Nazionalismo, imperizia e cattive compagnie: così Meloni si è messa nell’angolo a Bruxelles
di STRISCIA ROSSA (Paolo Soldini)
Italia, Polonia e Bulgaria. Con tutto il rispetto per i polacchi, i bulgari e per noi italiani, questa è la misera brigata che tenterà, senza la minima chance, di opporsi alla decisione che i rappresentanti di tutti gli altri governi dell’Unione prenderanno a Bruxelles tra qualche ora, martedì se la presidenza di turno svedese confermerà l’agenda, sulle misure previste per il 2035 in fatto di blocco delle emissioni nocive dei mezzi di trasporto su strada. Avremmo potuto essere in una compagnia più ampia e decisamente meno scalcinata se il nostro governo non le avesse sbagliate tutte nel delicato negoziato dei giorni scorsi con la Commissione.
Un disastro che è stato dovuto alla patetica imperizia dei ministri, ovvero quelli dell’Industria e del Made in Italy (sic) Adolfo Urso, dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin, dei Rapporti con l’Europa Raffaele Fitto e dell’onnipresente Matteo Salvini che suggeriva da dietro le quinte. Ma la cui causa prima va cercata nell’arroganza del governo tutto e della sua premier, più che mai convinta dell’efficacia della propria strategia: battere i pugni nell’interesse della Nazione con la n maiuscola anziché cercare le soluzioni migliori negoziabili nell’interesse collettivo della comunità di stati cui apparteniamo.
Istinti patriottardi e vittimismo
Quel che è accaduto l’abbiamo letto sui giornali di ieri: la Commissione ha accettato di prevedere la possibilità di continuare a produrre dopo il 2035 auto a combustione interna non inquinante e ha inserito nel protocollo i motori alimentati dal cosiddetto e-fuel, carburante di sintesi senza petrolio proposto dai tedeschi, ma non quelli alimentati dai biocarburanti che invece erano perorati dall’Italia.
Era chiaro che si trattava del primo passo di un lungo processo, nel corso del quale il governo di Roma avrebbe avuto tutto l’agio di chiedere nuovi studi sulla fattibilità delle proprie proposte e che conveniva mantenere l’intesa con Berlino. Ma in seno al governo hanno prevalso gli istinti patriottardi e il riflesso condizionato del vittimismo di cui Giorgia Meloni è campionessa europea. I cattivi tedeschi nemici dell’Eni e degli italiani, d’intesa con il perfido commissario per l’Energia Frans Timmermans, che per inciso è l’olandese più amico dell’Italia (perfino calcisticamente) che si possa trovare in giro, hanno complottato contro gli “interessi italiani”.
Scandalo, vergogna e al nostro rappresentante a Bruxelles è stato impartito l’ordine di ritirare l’appoggio italiano alla minoranza di blocco con la quale l’Italia, insieme con la Germania e altri, sarebbe stata in grado al momento della decisione di salvare anche la possibilità di ridiscutere sui biocarburanti. Così ci ritroviamo nel tris di scartine citato all’inizio e i pugni invece che sui tavoli di Bruxelles bisognerebbe sbatterli, metaforicamente s’intende, sulla faccia dei ministri e della loro leader.
La pessima prova sulle auto pulite è venuta quando sui media italiani si discuteva ancora del Consiglio europeo della scorsa settimana con un eccezionale impegno dei corifei dei media governativi a sostenere che Giorgia Meloni ne è uscita vincitrice come il toreador della Carmen. Esercizio nel quale si sono distinti alcuni inviati e commentatori della Rai che, se esistesse, meriterebbero il premio Pulitzer al contrario. In realtà a Bruxelles il nostro governo ha preso un doloroso ceffone proprio sul dossier per il quale la presidente del Consiglio nell’esposizione degli intenti del governo fatta alla vigilia alla Camera aveva inastato la baionetta e tolto la sicura alle bombe a mano: l’immigrazione.
A dimostrazione, speriamo definitiva, del fatto che non ha ottenuto nulla di tutto quello che è andata rivendicando a posteriori come “vittorie” dell’Italia, ci sono le 5 (cinque) righe che le conclusioni ufficiali del Consiglio dedicano al capitolo emigrazione al ventitreesimo e penultimo punto del documento e in cui si legge che “Ricordando che la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea, il Consiglio europeo chiede la rapida attuazione di tutti i punti concordati”. Cioè di quelli fissati sulla carta dal Consiglio del febbraio scorso, molti dei quali discutibili e che comunque non rispondevano all’impostazione che al problema viene data a Roma.
La”pace” con Macron
L’immigrazione non è l’unico tema sul quale è evidente l’isolamento europeo in cui l’approccio nazional-sovranista, molto spesso accompagnato da ingenuità e palesi prove di imperizia, sta portando l’Italia governata dalla destra-destra. I più benevoli potrebbero essere tentati di sostenere che almeno una cosa buona Giorgia Meloni negli ultimi giorni in Europa l’ha fatta: la pace con Emmanuel Macron.
Va bene, diciamo che nel loro incontro a latere del vertice di Bruxelles almeno non hanno platealmente litigato e che su qualche tema un minimo di accordo è stato recuperato. Il che peraltro non è detto che sia necessariamente un bene perché il presidente francese avrebbe trovato, si dice, un certo ascolto dall’italiana sul proposito di “riabilitare” il nucleare tra le fonti di energia sostenibili e forse sarebbe il caso di chiedere qualche ulteriore spiegazione sulle “iniziative comuni” che si starebbero immaginando tra Parigi e Roma in merito alla crisi tunisina. Ma sul capitolo davvero decisivo sul quale si dovrebbe ricostruire l’intesa tra l’Italia e la Francia, la riforma del Patto di Stabilità, che è nell’interesse primario di tutti e due i paesi, la posizione del governo Meloni è drammaticamente indebolita dal rifiuto di ratificare il MES ormai del tutto insostenibile a meno di non mettere nel conto una rottura drammatica con le istituzioni di Bruxelles e con la Banca Centrale Europea oltre che la perdita di fiducia che già c’è stata.
L’atteggiamento sul MES, imposto dalla necessità di tener buono Salvini ma al quale Meloni va cercando cervellotiche scusanti come la necessità di approvare prima l’Unione Bancaria, come se proprio l’esistenza del fondo salvastati non fosse uno degli elementi necessari per farla andare avanti, è un altro fattore di debolezza dell’Italia che, se non verrà superato presto, potrebbe metterci in gravi difficoltà.
La prospettiva del ribaltone
Ora basta con l’elenco delle speciali debolezze meloniane. Se potesse interloquire la presidente del Consiglio ci direbbe che insistendo non facciamo male a lei e al suo governo ma…alla Nazione, che è poi l’argomento che usano contro critici e dissidenti tutti i regimi autoritari. L’impressione è che, come forse sta succedendo in Italia, anche in Europa la luna di miele della nuova sposina, che poi non è più così tanto nuova, stia mostrando quanto meno qualche crepa.
Non pare aver fatto grandi progressi quel disegno di cui qualche settimana fa si vedeva abbastanza chiaramente la trama: la costruzione di uno schieramento di destra-centro sovranisti-popolari in vista di un ribaltone antisocialista e antiliberale alla testa delle istituzioni europee. O almeno si comincia a capire che di questa rivoluzione la figura di riferimento non sarà lei, Meloni, neppure come presidente del partito europeo dei conservatori nel quale spadroneggia con i polacchi di Jarosław Kaczyński. Le “assi” non hanno mai portato buone cose in Europa e l’asse italo-polacco di cui l’alleanza antitedesca sui biocarburanti è l’ultima incarnazione non dovrebbe fare eccezione.
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