La vita rimane vita, non mera esecuzione tecnica
di GABRIELE GERMANI (Pagina FB)
Nelle società tradizionali il fenomeno religioso è per eccellenza quello in cui si identifica la comunità.
Vale la pena di chiarire due concetti, quello di “società tradizionale” e quello di “religioso”.
Il primo identifica tutti quei gruppi che secondo gli standard occidentali non hanno seguito quel processo da noi chiamato “modernizzazione”, che implica il trinomio capitalismo, tecnica, democrazia liberale. Si tratta, dunque, di un concetto etnocentrico che cataloga unicamente in termini occidentali la modernità; si può invece facilmente pensare a tutte le comunità nel mondo, per quanto piccole, che ancora vivono esterne alla globalizzazione: dai gruppi amazzonici, ai pastori nomadi dell’Asia Centrale.
Qualche giorno fa, condividendo un post sulla sacralità e facendo riferimento alla scomparsa del fenomeno religioso dall’orizzonte culturale occidentale (ma solo perché in Occidente ha assunto quella specifica manifestazione storica, che non è l’unica possibile), ho notato come questo tipico pregiudizio positivista e quindi ottocentesco persista ancora oggi nel vasto pubblico: le sorti progressive dell’umanità coincidono con scienza e quindi con laicismo o ateismo – come se non esistessero fisici o astrofisici membri delle più svariate comunità religiose!
Mi sembra quindi giusto approfondire la categoria di “religioso”: questa è storicamente data in occidente, come il retaggio della costruzione politica e sociale dell’Impero Romano. Roma distingueva un ambito religioso da uno civile, avendo creato non a caso un sistema giuridico basato sul diritto. Si tratta tuttavia di una struttura tipica del nostro patrimonio storico; nei contesti extraeuropei, prima del contatto, non c’era una sfera religiosa separata dalla politica e lo stesso binomio religione – conservatorismo, non era affatto scontato. In molte piccole comunità artiche, le persone transessuali erano solite ricoprire il ruolo di operatori del sacro (sciamani, anche se non è propriamente il termine giusto). Così come, gli studiosi delle società amazzoniche o bantù in Africa hanno potuto notare come spesso il guaritore, stregone, sciamano costituisse un contropotere reale (quasi anarcoide) al capo-villaggio: supporre che l’uomo abbia sempre avuto una categoria di religione data dalla curiosità per le origini o per il futuro, suppone anche la stessa concezione del mondo, della morte o del tempo.
Ho già scritto delle teorie di Whorf sulla lingua hopi e la temporalità (in passato smentite e poi affermate dall’antropologia negli anni ’90): questo gruppo non possedeva specifici avverbi o tempi verbali prima del contatto con gli europei, il tempo era avvertito come fluido, come se presente passato e futuro avvenissero contemporaneamente e fossero paralleli ai sogni e al pensiero. La lingua hopi non fa riferimento a fatti, ma a fenomeni, preferisce indicare non il dato finale, ma la dinamica. La distinzione non è tra passato-presente-futuro, ma tra tempo manifesto e non manifesto (in questo ricadono anche i sogni, le idee, i pensieri, gli antenati e le previsioni).
Questa concezione del tempo è senza ombra di dubbio sacra (non necessariamente religiosa), perché apre al mistero, alla non misurabilità matematica dell’esistente. La vita rimane vita, non mera esecuzione tecnica.
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