Sei stimati direttori di altrettanti autorevoli quotidiani italiani alcuni giorni fa hanno firmato un appello per la liberazione di Evan Gershkovich, 31 anni, giornalista del Wall Street Journal arrestato dall’FSB russo a Ekaterinburg e ora detenuto a Mosca, nel carcere di custodia preventiva di Lefortovo, con l’accusa di spionaggio. Gershkovich, figlio di Ella e Mikhail Gershkovich, ebrei russi esuli negli Usa nel 1979 (è facile riconoscere in quell’Evan un tradizionale e anglicizzato Ivan russo), era al secondo viaggio in un mese nel grande centro degli Urali. L’arresto ha fatto di lui il primo giornalista occidentale arrestato in Russia con l’accusa di spionaggio dalla fine della Guerra Fredda.

In questa guerra tra Russia e Ucraina, che è anche (e soprattutto) una guerra tra Russia e Occidente, sono state superate quasi tutte le linee rosse immaginabili per un conflitto: si bombardano obiettivi civili, si fa strage di persone innocenti, viene praticata la tortura sui prigionieri, si compiono attentati terroristici. È facile immaginare, quindi, che si possa anche arrestare un giornalista per farne una pedina di scambio di chissà quale trattativa. Solo pochi mesi fa, d’altra parte, il mercante d’armi russo Viktor Bout fu riscattato dalla prigionia restituendo agli Usa la cestista Brittney Griner, beccata in aeroporto a Mosca con dell’olio di canapa nella valigia. Ottimo quindi l’appello dei direttori, speso per un’ottima causa: la salvezza di una persona e il principio della libertà di informare. Per non parlare del fatto che prendere in ostaggio un civile come Gershkovich è un atto piuttosto ripugnante.

Proprio per tutte queste ragioni, e sempre a proposito dei diritti civili e della libertà di stampa, mi permetto di indicare al gruppo di direttori un altro interessante, e nobile, obiettivo. Mi riferisco al sito ucraino Myrotvorets (che curiosamente vuol dire Costruttore di pace), ben noto a tutti coloro che si occupano dei tragici eventi in corso. Inaugurato nel 2014, in risposta all’occupazione russa della Crimea e all’indipendentismo delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk nel Donbass, il sito si occupa di schedare tutti coloro che considera “terroristi, separatisti, mercenari, criminali di guerra e assassini pro-Russia”. Chi sono questi figuri? Un po’ tutti: sulla lista nera di Myrotvorets sono finiti anche Henry Kissinger (diventato agli occhi di chi cura il sito un assassino pro-russo, o forse un terrorista o un criminale di guerra, chissà per aver proposto una tregua tra Russia e Ucraina), l’ultratlantista antiputiniano Edward Luttwak, il politologo John Mearsheimer, il cantante dei Pink Floyd Roger Waters, il senatore americano Rand Paul, l’ex candidata alla presidenza Tulsi Gabbard.

Myrotvorets si presenta come “sito non governativo”, anche se tutti lo considerano un’emanazione dell’SBU (il servizio segreto dell’Ucraina) e del ministero degli Interni.E in ogni caso non v’è traccia di provvedimenti, e nemmeno di semplici ammonimenti, delle autorità ucraine verso un sito che pubblica ogni giorno foto raccapriccianti di cadaveri, inviti a sterminare questo e quello, e sull’immagine di chi viene ucciso appone la bella scritta “eliminato”. Ci piace un sito che invita a far fuori gli avversari politici? Che semina fatwa alla moda delle filiali dell’Isis?

Se qualcuno avesse il dubbio che tali avversari siano, appunto, solo “terroristi, separatisti, mercenari, criminali di guerra e assassini”, e che i casi Kissinger&C.  siano proprio solo casi, sappia che nel 2016 Myrotvorets pubblicò un elenco di 4.508 giornalisti di ogni parte del mondo che avevano una sola colpa: aver coperto la guerra nel Donbass andando anche nel Donbass russo. A prescindere da ciò che avevano scritto, che magari andava in favore della stessa Ucraina. Di questi colleghi (ribadiamolo: originari dei Paesi più diversi) furono pubblicati indirizzi di casa, telefoni, indirizzi e-mail e altri dati più o meno sensibili, ottenuti hackerando i computer del ministero della Sicurezza della Repubblica separatista di Donetsk. Non male come intimidazione della libera stampa, vero? Tanto più che interpellata in proposito, l’SBU proclamò di non vedere nulla di illecito in tale minacciosa lista.

Aggiungiamo un dato che, se tutto questo non basta, dovrebbe interessarci tutti. Sulla lista nera di Myrotvorets sono finiti loro malgrado anche egregi giornalisti italiani. Colpevoli solo di fare il loro mestiere, esattamente come è successo con Evan Gershkovic. Se non proprio un appello, un paio di paroline non sarebbe il caso di spenderle?