La politica al tempo della restaurazione
DA LA FIONDA (di Salvatore Bianco)
Agostino, che aveva assistito sgomento agli ultimi bagliori dell’incendio finale dell’Impero, raccomandava di saper cogliere i segni dei tempi (Mt.16,2-4). Ebbene, quello che pare delinearsi per l’Europa occidentale, scrutandone i segni, è un tempo di restaurazione. Ed è un paradosso, solo apparente, che a farsi promotore di questa svolta sia un pezzo di quel cosiddetto populismo, che in modo maldestro si era assunto l’onere di sfidare il tardo neoliberismo. Servivano ben altre risorse culturali, organizzative e politiche per poter tentare l’impresa, sempre che fosse quella la effettiva posta in gioco. Il sistema ha reagito e nella sua volontà disperata di ibernare gli attuali rapporti di forza (di ricchezza e di potere), mai così scandalosamente asimmetrici, ha reclutato oggi la Meloni in Italia e molto probabile domani la Le Pen in Francia. D’altronde un pessimo paradigma economico a briglie sciolte non può che creare a lungo andare condizioni di ingiustizia sociale tali da risuscitare una destra schiettamente classista e quando serve repressiva, con l’intento di spegnere sul nascere qualsivoglia embrione di dissenso. Ebbene, se dall’altra parte non ci si vuole limitare a fare da spettatori passivi o, peggio, proporsi come più valida alternativa nel ruolo di manutentori di un ordine oramai al collasso, converrebbe iniziare a connettersi anche sentimentalmente con tutti quei fermenti di rivolta che provengono dal basso per dare loro una visione non a frammenti ed una direzione di marcia univoca.
Il vero problema è che per un certo tratto di strada un soggetto politico siffatto, che si dà questo compito, è molto probabile che finisca per predicare nel deserto. Tanto intenso e diffuso è stato il processo di individualizzazione indotto dal paradigma neoliberista, in combutta con l’utilizzo smisurato dell’elettronica. Infatti ci troviamo davanti ad un tessuto sociale completamente disfatto e ridotto ad atomi individuali di consumo in una cornice crescente di vite da scarto. Pertanto un soggetto collettivo, mai così necessario nel presente, probabile sarà costretto nell’immediato ad agire suo malgrado da avanguardia rispetto a delle masse narcotizzate dall’ordine del discorso mediatico e indottrinate a dovere dal credo unico della resilienza. Onde evitare la deriva sempre possibile dell’autoreferenzialità compiaciuta, questo partito fatto di militanti e attivisti dovrebbe impegnarsi in un lavoro quotidiano contro-culturale, agendo nei luoghi e negli spazi di vita vissuta di quelle classi che per vivere, con sempre minor dignità fra l’altro, lavorano o avrebbero bisogno di lavorare. Una simile impresa richiederebbe il coinvolgimento di un ceto intellettuale non asservito al mainstream o quanto meno disposto a staccarvisi. Non basta lo spontaneismo ma occorre organizzazione e prima ancora adeguata interpretazione della fase storica. Ciò comporta maneggiare impianti discorsivi e categoriali che non è possibile rinvenire nel primo bar sotto casa. Questa operazione va fatta, quanto meno tentata, se con coraggio si scommette sulla irriformabilità dell’attuale sistema e sul suo necessario superamento, che dialetticamente vuol dire sempre insieme un togliere e un conservare. Non la modalità rozza di azzerare/rimuovere e ripartire (ben condensata nella nozione di “distruzione creatrice” di Schumpeter).
Si lasci pure che la Meloni o la Le Pen di turno facciano da ennesima stampella di un complesso bancario-finanziario-militare oramai moribondo in termini di consenso e, dunque, di egemonia. La storia e la lezione gramsciana ci dovrebbe insegnare che il dominio e la violenza, che ne consegue, non ha mai vita facile e soprattutto lunga. Chi ha consapevolezza di ciò dovrebbe abbandonare le proprie casematte, che non danno fra l’altro alcuna rendita di posizione, per dare il proprio contributo generoso ad una impresa che o sarà collettiva o non sarà punto. Questa forza politica dovrebbe caratterizzarsi per una critica serrata non dell’idea di Europa, da custodire semmai, ma di questa imbarazzante Unione Europea che si sta dimostrando palesemente inadeguata alle nuove sfide geopolitiche e reagisce con riflesso pavloviano come fortezza sotto assedio. La green economy, con tutto il rispetto dovuto per chi in buona fede ci crede, pare più l’ultima trovata pubblicitaria per promuovere nuovi beni di consumo e fonti rinnovabili di profitto piuttosto che un concreto e serio piano di superamento dell’attuale modello economico di sviluppo insostenibile, avendo mercificato in sincrono lavoro, ambiente e moneta (con le banche private che creano letteralmente denaro dal nulla, producendo debito per chi lo riceve). Un ultimo messaggio in bottiglia da recapitare alla politica dell’avvenire: coltivare pervicacemente l’ossessione della scuola e della formazione, da rilanciare come palestra di vita in cui esercitare il pensiero critico, perché come ricordato di recente in uno dei rari guizzi di un Augias sempre più riconciliato coi tempi: «solo un ragazzo su venti capisce un testo. E penso agli altri diciannove, che faticano ad evadere e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza. Uno Stato democratico deve salvarli perché è giusto. E perché il rischio poi è immenso: le menti deboli chiedono l’uomo forte». L’espressione ergastolo dell’ignoranza è tratto da un episodio scolastico ricordato dallo stesso Augias e che qui si riporta integralmente a futura memoria di quell’ipotetico Nuovo Principe:
«Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: “A che serve studiare? Chi sa rispondere?”.
Qualcuno osò rispostine educate: “a crescer bene”, “a diventare brave persone”. Niente, scuoteva la testa. Finché disse: “Ad evadere dal carcere”.
Ci guardammo stupiti. “L’ignoranza è un carcere. Perché là dentro non capisci e non sai che fare.
In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?”».
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