredo si sgretola rapidamente, la domanda che ognuno di noi si dovrebbe fare è la seguente: in che modo queste misure rispondono all’esigenza di sicurezza? Un piccolo esempio: se un detenuto in regime speciale porta a colloquio una bottiglietta d’acqua dovrà eliminare l’etichetta prima di sedersi oltre il vetro perché quelle paroline stampate – Egeria, Claudia, Fiuggi, etc.. – potrebbero tradursi in un messaggio dal contenuto potenzialmente pericoloso per i visitatori. Risponde questa misura a un criterio razionale, logico? Appare evidente che il 41bis, così come messo in pratica oggi per Cospito, risponda solo a una volontà punitiva nei confronti del detenuto, sazi il sentimento della vendetta e il desiderio di umiliazione.
Usciremo da questo inferno, ma soprattutto usciranno da questo inferno i 728 detenuti oggi al 41bis nelle carceri italiane, quando capiremo che è solo una questione di diritto, che prescinde dall’identità della persona incriminata. Fa male leggere che Alfredo Cospito vada salvato perché in fondo anche lui è un uomo, perché, anche se terrorista, dovremmo farci muovere da un afflato umanitario. È fuorviante, è ipocrita, fa somigliare questa battaglia a quelle per salvare l’orso in estinzione e questo tragico assistere alla sua lenta morte a quella di un altro Alfredo. Ma Cospito è caduto in un pozzo diverso, da cui ancora si può uscire. Cospito va salvato in base alla legge e alla Costituzione, e questo, come sta urlando a gran voce in questi giorni anche Luigi Manconi, prescinde dalle parole che ha scritto o dal suo curriculum criminale. Ora, la decisione contingente è in mano al ministro Carlo Nordio, tocca a lui intervenire, facendo un doppio intervento: in primo luogo, revocare quella norma ministeriale prevista dall’allora ministro Angelino Alfano risalente a una decina di anni fa che impedisce al Ministro della Giustizia di revocare il 41bis, successivamente revocando il regime di 41bis a cui è sottoposto il detenuto. Questo dovrà fare Nordio, tutti noi invece dovremmo toglierci il prosciutto dagli occhi e chiederci se questa misura non solo sia legale ma sia anche utile, se le restrizioni imposte ai 41bis abbiano in fondo qualcosa a che fare con la sicurezza, la legge, il diritto.
La mattina dello stesso giorno in cui ci ha incontrati in quel freddo locale, l’avvocato era stato in una scuola. I ragazzi e le ragazze lo avevano travolto di domande, riflessioni, perplessità, stupori. Chissà che un giorno i nostri figli non racconteranno ai loro: “sai che ai tempi dei miei esisteva un istituto chiamato carcere?”.
FONTE:https://gliasinirivista.org/le-carceri-italiane-alfredo-cospito-e-il-41-bis/
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