I lettori più fedeli e pazienti si saranno avveduti che da tempo, con i modesti mezzi intellettuali di cui disponiamo, stiamo effettuando ricognizioni sulle ideologie della postmodernità occidentale. Rubiamo all’amico Alessandro Gnocchi la definizione di ricognizione: l’atto coraggioso, oggi temerario, di oltrepassare le linee in terra nemica e perlustrare il campo avverso per osservare che cosa vi accade e informare chi non intende piegarsi all’iniquità del potere. Andare in ricognizione costringe a descrivere un panorama devastato da cui bisogna partire per resistere e contrattaccare.
La nostra radicata convinzione è che nella terra del tramonto, l’Occidente terminale, estenuato e nichilista, sia in azione un’ideologia apertamente nemica dell’uomo sino a volerne la morte. Un odio di sé – Scruton la definì oicofobia, l’avversione per ciò che è proprio – estesa come un contagio all’intera specie umana. E’ l’esatto contrario dei presupposti di una civiltà con tre millenni di vita che sta vivendo le sue ultime, interminabili convulsioni dopo aver revocato in dubbio prima, decostruito poi, infine ribaltato ogni idea ricevuta. Non per caso il torrente impetuoso e fangoso delle nuove idee dominanti, provenienti dal centro dell’Impero, gli Usa, chiama sé stesso “cultura della cancellazione”. Un ossimoro, la prova di una volontà di potenza al contrario che si ha la tentazione di attribuire all’azione preternaturale. L’uomo faustiano – animato dall’ansia di conoscenza e di infinito, aperto alla trascendenza – si rovescia nello “spirito che sempre nega”, Mefistofele, la creatura con la quale stipula il patto, vendendo l’anima.
Una lunga premessa, necessaria prima di addentrarci nella ricognizione delle ideologie antiumane dell’Occidente ultimo. Ci riferiamo, in particolare, all’animalismo, all’antispecismo e all’apocalisse climatica che sono i fili, i fiumi carsici che attraversano e uniscono i frammenti del declino. Chi ci sta traghettando verso la fine sono le classi dirigenti, impregnate di un’ideologia apertamente antiumana. Un’istituzione finanziaria internazionale, la banca BBVA, ha conferito il suo premio annuale a Peter Singer, filosofo animalista, antispecista e antiumano.
Singer, australiano, classe 1946, non è nuovo a riconoscimenti per la sua attività culturale. Il suo testo più famoso è Liberazione animale (1975) in cui espone tesi contro lo specismo, un termine coniato dallo psicologo James Ryder sul modello di razzismo e sessismo, per riferirsi alla minore considerazione attribuita dagli esseri umani alle altre specie viventi. Entrambi lavorano all’equiparazione, prima etica, quindi ontologica e legale, degli animali rispetto all’uomo, una condizione oltretutto diseguale, giacché solo quest’ultimo agisce e pensa in termini morali, giuridici, metafisici.
Umanizzazione degli animali ? Piuttosto il contrario, animalizzazione degli uomini. Fatto sta che il premio della banca, intitolato “Frontiere della conoscenza” ha riconosciuto a Singer il “contributo al progresso morale” per aver segnato “una svolta nella comprensione e fondazione dell’etica applicandola al mondo animale, con notevoli conseguenze per la legislazione internazionale sul benessere degli animali”. Il progresso morale sarebbe quindi negare o rovesciare le differenze essenziali tra uomo e animale. Progresso morale è affermare che l’uomo e il cane devono ricevere lo stesso trattamento; è dire che tra salvare una persona malata e salvare un animale sano, dovrebbe essere scelta la seconda opzione. E’ ancora possibile, senza incorrere nella scomunica (morale anch’essa) dei pasdaran animalisti, dire che filosofi alla Singer non difendono tanto il fatto che gli animali siano trattati allo stesso modo degli uomini quanto che gli uomini siano trattati allo stesso modo degli animali? Così la pensava, quasi un secolo fa, Gilbert K. Chesterton.
A noi sembra una redenzione al contrario, un livellamento verso il basso, un degrado del superiore più che un’elevazione dell’inferiore. Ovvero, odio per la creatura umana. La tesi fondamentale di Singer è che l’uomo e l’animale sono essenzialmente uguali poiché entrambi sono esseri senzienti. Estremizzando, si possono equiparare l’uomo e il verme. La dignità non deriva più – come nelle grandi tradizioni culturali – dalla somiglianza con Dio e nemmeno dalla nostra condizione di esseri razionali e dalla conseguente apertura all’infinito, al trascendente. Essa proverrebbe dal fatto di “sentire”, provare sensazioni, fare esperienza del dolore e del piacere.
Ecco perché un feto umano può essere eliminato senza remore, diventare un rifiuto speciale o utilizzato nell’industria cosmetica e farmaceutica: il motivo è che non “sente”. Dovremmo concludere che il progresso morale per cui Singer riceve premi dall’élite consiste nel riconoscere che un criceto adulto vale più di un feto umano! Il sistema di Singer ha una sua complessità: alla distinzione tra l’essere senziente e l’essere non senziente aggiunge quella tra l’essere umano e la persona. Non tutti gli esseri umani sono persone e non tutte le persone sono esseri umani. Nel pensiero illusionistico di Singer ci sono scimpanzé-persone ed esseri umani che, poiché non sono persone, valgono meno degli scimpanzé.
Gli esseri umani che “valgono” meno degli animali superiori sono coloro che non hanno (avrebbero) più o non hanno ancora la coscienza ― e quindi “sentono” poco o nulla: bambini, disabili, persone in stato di coma, anziani, chi è affetto da certi disturbi mentali. Nei confronti di questi esseri – umani – è legittima, quasi imperativa, la soppressione fisica. Un’agenda che coincide perfettamente con l’interesse delle oligarchie finanziarie, delle assicurazioni e dei fondi malattia. Normale che conferiscano premi a chi sistematizza e fornisce abito “culturale” ai deliri antiumani.
Si ha l’impressione che agisca in Singer un’ossessione patologica per la morte. La sua filosofia può essere interpretata come pensiero mortuario: non si chiede per che cosa dobbiamo vivere, quale sia il bene e il male, come il resto dei filosofi, piuttosto chi dovrebbe morire. Pensieri da mattatoio. Si può mettere fine alla vita degli umani? è il titolo di un capitolo di un suo libro. Potete immaginare la risposta.
La vita personale di Singer, peraltro, narra una storia assai diversa. La madre si ammalò di Alzheimer e il filosofo, lungi dal sopprimerla per risparmiarle sofferenze, assunse tre infermiere per vegliarla giorno e notte. Lode al gesto filiale, non all’incoerenza, tipica di certi teorici allorché la vita li mette di fronte agli scenari più drammatici. Tuttavia, verificata alla prova dei fatti l’inumanità delle teorie professate, occorre modificarle, ammettere di aver commesso errori. Nulla: Singer continua a venderci merce avariata; l’eutanasia è per noi e per i nostri genitori, non per i suoi. Proclama la liceità del cosiddetto aborto postnatale, il nome politicamente corretto dell’infanticidio, ma ha messo al mondo tre figlie. Somiglia molto ai nichilisti che proclamano l’assurdità della vita e la conseguente opportunità del suicidio, raggiungendo la vecchiaia senza puntarsi la pistola alla tempia. L’animalismo è un’etica rovesciata e fa parte a pieno titolo delle neo ideologie sottilmente totalitarie – spacciate per progresso e liberazione – come il gender, la digitalizzazione dell’umano (riduzione a cifra), il transumanesimo, il climatismo, tese a colpevolizzare l’uomo e sconfiggere verità e natura. La frontiera odierna è l’uguaglianza giuridica tra uomo e animale, il cui esito è costringerci a cambiare le nostre abitudini alimentari umane, tradizioni e usanze, nonché la concezione che l’uomo ha di sé stesso come essere radicalmente diverso dagli altri viventi, patrimonio comune, invarianza delle civiltà, per usare il lessico di Claude Lévi-Strauss, un relativista convinto.
Attraverso un macabro capovolgimento di senso, chi difende i diritti umani passa dall’essere considerato “umanista”, difensore dell’umanità, alla denigrazione: specista, guardiano dei confini tra le specie che legittimano il primato sugli animali. Incubato nelle università americane d’élite come corrente di minoranza (come la teoria gender e il montante transumanesimo) l’animalismo è diventato in fretta uno strumento ideologico di dominio della popolazione. Il pericolo di aprire il vaso di Pandora diventa chiaro quando Singer promuove l’infanticidio, poiché “se riusciamo a mettere da parte gli aspetti emotivamente commoventi ma strettamente irrilevanti dell’uccisione di un bambino, vedremo che i motivi dell’uccisione delle persone non si applicano ai neonati”. Per il pluripremiato promotore del progresso morale “se il diritto alla vita deve fondarsi sulla capacità di voler continuare a vivere, o sulla capacità di vedersi come un soggetto dotato di una mente, un neonato non può avere diritto alla vita”. Anticipando possibili obiezioni, Singer spiega che “se queste conclusioni sembrano troppo oltraggiose per essere prese sul serio, forse vale la pena ricordare che la nostra attuale protezione assoluta della vita dei bambini è un atteggiamento tipicamente cristiano piuttosto che un valore etico universale. E’ ora possibile pensare a questi problemi senza assumere il quadro morale cristiano che ha impedito per così tanto tempo ogni valutazione alternativa.” Il punto è dirimente: bisogna rimuovere ogni traccia dell’umanesimo in quanto legato alla visione della vita cristiana. Il che non è tutta la verità, poiché in Europa l’umanesimo “laico” è parte integrante della cultura comune sin dal tempo del greco Protagora, per il quale l’uomo è misura di tutte le cose.
Il filosofo “morale” nel 2001, in Heavy Petting (Carezze spinte) arrivò a difendere la zoofilia, sino ad asserire (chiediamo scusa, ma non è farina del nostro sacco) che la vagina di una mucca può soddisfare sessualmente un uomo, che alcune donne si sentono più attratte dai cavalli che dagli esseri umani o che è normale per un orango avere un’erezione vedendo una donna perché i limiti tra le specie sono in qualche misura artificiali. Di più: il naturale rigetto della zoofilia “è nato come parte di un più ampio rifiuto del sesso non riproduttivo” e “la veemenza con cui questo divieto viene mantenuto mentre altre pratiche sessuali non riproduttive sono state accettate suggerisce che alla base vi è un altro potente motivo: il desiderio degli uomini di differenziarsi, eroticamente e in ogni altro modo possibile, dagli animali”. L’animalismo sostituisce l’etica dei legami propri dell’umanità con un’etica degli attributi. Questo modello presuppone un’assoluta mancanza di protezione per gli esseri umani (e per gli animali) in quanto fa dipendere i diritti e la stessa sopravvivenza dal possesso di un certo attributo (un più alto grado di intelligenza, una maggiore volontà di vivere felici, eccetera.) Un’idea – oggi fatta propria dall’animalismo radicale – che è in realtà la massima promotrice della violenza e dell’ingiustizia nella storia umana, giacché ha giustificato ogni sorta di prevaricazione sostenendo che solo certi soggetti hanno determinati attributi (di razza, intelligenza, sesso, capacità) con le conseguenze che conosciamo.
Le idee di Singer finiscono per abolire il confine tra umani e animali, utilizzati strumentalmente come arma con cui espropriarci della nostra specifica dignità e della responsabilità nei confronti della natura. Anziché liberazione – umana e animale – rappresentano la più compiuta regressione, la negazione di ogni anelito spirituale e, infine, la vittoria del più forte e del più cinico. Una concezione dell’uomo bassa, volgare, negativa, alla quale rispondere con un umanesimo nuovo e antico, capace di sconfiggere la disumanizzazione e la regressione mantenendo il rispetto per noi stessi, la distinzione ontologica nei confronti degli altri viventi, premessa della giusta protezione verso animali e creato. Resta insuperata la lezione del russo Vladimir Solevev: l’uomo non potrà mai essere uguale all’animale: o si eleva e diventa migliore, o sprofonda in basso e diventa molto peggiore.
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