Risiko Africano: Destabilizzazione e Penetrazione
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
Gioco a 6 tra Mercanti di uomini, Jihadisti, Russia, Cina, USA e Paesi Europei
L’Africa è un Continente sempre più conteso, ricchissimo di materie prime che fanno gola a tutti, ma estremamente povero.
Serve innanzitutto tracciare una mappa degli interessi, economici e geopolitici, iniziando da quelli dei mercanti di uomini che alimentano il traffico dei migranti disperati, che li pagano per sfuggire a situazioni di grande povertà nella speranza di trovare migliori condizioni di vita in Europa.
Cominciamo con la destabilizzazione dell’Europa, in cui arrivano da anni, a centinaia di migliaia, i disperati che provengono dalle aree più povere del Sud del Mondo, oltre che dalle zone di guerra. E’ un interesse geopolitico che accumuna tanti attori della scena mondiale: portano scompiglio economico e sociale, creano problemi di integrazione. Il problema è umanitario, certo, ma dietro c’è chi ha interesse ad alimentare le tensioni che derivano dai flussi di immigrazione incontrollata.
Le ONG, che salvano i tanti che vengono imbarcati su natanti di fortuna, e poi abbandonati alla deriva nel Mediterraneo, non possono far molto per i tanti che si trascinano per migliaia di chilometri sulle rotte terrestri che vanno dal Golfo di Guinea fino ai porti di imbarco: ci sono i tanti Paesi africani da cui partono le moltitudini dei migranti, quelli che vengono solo attraversati da queste moltitudini, quelli europei di prima accoglienza e quelli che vengono ambiti come destinazione finale.
L’Italia è un Paese di prima accoglienza, a sua volta di transito temporaneo, perché la gran parte dei migranti vuole andarsene via il prima possibile, per recarsi in Francia o in Germania se non in Inghilterra, raggiungendo parenti o altri amici già lì insediati.
Tutti sanno delle condizioni di Ventimiglia, ai confini della Francia, dove a migliaia i clandestini stazionano in attesa di passare la frontiera, venendo costantemente ricacciati indietro dalla Gendarmeria. Ma è lo stesso a Calais, il porto francese sulla Manica, dove sempre a migliaia si sono raccolti per anni in una sorta di Giungla i clandestini che volevano arrivare in Gran Bretagna.
Ci sono poi i Paesi del Magreb, quelli della sponda meridionale del Mediterraneo, che sono solo attraversati dai flussi di migranti: creano loro parecchi problemi per questa ospitalità temporanea che devono offrire, sperando che se ne vadano via il prima possibile. Il Marocco come l’Algeria, la Tunisia come la Libia, sono i più colpiti da questo fenomeno.
Ci limitiamo a questa rotta mediterranea, senza considerare quella balcanica o quella che passa per la Turchia e per la Grecia, Paesi di transito, che affrontano in particolare i flussi di provenienza dei profughi siriani.
Per quanto riguarda l’Italia, basta vedere i dati di provenienza dei migranti arrivati nel 2023: al primo posto c’è la Costa d’Avorio col 12% degli arrivi, poi la Guinea con l’11%, l’Egitto col 9%, il Bangladesh con l’8%, il Pakistan e la Tunisia con il 7%, il Burkina Faso col 6%, la Siria col 5%, il Camerun ed il Mali col 3%. Messi insieme, i migranti che provengono dai Paesi sub-sahariani pesano per il 35%.
A voler schematizzare dal punto di vista geografico, ci sono dunque tre fasce si Paesi che sono interessati dalla rotta mediterranea dei migranti: quella dei Paesi del Magreb, con la Tunisia e la Libia in testa, in cui arrivano per imbarcarsi ed arrivare finalmente in Europa, attraverso i porti sicuri come quelli dell’Italia; quelli del Sahel, la fascia sub-sahariana, che rappresentano invece una fascia di territorio che viene solo attraversata da coloro provengono da ancora più a Sud, come il Camerun, la Costa d’Avorio o la Guinea. In pratica, il Niger è un Paese chiave per le rotte dei migranti, visto che passano tutti di lì per arrivare in Libia ed in Algeria.
Detto chiaramente: i migranti sono innanzitutto un business, sia per chi ne organizza la tratta per farli arrivare a destinazione, sia per le organizzazioni che ne gestiscono il salvataggio in mare e poi l’assistenza nei diversi Paesi. Ma sono anche uno strumento di destabilizzazione innanzitutto per i Paesi africani di transito, poi per quelli europei di prima accoglienza ed infine per quelli sempre europei di destinazione finale.
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha appena presieduto alla Farnesina una Conferenza internazionale, su “Sviluppo e Migrazioni”, cui ha invitato sia il Presidente tunisino Saied che la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, ed a alla quale hanno partecipato numerosissimi Paesi europei ed africani interessati ai flussi di transito che di accoglienza, che ha avuto tra i principali punti di attenzione proprio il contrasto al traffico illegale di migranti.
C’è un secondo strumento di destabilizzazione, stavolta dell’Africa: i movimenti jihadisti.
E’ un argomento subdolo, perché non si sa mai bene chi ci sia dietro: non può essere solo un fenomeno spontaneo, visto che per un verso viene strumentalizzato per indebolire i governi africani e per l’altro per offrire loro un sostegno per contrastarli. In pratica, rappresentano forme di aggregazione sociale su base religiosa che minano l’autorità degli assetti ufficiali di potere: rappresentano una alternativa islamista, comunitarista, che erode la legittimazione della struttura politica tradizionale.
Il Califfato africano, esteso a macchia di leopardo, è ormai un fenomeno endemico: interi Paesi non sono più agibili, dal Sud Sudan alla Somalia per citarne alcuni.
La destabilizzazione dell’Africa attraverso il sostegno nascosto che viene dato al Jihadismo è un modo per impedire ad altre Potenze di insediarsi in questi Paesi: come la tattica degli Indiani di avvelenare i pozzi, o quella dei Tartari di ritirarsi bruciandosi alle spalle la steppa. Nessun nemico può prendere possesso di quelle aree.
C’è un altro aspetto: contrastare le organizzazioni Jihadiste può essere un modo attraverso il quale gli Stati stranieri a questo punto offrono protezione ai regimi africani che sono al potere. Protezione armata, naturalmente, inviando proprie truppe: lo ha fatto in più di un caso la Francia, con scarsissimo successo in Mali e Burkina Faso, oppure l’Italia partecipando ad una missione internazionale in Niger di osservazione e contrasto al traffico di migranti.
Sappiamo bene come la Compagnia militare Wagner abbia ampiamente approfittato degli insuccessi riportati dalla Francia nel contrasto al Jihadismo: accusando indirettamente gli ex-colonizzatori di strumentalizzare la lotta al Jihadismo per tenere le proprie truppe in questi Paesi, la Russia subentra.
Il contrasto alla destabilizzazione portata dalle organizzazioni Jihadiste viene usato per fini geopolitici.
Come se non bastasse, si approfitta di questo cambio di mano per prendere possesso delle immense risorse minerarie dei Paesi africani.
E’ in questo modo che paga la protezione militare offerta dai Russi della Wagner oppure il costo delle infrastrutture di interesse generale che vengono realizzate dalla Cina con propri capitali, dalle strade alle ferrovie, ai porti.
Inutile aggiungere che la Russia sta offrendo ai Paesi africani anche la cessione a prezzi di favore dei cereali di cui le popolazioni hanno estremo bisogno, e per le quali i rispettivi governi non hanno le risorse necessarie per procedere agli acquisti a prezzi di mercato.
Questo è lo scontro geopolitico in corso in Africa: violento e sanguinoso, come sempre.
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