Questa non è vita
di GLI ASINI (Alfredo Cospito)
Fa quasi tenerezza lo stile ottocentesco della lettera che Alfredo Cospito ha scritto in carcere, presumibilmente a gennaio, a difesa del suo anarchismo e contro il cosiddetto regime del 41 bis cui è sottoposto. Assomiglia, in alcuni passaggi retorici (Be! Ci dovevate pensare prima di mettere un anarchico qui dentro), all’arringa finale di Gian Maria Volonté nel Sacco e Vanzetti di Montaldo.
L’ha resa pubblica il primo marzo scorso il suo legale, Flavio Rossi Albertini, durante la conferenza stampa in cui ha annunciato il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) in seguito alla decisione della corte di Cassazione di non modificare il regime carcerario in cui si trova Cospito. Nel frattempo l’Onu ha inviato un documento allo Stato italiano nel quale si chiede di rispettare gli standard internazionali di detenzione.
Uno stile gentile, per rimanere al contenuto della lettera e alla sua forma, attento perfino al genere dei nomi. Un italiano malfermo sul piano sintattico ma molto efficace su quello logico nello smontare l’accusa in base alla quale gli è stato comminato il 41 bis: di essere un cospiratore capace di guidare dal carcere una presunta organizzazione sovversiva (“Il più grande insulto per una anarchico- a è quello di essere accusato di dare o ricevere ordini”).
Un documento che riteniamo importante anche laddove non ne condividiamo gli assunti: l’orgoglio con cui rivendica la violenza delle sue azioni, l’individualismo del suo anarchismo, la “corrente anti-organizzatrice” cui dichiara di appartenere.
Fragili intellettualismi di fronte alla testimonianza in presa diretta di un uomo che sta morendo (e che le istituzioni dello stato stanno lasciando morire) ma che ha imparato a usare con estrema consapevolezza il proprio corpo, unico strumento di cui dispone per comunicare con l’esterno, per mettere in risalto le contraddizioni del nostro sistema carcerario: l’isolamento, la solitudine, l’insensatezza di certe consuetudini, la disumana inefficacia di un certo modo di intendere la pena.
Non ci sostiene la “fede” con cui Cospito sembra dare un senso ultraterreno al suo sacrificio, né la fiducia che la sua morte, se arriverà, “porrà un intoppo” agli strumenti più insopportabili del nostro sistema penale, alle sue consuetudini più alienanti. Ma è di questo che lui vorrebbe si parlasse intorno al suo caso, più che blaterare di galassia anarchica. E a questo scopo pubblichiamo sia la versione originale della sua lettera (la forma in cui consigliamo di leggerla) che la sua trascrizione (così da darle maggiori chance di circolazione). Gli asini
La mia lotta contro il 41 bis è una lotta individuale da anarchico, non faccio e non ricevo ricatti. Semplicemente non posso vivere in un regime disumano come quello del 41 bis, dove non posso leggere liberamente quello che voglio, libri, giornali, periodici anarchici, riviste d’arte e scientifiche e di letteratura e storia. L’unica possibilità che ho di uscire è quella di rinnegare la mia anarchia e vendermi qualcuno da mettere al posto mio. Un regime dove non posso avere alcun contatto umano, dove non posso più vedere o accarezzare un filo d’erba o abbracciare una persona cara. Un regime dove le foto dei tuoi genitori vengono sequestrate, seppellito vivo in una tomba in un luogo di morte. Porterò avanti la mia lotta fino alle estreme conseguenze, non per “ricatto”, ma perché questa non è vita. Se l’obiettivo dello Stato italiano è quello di farmi “dissociare “dalle azioni degli/e anarchici/e fuori, sappia che io ricatti non ne subisco, da buon anarchico credo che ognuno è responsabile delle proprie azioni, e da appartenente alla corrente anti-organizzatrice non mi sono mai “associato” ad alcuno e quindi non posso “dissociarmi” dal alcuno. L’affinità è un’altra cosa. Un anarchico-a coerente non prende le distanze da altri anarchici-e per opportunismo o convenienza.
Ho sempre rivendicato con orgoglio le mie azioni (anche nei tribunali, per questo mi ritrovo qui) e mai criticato quelle degli altri compagni-e, tantomeno quindi in una situazione come quella in cui mi trovo.
Il più grande insulto per una anarchico- a è quello di essere accusato di dare o ricevere ordini.
Quando ero a regime di alta sorveglianza avevo comunque la censura, e non ho mai spedito “pizzini” ma articoli per giornali e riviste anarchiche.
E soprattutto ero libero di ricevere libri e riviste e scrivere libri leggere quello che volevo, insomma mi era permesso di evolvere, vivere.
Oggi sono pronto a morire per far conoscere al mondo cosa è veramente il 41 bis, 750 persone lo subiscono senza fiatare, mostrificati di continuo dai mass media.
Ora tocca a me, mi avete prima mostrificato come il terrorista sanguinario, poi mi avete santificato come l’anarchico martire che si sacrifica per gli altri, adesso mostrificato di nuovo come capo della terribile Spectra. Quando tutto questo sarà finito, non ho dubbi, [sarò] portato sugli altari del martirio. Grazie no, non ci sto, ai vostri sporchi giochetti politici non mi presto.
In realtà il vero problema dello stato italiano è quello che non si venga a sapere tutti i diritti umani che vengono violati in questo regime, il 41 bis, in nome di una “sicurezza” per la quale sacrificare tutto punto. Be! Ci dovevate pensare prima di mettere un anarchico qui dentro, non so le reali motivazioni o le manovre politiche che ci sono dietro. Il perché qualcuno mi abbia usato come “polpetta avvelenata” in questo regime. Era abbastanza difficile non prevedere quali sarebbero state le mie reazioni davanti a questa “non vita”. Uno stato quello italiano degno rappresentante di un’ipocrisia di un occidente che dà continue lezioni di “moralità” al resto del mondo. Il 41 bis ha dato lezioni repressive ben accolte da stati “democratici” come quello turco (i compagni-e curdi ne sanno qualcosa) e quello polacco.
Sono convinto che la mia morte porrà un intoppo a questo regime e che i 750 che lo subiscono da decenni possano vivere una vita degna di essere vissuta, qualunque cosa abbiano fatto.
Amo la vita, sono un uomo felice. Non vorrei scambiare la mia vita con quella di un altro. E proprio perché la amo non posso accettare questa non vita senza speranza.
Grazie compagni-e del vostro amore sempre per l’anarchia.
Mai piegato
Alfredo Cospito
Commenti recenti