Leonardo Tricarico: «La Nato fa il tifo per la guerra. Stoltenberg patetico»
di DIARIO DEL WEB (Fabrizio Corgnati)
Il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato maggiore della difesa, commenta al DiariodelWeb.it l’ultimo vertice della Nato a Vilnius
Continua a far discutere tra gli analisti l’esito del vertice della Nato a Vilnius, della settimana scorsa. Ed è particolarmente significativo che a puntare il dito contro la strategia dell’Alleanza atlantica non siano solo i pacifisti oltranzisti, ma anche gli addetti ai lavori. Questo è il caso del generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato maggiore della difesa italiana e oggi presidente della Fondazione Icsa, che non ha risparmiato le critiche, tanto precise quanto nette, in quest’intervista rilasciata ai microfoni del DiariodelWeb.it.
Generale Leonardo Tricarico, lei ha scritto che a Vilnius si è registrata la «modificazione genetica» della Nato. Ci spiega il perché?
Sì, abbiamo avuto conferma di questa mutazione. Ci sono segnali più che evidenti che, da un po’ di tempo, la Nato da alleanza difensiva è diventata un’alleanza che fa il tifo per la guerra.
Quali sono questi segnali?
Tutti i Paesi membri si sono impegnati a risolvere in maniera pacifica ogni controversia, così c’è scritto nell’articolo 1 del trattato. Invece in questo caso neanche uno ha valutato le condizioni per un negoziato, o neppure si è appellato a quest’unica via d’uscita. In questo senso la NATO ha perso nettamente la propria identità.
Unica via d’uscita, dice?
Sono tutti concordi nel ritenere che questa guerra non abbia una soluzione militare, per lo meno in tempi prevedibili. Lo ha ammesso perfino il capo di Stato maggiore della difesa Usa. Se così è, non bisogna insistere a oltranza, ma individuare la possibilità di negoziare con successo. Ci sono rituali o parametri ben noti a tutti, che non mi pare siano stati sfiorati da nessuno.
La Nato sostiene di averci provato, ma che la Russia non ha voluto.
Bisogna dimostrarlo, e le prove non ci sono. Anzi, ci sono le prove del contrario. A meno che non abbiano messo in campo, sottobanco, un’iniziativa robusta di diplomazia parallela, non mi sembra che questo sia successo.
Quindi, se la guerra in Ucraina va avanti ormai da quasi un anno e mezzo non è solo per colpa di Putin, ma per un’intenzione precisa della Nato?
Perché c’è l’idea di non fermarla, di essere osservatori inerti e anche attivi in senso opposto. La Nato ha una grossa fetta di responsabilità e in particolare il suo segretario generale, Stoltenberg, è una figura patetica, che ha fatto da cassa di risonanza della visione dell’azionista di maggioranza, a volte andando anche oltre le aspettative per compiacerlo.
Sono parole forti, le sue.
Le dico perché sono consapevole dell’importanza della Nato, con cui ho fatto la guerra nei Balcani, ho visto quanto rigore adottasse allora nell’applicazione delle norme, quelle che oggi sono state stracciate. Se mi esprimo con risentimento è perché mi sento tradito. E non per questo vorrei essere etichettato come putiniano, come sempre accade in Italia: io valuto ogni dossier secondo i miei criteri.
E qual è la sua valutazione sul presidente russo?
Mi auguro che venga giudicato in tribunale per tutto il male che ha fatto, per i crimini di guerra e contro l’umanità che ha commesso. Non so se questo succederà mai, ma posso dire di essere stato il primo a scriverlo.
L’Italia o l’Europa possono rendersi protagoniste di una svolta?
Il treno verso Kiev promossa circa un anno fa da Draghi, Scholz e Macron mi faceva pensare a un’iniziativa dei tre Paesi guida dell’Europa. Che andava proseguita, irrobustita, cambiata nella propria missione, affinché gli Stati Uniti si convincessero e si giungesse a un cessate il fuoco. Oggi un aereo dovrebbe partire verso Washington…
Per promuovere una via negoziale.
Naturalmente non possiamo avere la presunzione di essere gli unici decisori: contano anche la Cina, l’India, altri Paesi, l’Onu. Ma una coalizione di volenterosi, la più ampia possibile, dovrebbe far ragionare gli Usa, convincerli che siamo al punto di caduta.
In che senso?
È ora di finirla con queste guerre che iniziano senza sapere mai cosa succederà dopo: questa è un’altra costante degli ultimi anni, dalla Serbia alla Libia all’Iraq. Quando si mette a rischio le sorti di milioni di persone, non si può essere così imprevidenti, sciatti, leggeri.
Qual è il rischio che intravede nella strategia della Nato?
Io ho ancora negli occhi e nelle orecchie l’uscita dall’Afghanistan e temo, o spero, che in questo caso possa succedere lo stesso. Cioè che a un certo punto gli Stati Uniti decidano che è ora di smetterla e si mettano d’accordo con Putin sulla testa di Zelensky.
Ci hanno messo molti anni per andarsene dall’Afghanistan, non vorrei che anche stavolta la durata fosse quella.
Ho ricevuto indiscrezioni da fonti molto autorevoli che parlano già di colloqui sotterranei tra la Cia e i corrispondenti russi. Non vorrei che questo fosse il primo segnale.
Cioè che gli Usa abbiano in mente di mollare Zelensky?
Di chiudere questa vicenda che ha già causato decine di migliaia di morti. Questa potrebbe essere una soluzione auspicata o deprecata, a seconda dei punti di vista.
Lei sostiene che la Nato dovrebbe occuparsi di più del fronte Sud, e anche qui l’Italia e l’Europa potrebbero fare la loro parte.
Anche e soprattutto qui, certo. Lo stiamo dicendo da molto tempo, forse con voci isolate, ma ci sono molti interessi che ci uniscono. Dobbiamo reclamare una strutturazione delle capacità della Nato verso Sud. Chiaramente quello che oggi chiamano il «piano Mattei» non si può fare se non c’è una cornice di sicurezza che consenta di far crescere i Paesi dell’Africa: un concetto ovvio ma che sembra dimenticato. A questa grande partita è stato dedicato un solo capoverso degli 80 del comunicato finale.
Anche in questo caso, come sottolineava lei prima, il riflesso condizionato della nostra informazione a dividere tutto tra i buoni che vogliono accogliere i migranti e i razzisti che vogliono respingerli non aiuta a comprendere la questione.
Ha detto bene, il ruolo dei media non aiuta, anzi, è deleterio. Ed è fastidioso che un pesce piccolo del panorama mediatico italiano, come me, debba essere dissenziente quando propone qualcosa di ragionevole. C’è un’acquiescenza conformista al mainstream, in cui si adagiano tutti, recependo quello che i decisori vogliono che venga scritto.
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