“Che io cadrò morto a terra ben m’accorgo, ma qual vita pareggia il morir mio?”
(Fra Giordano Bruno da Nola)
Nell’ora più buia, nel tempo del disumano, nel nome della luce e dell’uomo. Per la Verità nel segno dello Spirito, questa è la nostra battaglia nella luce. Sino alla fine, senza paura, sino alla vittoria…
Signore degli Anelli, stessa scena nel film e nel Libro (le Due Torri). Re Théoden di Rohan è ormai accerchiato nel mastio del Tromba Torrione al Fosso di Helm, con l’ultimo manipolo di ardimentosi. Sono i superstiti del suo esercito d’indomabili. Ne fanno parte i signori dei cavalli (gli uomini naturali); l’ultimo re di stirpe consacrata e perciò taumaturgo, Aragorn “Grampasso”; il campione dei Nani (le forze ctonie, alchemiche e minerali della terra), Ghimli; e infine Legolas Verdefoglia, il Leonida del popolo degli Elfi (la forza imperitura della natura naturas e naturata, l’universo sciamanico). C’è anche una donna, naturalmente. E’ sua nipote Eowin, fulgida rappresentazione della-donna-come-dovrebbe-essere: femminina e guerriera, dolce e fortissima, caritatevole e spietata, Afrodite e Artemide, Cerere , Artemide ed Atena, Maria e Kali!
Cadute son le mura che si credevano impenetrabili, una porta di legno e pochi armati separano ormai l’orda Urukai –mostri creati dal male nel nome della “scienza” “al ritmo dell’industria” (l’ingegneria genetica)- che sta per avventarsi su donne, vecchi e bambini nascosti nelle grotte (state a casa… Andrà tutto bene…) per farne scempio e decretare la fine del tempo degli uomini.
Un “grande reset”, per costruire un mondo nuovo: quello degli orchi e del potere fine a sé stesso. Un mondo senza spirito e magia, sogni, dubbi e speranze. Un mondo senza bellezza. Un mondo con la certezza del Male decretata per statuto “scientifico”. Il mondo dei signori oscuri, e dei loro funzionari “vermilingua” per convenienza o per paura. Nell’occhio del ciclone, nei pochi istanti di calma apparente che sempre concede anche la più furiosa delle tempeste, re Theoden riavvolge il nastro della memoria e si pone la domanda esiziale: “Chi sono io…?” E continua, facendo sue le parole di un’antica profezia celata da tempo immemore nel sembiante di una canzone che ora si svela nel suo attuarsi…
“Dove sono cavallo e cavaliere? Dov’è il corno che suonava? Dove sono l’elmo e lo scudiero, e la fulgida capigliatura al vento? Dov’è la mano sull’arpa, e il rosso fuoco ardente? Dov’è primavera e la messe, ed il biondo grano crescente? Son passati come pioggia sulla montagna, come raffiche di vento in campagna; I giorni scompaiono ad ovest, dietro i colli che un mare d’ombra ormai bagna.”
Concludendo infine: “…Come siamo giunti a questo?”. E’ retorico, perché la risposta è chiara, specchiata. I segni c’erano tutti, ma ha rifiutato di vederli, come il suo popolo. Presi tutti dalla letargia della “comunicazione” costante di Grima Vermilinguo. Grima, in antico sassone e islandese, maschera. Vermilinguo, dalla lingua di verme!
La maschera (ina) del vero: cioè il suo contrario! La lingua-di-verme: worm, baco, tarlo, “virus”! Quello della menzogna suprema: il sommo male mascherato da bene per portare l’uomo alla perdizione. Fiaccandone lo spirito e il corpo, annullandone l’anima, minandone i valori e i credo e le fedi nel profondo… Da quanto tempo lo si sente sussurrare anche in quest’epoca ormai vuota di tutto? Le sue parole son le stesse, quelle di sempre…
No, non c’è alcun male. La vera forza e la debolezza. Perché agire quando si può oziare? La vera sapienza è l’ignoranza (spacciata per “semplicità”). Ma quale Dio? Non c’è alcun dio. Ma quale fede? Tutto è relativo. Quale poesia, se c’è la “scienza”? Ridete, non pensate, storditevi e quindi… tremate! Sì: il riso ebete, la debolezza, l’incoscienza e quindi… la paura. No, di più: il panico che irretisce corpi e menti ormai intorpiditi e inadatti a qualsiasi azione. Ogni similitudine con l’ora e adesso, è palese, e non avrebbe senso alcuno insistere al riguardo. Come senso alcuno avrebbe chiedersi
“…come siamo giunti a questo?”.
Lo sappiano tutti. Ma sappiamo anche che Il Signore degli Anelli è una trilogia, e quanto descritto accade nel II libro –Le due Torri-e neppure alla sua fine…
“Alla prima luce del quinto giorno, all’alba guarda ad est”.
Queste le parole di Gandalf divenuto il Bianco, ad Aragorn!
Nessuna facile speranza, quanto piuttosto un ordine marziale di resistere con la piena consapevolezza di una vittoria finale! Certo non facile, perché il facile non esiste. Sicuro non senza sangue e sacrifici, perché tutto è anche dolore e costante sforzo per far vincere la luce. Non si fa nulla senza scontro, lotta. Con forza, serietà e coraggio…
Sì, soprattutto CORAGGIO!
Da cor, cordis: CUORE!
E Gandalf è il coraggio incarnato. Tolkien gli attribuisce centinaia di vite degli uomini (no, non è longevità, ma consapevolezza delle vite precedenti). E ci vuole un grande cuore per vivere e morire 1000 volte per amore di “virtute e conoscenza”. Esistenze spese tutte a girovagare senza fissa dimora come “Grigio Pellegrino” del sapere, quelle di Mitrandir. Zero comfort zone, zero radicamenti che non siano quelli della sua sacra missione, che poi dovrebbe esser quella di tutti. Eccolo quindi – dallo Hobbit alla Compagnia dell’anello – quale sapiente, saggio, coscienza critica persino del suo stesso ordine: tramite fra popoli diversi e fra questi e le più segrete forze spazio temporali…Mago!
Prima cinereo – ala di corvo – nell’ombra. Poi, sconfitto il Balrog (l’orda dei demoni interiori più profondi) rivestito nella sua veste di risorto dagli inferi del bianco mantello del più alto lignaggio sacerdotale. Chiaro, specchiato. Lumi-numinoso! Ed è qui che inizia il suo compito più vero: combattere e combattere ancora, ergendosi a guida ed esempio per gli uomini di buona volontà e ferreo senso del dovere e dell’azione che consegue. Nell’ora più buia, nel momento più tragico, quando tutto sembra perduto, è lui la luce e il regista degli eventi. Lui il faro e la guida. Il custode del verbum dimissum. Gandalf il Bianco: la sapienza tradizionale, sacra, capace di unire il cielo e la terra e dare senso al nostro vivere e morire per ragioni più alte –direbbe Thoreau- cioè, da UOMINI! Rendendo possibile il Ritorno del Re al trono che gli spetta: quello di signore magnanimo – e per questo taumaturgo – del creato stesso, nella sua più piena dimensione di
“creato ad immagine e somiglianza del Creatore stesso”.
Aragorn il wald-gänger nel senso più strettamente Jüngeriano del termine, Aragorn il senza paura, che al momento del bisogno riassurge al suo ruolo poiché della stirpe di chi aveva da sempre combattuto il Male senza scuse o infingimenti. L’UOMO.
L’UOMO pieno di amore per l’UMANITA’ e l’universo: POLIPHYLIO!
Ovvero l’umanità al suo meglio: risvegliata, consapevole, compassionevole, ardimentosa. Siamo in pochi, siamo la resistenza, siamo noi col “diverso filosofar nostro” rivolto solo al vero e al bene, al sacro e al centro più profondo della radice delle cose.
Non vinceranno perché hanno sempre perso.
Non vinceranno perché pur essendo parte del progetto, non sono il progetto.
Andrea Aromatico
FONTE: https://www.liberopensare.com/il-diverso-filosofar-nostro/
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