La prossima crisi degli influencer
di DOPPIOZERO (Vanni Codeluppi)
Nella periferia di Roma, qualche giorno fa, una potente Lamborghini Urus ha investito una Smart uccidendo un bambino di cinque anni, Manuel, che era a bordo della piccola utilitaria insieme alla madre e alla sorella. Alla guida del suv si davano il cambio, questo sembrano dire le prime ricostruzioni, un gruppo di ventenni che stavano affrontando una delle loro sfide per il canale YouTube The Borderline. Sfide da riprendere con i telefonini e diffondere online allo scopo di raccogliere like dagli spettatori e soldi dagli sponsor.
Influencer: viralità, contatti, visualizzazioni, denaro. Qualcuno potrebbe pensare che questo grave incidente determinerà delle crepe nel modello economico-mediatico basato sugli influencer. Le persone però dimenticheranno presto e un incidente di questo tipo non metterà in difficoltà tale modello che opera in tutto il mondo. Di incidenti simili negli scorsi anni ne sono successi altri e gli influencer non stanno attraversando una situazione di crisi. Al contrario, sembrano godere di un invidiabile stato di salute.
Nei prossimi anni, però, qualcosa potrebbe cambiare. Gli influencer, cioè, potrebbero entrare in una condizione di crisi, ma per altre ragioni. D’altronde, va considerato che solitamente tutto nell’esistenza umana segue un ciclo di vita e dunque vede susseguirsi nel corso del tempo almeno tre fasi: espansione, maturità, decadenza. Attualmente gli influencer mostrano di avere a disposizione folte schiere di seguaci adoranti, ma è proprio così? Effettivamente, milioni di persone seguono pressoché quotidianamente le notizie che li riguardano sui diversi social media. Ma, a parte i sospetti nutriti da molti sul fatto che questi milioni di persone vengano largamente incrementati per ragioni di business, siamo proprio sicuri che i fan siano “adoranti”?
Semplicemente, seguono per ragioni di curiosità le vicende personali di questo o quel personaggio. Ciò però non implica che rinuncino a ragionare con la propria testa e ad esercitare la propria coscienza critica. Si pensi a quello che è accaduto di recente a Chiara Ferragni, probabilmente la più importante influencer italiana: una sua giovanissima fan le ha pubblicamente scritto per comunicarle che disapprovava moralmente le foto provocanti che aveva postato e nelle quali si mostrava in abbigliamento intimo.
Va considerato infatti che in passato i personaggi famosi erano in grado di dare vita a dei legami particolarmente intensi con i loro fan. Si trattava però di un’epoca pre-digitale, caratterizzata dall’appartenenza delle persone a masse stabili e compatte. Ora invece gli individui tendono sempre più a far parte di quelli che tempo fa il filosofo coreano Byung-Chul Han, nel volume Nello sciame. Visioni del digitale (Nottetempo), ha chiamato «sciami digitali», vale a dire una moltitudine di individui che si trovano ad agire all’interno di una condizione comune, ma di isolamento. A differenza del passato, perciò, oggi non si realizza nessun processo d’identificazione in un gruppo di ampie dimensioni, nessuna vera comunità. Invece, quello che conta maggiormente per le persone è sentire di essere specifici e differenti da tutti gli altri. Ma ciò implica evidentemente che i legami con le altre persone siano deboli e soprattutto che siano fragili e instabili i rapporti con gli influencer, i quali possono rapidamente perdere i loro numerosi fan, così come altrettanto in fretta li avevano acquisiti.
Questo è un aspetto importante, perché è noto che gli influencer, se dispongono di molti seguaci, possono guadagnare, e a volte anche arricchirsi, vendendo alle aziende quello che fanno nella loro esistenza e soprattutto la loro immagine personale. Infatti, da quando esistono i messaggi pubblicitari, operano al loro interno dei personaggi pagati per testimoniare la bontà di un prodotto. Si tratta di testimonial che svolgono una funzione commerciale considerata esplicita e dichiarata, altrimenti subentra un’azione d’inganno nei confronti del consumatore. Invece gli influencer rivestono un ruolo molto meno chiaro e definito e, proprio per questo, vengono considerati dalle aziende più efficaci sul piano della capacità di persuasione e dunque degli effetti commerciali. A patto però che, come si è detto, possano disporre di numerosi seguaci.
Comunque, nonostante la notevole importanza rivestita dagli influencer nell’ambito pubblicitario e, più in generale, in quello mediatico, le conoscenze a proposito della effettiva efficacia di questi personaggi sono ancora decisamente modeste. Maria Angela Polesana è tra i pochi studiosi che si sono cimentati in Italia in un’approfondita esplorazione delle attività svolte dagli influencer. Nel 2021 ha curato, insieme a Tito Vagni, il volume L’influenza digitale. Studi, teorie e ricerche (Guerini Scientifica), nel quale ha raccolto i contributi sull’argomento di diversi studiosi italiani, e ora ha da poco pubblicato il testo monografico Influencer e social media (FrancoAngeli). In questo volume, si è concentrata in particolare sul concetto di autenticità, particolarmente importante per quanto riguarda il livello di efficacia comunicativa raggiunto dagli influencer. Cioè la capacità di questi di essere percepiti come persone reali e alle quali attribuire un elevato tasso di fiducia.
Va considerato però che gli influencer possono incappare in quello che Oliver Haimson e altri studiosi dell’Università del Michigan hanno definito il “paradosso dell’autenticità online”. Vale a dire che l’autenticità è considerata estremamente importante dalle persone nelle relazioni che si sviluppano all’interno del mondo digitale, ma raggiungerla comporta di solito dei costi personali rilevanti, perché richiede di accettare di condividere anche esperienze negative. E ciò, come ha sottolineato Polesana nel libro Influencer e social media, è particolarmente problematico per gli influencer, i quali sono spesso legati alle imprese da rapporti di tipo commerciale. Sono infatti solitamente più credibili dei tradizionali testimonial pubblicitari, perché percepiti come meno coinvolti nel mondo aziendale, ma, via via che incrementano il loro livello di professionalità, si allontanano dall’autenticità. Pertanto, ciò che li caratterizza è la costante adozione di strategie comunicative finalizzate a convincere i seguaci che, nonostante la notorietà ottenuta, continuano a essere esattamente come loro. Trasmettono perciò dei contenuti che hanno principalmente l’obiettivo di sembrare autoprodotti in maniera amatoriale: video caratterizzati dall’immediatezza del dialogo, interazione diretta con i follower, selfie, ecc. Tale operazione però non sempre riesce ad essere efficace e dunque gli influencer sono costretti a vivere costantemente in bilico tra professionalità e spontaneità, correndo però di frequente il rischio che la prima prenda il sopravvento sulla seconda, con tutte le conseguenze negative che possono esserci sulla loro credibilità e soprattutto sulla loro immagine di autenticità.
FONTE:https://www.doppiozero.com/la-prossima-crisi-degli-influencer
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