Tre fatti
Si è spesso osservato, anche su queste pagine, come il dibattito sulle scelte strategiche sia estremamente animato negli Stati Uniti – a differenza di quanto avviene invece in Europa, dove ogni discussione di merito sul conflitto è marginalizzata e criminalizzata aprioristicamente. Contrariamente a quanto si pensi, ed a quanto amano raccontarsi gli aedi locali della NATO, l’esistenza di tale dibattito in USA non testimonia un esclusivo livello di democrazia (se così fosse, dovrebbe essere riconosciuto che in Europa non c’è autentica democrazia…); un dibattito, altrettanto serio, si svolge infatti anche nell’autocratica Russia. Ed è un fatto.
Data la sfortunata coincidenza con le notizie di cronaca, è bene precisare che non ci si intende riferire al tentativo di putsch ad opera della Wagner, né tantomeno alle critiche del suo proprietario Prigozhin, che nulla hanno a che vedere col dibattito strategico serio.
Ovviamente, si tratta di un fatto di grande rilevanza, che sarebbe impossibile ignorare. Non fosse altro che perché segna un passaggio importante nella vicenda politica russa di oggi, oltre che ovviamente del conflitto in corso. Pur nella difficoltà di analizzare avvenimenti ancora in corso, si tenterà ugualmente una prima, sommaria valutazione. Ed è quindi questo, il secondo fatto di cui si tratterà in questo articolo.
Il terzo, infine, è lo stato dei combattimenti sulla linea del fronte, ad oltre due settimane dall’inizio dell’offensiva ucraina, che sembra ben lungi dal conseguire gli ambiziosi obiettivi sbandierati per mesi dalla dirigenza di Kiev.
Più in generale, questa analisi proverà a tracciare i possibili sviluppi della guerra – non molto rassicuranti, in effetti – proprio a partire dai fatti presi in esame, e che confermano ancora una volta l’assunto che le guerre hanno vita propria: una volta iniziate, è difficile prevedere e controllare dove/come vadano a finire…
L’inoffensiva
Già nei giorni scorsi, in un breve post su social network, avevo rilevato come si registrasse un considerevole scarto tra i bellicosi propositi della vigilia e la pratica concreta dell’offensiva dispiegata sul campo, tanto da ipotizzare una certa riluttanza dei comandi ukro-NATO. Com’è noto, l’annunciatissima offensiva di primavera risponde essenzialmente ad esigenze politiche, diverse ma concomitanti, sia di Kiev che di Washington. Così come per la difesa ad oltranza di Bakhmut, le scelte politiche si sono imposte sulle valutazioni militari. E, possiamo ormai dirlo con sufficiente certezza, con i medesimi esiti disastrosi.
Il punto è che quali fossero le condizioni – rapporti di forza, caratteristiche delle linee difensive, disponibilità di uomini e mezzi – era ben noto sia allo stato maggiore ucraino che ai comandi NATO. Dal momento, quindi, che tale quadro della situazione non è stato sufficiente a far cambiare idea ai vertici politici, avrebbe dovuto essere affrontato diversamente.
Sostanzialmente, l’esercito ucraino andava ad impegnarsi in una offensiva in condizioni di assoluta inferiorità. Inferiore supporto di artiglieria, dominio dell’aria da parte del nemico, inferiorità di mezzi; a conti fatti, persino inferiorità numerica, se si tiene conto che un attaccante dovrebbe disporre di una superiorità di almeno 4 a 1 sui difensori.
È evidente che, in queste condizioni, e trovandosi di fronte una formidabile linea difensiva articolata in profondità, l’unica chance di ottenere un qualche successo era affidata ad una (certamente rischiosissima) rapida ed elevata concentrazione di uomini e mezzi, cercando a qualunque costo uno sfondamento nel settore meno difeso del fronte nemico. L’evidente riluttanza a tentare un affondo di tal genere, nel timore che si traducesse in una clamorosa disfatta, ha invece spinto gli strateghi ukro-NATO ad adottare una via mediana, una serie di attacchi spalmati lungo la linea di combattimento, nella speranza che si verificasse da qualche parte un cedimento delle truppe russe. Con il risultato di consumare comunque una parte considerevole delle proprie riserve strategiche di uomini e mezzi (almeno un terzo delle brigate è sostanzialmente fuori combattimento, o comunque in condizioni di deficit operativo), senza conseguire alcun risultato, nemmeno a livello tattico.
Anche se la propaganda continua a sostenere che il bello deve ancora arrivare, è chiaro che ormai la spinta si sta già esaurendo ed è ben probabile che entro l’estate sopraggiunga invece una nuova offensiva russa. Come ormai ripete continuamente il ministro della difesa Kuleba, in una sorta di mantra allucinato, la risposta è più armi. Anzi, per dirla con le sue stesse parole, le armi saranno sufficienti solo se e quando porteranno alla vittoria. Che, ovviamente, è come dire che non basteranno mai.
Il tutto, mentre la possibilità materiale – da parte dei paesi NATO – di continuare ad aiutare l’Ucraina si fa di giorno in giorno più esile. Stoltenberg afferma che gli arsenali sono ormai praticamente vuoti, Borrell che mancano le materie prime per produrre munizioni, Shai Assad (1) sostiene addirittura che, nonostante il Pentagono spenda 10 volte più della Russia, non sarà mai in grado di equiparare la produzione russa.
E, com’è ormai una costante, ad ogni fallimento delle aspettative, si risponde rilanciando. Kiev chiede armi sempre più potenti – l’ultima frontiera sono gli Army Tactical Missile System (ATacMS) – che la NATO prima o poi concederà, in un folle gioco d’azzardo dove si alza sempre più la posta, sperando che nel frattempo accada il miracolo.
Perché fondamentalmente è questo, lo stato delle cose in campo occidentale: sia Zelensky e la sua cricca, sia i vertici americani che quelli europei, hanno scommesso talmente tanto su questa guerra che adesso non riescono più a districarsene. E, benché non stia affatto andando come previsto, insistono sulla strada già battuta, nel timore – diciamo pure nella consapevolezza – che una sconfitta di Kiev li spazzerebbe via.
Mai come adesso, si è resa evidente la divaricazione – verrebbe da dire la dissociazione – tra il momento politico e quello militare e l’assunto clausewitziano ne risulta annichilito. Se guardiamo retrospettivamente la storia dell’ultimo secolo, non è la prima volta che ciò accade, anzi è quasi una costante della politica imperiale statunitense. Che infatti, per risolvere la contraddizione, ogni tanto semplicemente prende e scappa, lasciandosi il caos alle spalle (2).
L’orchestra stonata
Se il caos può essere in qualche modo assunto come modus operandi degli USA, si potrebbe a sua volta pensare che Prigozhin abbia deciso di fare un’americanata… – e non è soltanto una battuta.
Che il proprietario della PMC Wagner avesse ambizioni politiche era evidente già da un po’, ma il fatto che le sue esternazioni avessero come bersaglio preferito il ministro della difesa Shoigu ed il capo di stato maggiore Gerasimov lasciava pensare che questo fosse appunto il livello delle sue aspirazioni. Ma in fondo Prigozhin, che si è sempre mosso all’ombra di una posizione di fedeltà a Putin, evidentemente difetta di capacità politiche. Avrebbe infatti dovuto comprendere da tempo che, se pure le sue critiche – niente affatto leggere, e mosse in un paese in guerra – venivano tollerate (magari, anche per smuovere la burocrazia militare moscovita), era decisamente impensabile che si arrivasse ad una sostituzione ai massimi livelli della difesa in pieno conflitto. Per tacere del fatto che fosse altrettanto impensabile porre ai vertici un uomo che non provenisse dai ranghi dell’esercito.
La fama di duro combattente, che non teme di dire pane al pane – abilmente costruita – ha probabilmente alimentato ad un tempo il suo ego e la sua frustrazione. Portandolo infine a questa mossa folle.
Va a questo punto precisato anche qualcos’altro. La legislazione della Federazione Russa funziona in modo alquanto diverso da quella dei paesi europei, in materia militare. Non solo, infatti, è possibile costituire compagnie militari private, ma queste – se impiegate in combattimento, come nel caso del conflitto ucraino – sono semplicemente contrattualizzate dal ministero della difesa, e mantengono una sostanziale autonomia operativa. Così come le unità di volontari, che non sono corpi inquadrati nelle forze armate. Di recente, però, è stata introdotta una nuova norma, che impone a tutte queste formazioni, private o volontarie, di subordinarsi operativamente al comando dell’esercito, a partire dal primo agosto prossimo. In pratica, Prigozhin si sarebbe presto trovato costretto ad obbedire all’odiato Shoigu o ritrovarsi fuori dai giochi.
Il tentativo di putsch, quindi, è sicuramente frutto del narcisismo di un uomo e delle sue frustrazioni, così come dell’illusione di essere davvero una sorta di novello Giovanni dalle Bande Nere (3). Tutte cose che gli hanno fatto perdere di vista sia la realtà soggettiva che quella oggettiva. Ma l’uomo è pur sempre tutt’altro che uno sciocco, e quindi tutto questo sembra insufficiente a spiegare la sua mossa. Proprio in quanto uomo navigato, non poteva sfuggirgli che, per avere qualche speranza di successo, necessitava di una sponda forte, dentro e fuori la Federazione.
Per uno connotato come bellicoso capitano di ventura, patriota tra i patrioti, è probabile che ci fossero poche chance di trovare appoggio tra i liberali russi. Il suo azzardo forse immaginava che una parte delle forze armate lo seguisse e/o che l’establishment non reagisse prontamente e compattamente. Ma non è irragionevole supporre che sia stato incoraggiato dall’estero, da qualcuno che aveva ed ha tutto l’interesse a destabilizzare il paese.
In ogni caso, le parole di Putin, Surovikin e Kadyrov sono la pietra tombale quantomeno delle sue ambizioni…
Intanto a Mosca…
In tutto questo, anche in Russia si discute su come portare avanti la guerra. Ormai tra i russi c’è piena consapevolezza che il conflitto è con la NATO, e quindi di ciò si tiene pienamente conto. Se all’inizio dell’Operazione Speciale Militare c’era l’idea di poter risolvere rapidamente la questione, successivamente la leadership russa si è convinta che la guerra sarebbe stata una faccenda di lunga durata e si è attrezzata in questa prospettiva. Non solo. Quando Stoltenberg ripete per l’ennesima volta la tiritera che la NATO non vuole un congelamento del conflitto (anche se l’ipotesi, anche detta alla coreana, è venuta fuori proprio dai think tank statunitensi…), prontamente gli ribatte Lavrov: “se la NATO dichiara ancora una volta di essere contraria al cosiddetto – come amano dire – ‘congelamento’ del conflitto in Ucraina, allora vuole combattere. Bene, che combattano, noi siamo pronti. Abbiamo capito da un pezzo gli obiettivi, gli scopi reali della NATO nella situazione intorno all’Ucraina, che si sono formati per molti anni”. In pratica, sta dicendo che la Russia è pronta ad affrontare la NATO direttamente, sul campo di battaglia.
E si tratta di un’affermazione non da poco, non solo perché Lavrov è persona molto attenta e pacata, non certo incline alle smargiassate, ma perché mai prima d’ora, ed a questo livello, si era affermata la disponibilità a giungere a tanto. Segno che a Mosca si fa sempre più chiaro che la partita è per la sopravvivenza della Russia, ma anche che si ha fiducia di poterla vincere.
Ma, com’è ovvio, il dibattito politico russo va ben oltre le posizioni ufficiali. Ed oggi verte non tanto sul se, ma sul come – e sul quando – questa guerra possa essere vinta.
Benché la Federazione Russa si dica pronta ad una guerra di lunga durata – e molto probabilmente lo è, di sicuro assai più della NATO – è evidente a tutti che quanto più dura il conflitto, tanto più alto sarà il costo della vittoria, e non solo in termini di vite umane. Ancor più lo sarebbe se si arrivasse allo scontro frontale con la NATO.
Di conseguenza, il dibattito verte prevalentemente su come vincere rapidamente il conflitto, sfuggendo ai rischi di una escalation senza fine. Sostanzialmente, c’è chi ritiene che la strategia più conveniente sia quella in atto, ovvero consumare nel conflitto quante più risorse occidentali possibili, oltre a disarticolare le forze armate ucraine, costringendo alla fine la NATO a cedere per consunzione. All’opposto, c’è chi ritiene che la NATO continuerà ad alzare l’asticella, fornendo armamenti sempre più sofisticati man mano che quelli precedenti vengono consumati, e che alla fine entrerà comunque direttamente nel conflitto.
Tutto si è sviluppato a partire da una discussione piuttosto significativa intorno all’articolo dell’influente politologo russo Sergei Karaganov (4), il quale sostiene che sia necessario “spezzare la volontà dell’Occidente di sostenere Kiev e di costringerlo a ritirarsi strategicamente”.
Secondo Dmitry Trenin (5), è necessario che la prospettiva di utilizzare armi nucleari diventi “reale e non solo teorica”. Mentre la tesi di Karaganov ritiene necessario rendere credibile la minaccia, ed eventualmente la sua attuazione se questa dovesse risultare insufficiente, per Trenin si tratta soprattutto di “riportare la paura nella politica e nella coscienza pubblica” al fine di preservare l’umanità. Questo è il livello del dibattito in Russia. Cose su cui noi europei dovremmo riflettere con un po’ più di serietà, invece di danzare allegramente sul Titanic. Purtroppo, sul versante occidentale le cose appaiono drammaticamente poco serie.
Zelensky respinge sprezzantemente anche il piano di pace africano. Scholz e Macron invitano in Europa Xi Jinping, per cercare di salvare almeno il commercio con la Cina, mentre Stoltenberg ammonisce che bisogna isolarla. Macron chiede di essere invitato alla riunione dei BRICS, in un ridicolo tentativo di tenere il piede in due scarpe. Lui e Biden si dicono favorevoli all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, dopo la guerra. Ma al tempo stesso tutti escludono che possa avvenire.
Purtroppo non è semplicemente strategia della confusione, ma anche e soprattutto confusione strategica.
Intanto, l’orologio della guerra scorre inesorabile, conducendoci verso la sua espansione. Da intendere in tutti i sensi: geografica, e di intensità.
1 – Ex negoziatore di contratti del Dipartimento della Difesa. Secondo lui, il grosso dell’enorme budget della difesa USA, 800 miliardi di dollari all’anno, andrebbero dispersi in una continua sovrafatturazione da parte delle industrie della difesa. In pratica, una gigantesca corruzione che tiene insieme il complesso militare-industriale statunitense.
2 – “Quando i suoi interessi scemano, l’occidente scappa via dai problemi che ha creato. Lo ha fatto in Afghanistan, in Iraq e lo sta facendo in Ucraina, lasciando questo territorio in rovine e minato”. Sergej Viktorovič Lavrov, attuale Ministro degli affari esteri della Federazione Russa.
3 – Cfr. Wikipedia
4 – Karaganov ha esortato il Cremlino a usare armi nucleari tattiche su obiettivi in Europa, affinché l’Occidente smetta di aiutare l’Ucraina. L’ha definita “una decisione difficile ma necessaria” giustificandola nel modo seguente. Anche se l’esercito russo riuscisse a ottenere una “vittoria minima” e a conquistare completamente le quattro regioni precedentemente annesse – Lugansk, Donetsk, Zaporozhye e Kherson – l’Occidente continuerebbe a fornire armi al resto dell’Ucraina. Lo stesso accadrà se la Russia conquisterà l’intero sud-est. Un simile scenario è “una ferita sanguinante che presenta il rischio di sviluppare complicanze inevitabili, una nuova guerra”. Lo scenario ancora peggiore sarebbe secondo lui una presa di controllo militare di tutta l’Ucraina – i russi rimarrebbero “sulle macerie con una parte della popolazione che ci odia”. Il che distoglierebbe le risorse russe per i decenni a venire. Allo stesso tempo, “l’inimicizia con l’Occidente continuerà, l’Occidente continuerà a sostenere una guerriglia civile strisciante”. Karaganov ritiene che l’opzione più attraente per il Cremlino sia che la Russia prenda il controllo dell’est e del sud, mentre il resto dell’Ucraina diventerebbe una zona cuscinetto amica della Russia e senza ambizioni militari. “Ma questo è possibile solo se e quando saremo in grado di spezzare la volontà dell’Occidente di sostenere Kiev e di costringerlo a ritirarsi strategicamente”, sostiene Karaganov. A suo avviso, le élite occidentali, nel tentativo di mantenere il potere globale, stanno “conducendo l’umanità verso la Terza Guerra Mondiale”. Allo stesso tempo, durante gli anni di una vita pacifica “il loro istinto di conservazione si è affievolito”, tanto da fargli scatenare una guerra contro “una superpotenza nucleare”.
5 – Dmitry Trenin, professore alla Scuola Superiore di Economia; ha sostanzialmente condiviso le conclusioni di Karaganov. Ha riconosciuto che l’Occidente sta prestando sempre meno attenzione allo status nucleare della Russia, aumentando il grado di escalation. Quindi a suo avviso “la possibilità di usare le armi nucleari nell’attuale conflitto non dovrebbe essere nascosta”. Allo stesso tempo, ritiene che un attacco nucleare all’Europa provocherebbe un attacco militare “sensibile e doloroso” alla Russia, anche se non inizialmente nucleare. Dopodiché, “seguirà un attacco di rappresaglia – e questa volta, possiamo presumere, già sul nemico principale” (cioè gli Stati Uniti). Nonostante tutto ciò, Trenin raccomanda alle autorità russe di iniziare a lavorare su misure pratiche per creare una minaccia nucleare. “È necessario riportare la paura nella politica e nella coscienza pubblica: nei tempi di armi nucleari, questa è l’unica garanzia per preservare l’umanità”.
FONTE:https://giubberosse.news/2023/06/25/linoffensiva-ed-altri-fatti/
Commenti recenti