“Ogni cosa al suo posto”: un manifesto contro le tentazioni neocostituzionaliste
DA LA FIONDA (di Federico Musso)
Tra le novità editoriali estive spicca la monografia di Massimo Luciani, professore emerito di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Roma “La Sapienza”, intitolata “Ogni cosa al suo posto” (edizioni Giuffrè). Lo scritto intende mettere a sistema una serie di riflessioni già extravagantes, elaborate dal Professore nella sua ricca produzione scientifica degli ultimi anni, che non si rivolgono soltanto agli studiosi di diritto costituzionale, bensì parlano a tutti coloro che si interessano delle sorti della res publica, specie se mossi da un sincero interesse per il modello politico-sociale consacrato nella Costituzione del 1948.
L’Autore intende, al principio, muovere le sue riflessioni da un concetto che la dottrina odierna tralascia o ritiene superfluo: lo statuto epistemologico del diritto. Infatti, chi si occupa di questa scienza ha spesso dimenticato che «la pretesa ultima del diritto» è la «costruzione di un ordine delle relazioni umane»[1]. L’intreccio fra diritto e ordine ha fondamenti ancestrali, legati indissolubilmente alla direzione finalistica della norma giuridica volta a disciplinare un “dover essere”, che Luciani espone in un ricco excursus storico-filosofico, in cui ripercorre la mitologia greca e la filosofia medievale e seicentesca fino a giungere a Kant[2]. Discende dalla ricerca dell’ordine la funzione fondamentale del diritto: erogare certezza, da intendersi come prevedibilità da parte dei consociati delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni (riprendendo la nota definizione di Gometz[3]).
Nonostante gli scetticismi di molti suoi colleghi, Luciani è convinto della validità di intendere la certezza come criterio ordinante e, dunque, «ogni colpo inferto alla certezza e all’affidamento deve essere inteso come una violazione – oltre che dei principi dello Stato di diritto – dello stesso patto fondativo che ha dato vita allo Stato»[4]. Nel sostenere la tesi, l’Autore attinge a un’analisi storica delle funzioni dello stato moderno: nasce con la modernità un apparato statale che, reclamando il monopolio legittimo dell’uso della forza, pone fine alle guerre di religione sul suolo europeo, scatenate dalla frattura della cristianità fra Chiesa cattolica e Chiese riformate[5]. È lo stato che si dimostra l’unica “formazione sociale” capace di garantire l’hobbesiana safety ai propri consociati e, traslando la sicurezza fisica dal piano fattuale, è tradotta «in termini giuridici»[6] come certezza del diritto.
A completamento di tale riflessione, il Professore sottolinea che è giusto dare una lettura “emancipatrice” di tale concetto. Nonostante un’impressione superficiale porti a collegare tale principio a un’idea conservatrice e immobile dell’ordinamento giuridico, alimentata dai riferimenti teorici a Hobbes e al suo «pensiero ferrigno e autoritario, [come] si potrebbe obiettare»[7], un portato della certezza del diritto è la necessità dell’«eteroregolazione imposta da un potere politico ordinante»[8]. Per spiegare il passaggio logico, si traccia un parallelismo fra il diritto delle poleis greche e gli ordinamenti odierni. L’agraphos nomos (il diritto non scritto) era un sistema di norme affidate «alla custodia di un ceto privilegiato»[9], quindi un sistema aristocratico; mentre il nomos gegrammenos corrispondeva a scelte positive di organi della polis. Allo stesso modo, le leggi poste da uomini (positive) sono «lo strumento della progettazione e dell’emancipazione individuale e politico-sociale»[10], diversamente dagli eterei riferimenti al diritto naturale o a imprecisati “valori”. A sostegno della sua tesi, il Professore accenna anche all’esperienza della Germania nazista nella quale la costituzione scritta era ritenuta superata dalla «völkische Verfassung, manifestata all’esterno negli interventi del Führer, ma radicata nell’autodisciplina del popolo e nel sentimento nazionale tedesco»[11]. Si sottolinea nel libro come l’autoregolazione giuridica, al di là della fascinazione semantica, spesso accompagna quelle dottrine economiche liberiste alla Hayek in cui l’ordine giuridico non sarebbe altro che «la dimensione normativa della socialità»[12]. Da tale concezione discendono l’esaltazione liberale delle autorità amministrative indipendenti e della soft law, così come la crescente assuefazione degli operatori del diritto ai codici di comportamento elaborati dai c.d. “poteri privati” e imposti agli utenti/cittadini[13]. È evidente che un sistema di autoregolazione riduce gli spazi della politica (democratica) ed incide sulle stesse garanzie dei diritti.
L’enfasi posta sulla certezza del diritto serve per fondare la ricerca dell’ordine fra i poteri costituzionali; ricerca che, a causa di processi disordinanti giustificati da «letture alquanto “fluide” del reale»[14], oggi richiede una provocatoria restaurazione, da intendersi come «riposizionamento nella sede propria»[15] di ciascuno dei poteri costituzionali. Invasioni di campo, trasformazioni delle fonti del diritto, ma soprattutto un crescente decadimento del tasso di democraticità del sistema: «è principalmente il principio democratico-rappresentativo che è stato mortificato dal disordine e che sono le ragioni del principio democratico-rappresentativo che occorrerebbe soddisfare ripristinando l’ordine»[16].
Per evidenziare le alterazioni dal modello costituzionale il Professore analizza i tre “momenti di vita” della legge (produzione, applicazione e sindacato di legittimità costituzionale) poiché è quella particolare fonte del diritto al crocevia «di pressoché tutte le linee di tensione istituzionale»[17]. Particolare attenzione è dedicata al rapporto fra legislatore parlamentare e giudici, ossia fra chi dovrebbe produrre la legge e quanti dovrebbero applicarla in un giudizio. Il rapporto si è così alterato che il legislatore ha perso la capacità di dettare le «strategie di lungo periodo»[18]; mentre la giurisdizione ha allargato i suoi spazi di azione, entrando nel campo della «regolazione del conflitto sociale»[19] fino a dettare ex se la regola (asseritamente) “giusta” del caso concreto. Così facendo, il “creazionismo giudiziario” carica di disordine il sistema giuridico, essendo palese l’impossibilità di una coerenza generale delle norme così create e di un efficace coordinamento fra le numerose giurisdizioni (nazionali e non solo), non tralasciando i problemi «di legittimazione e di consenso (specie nel medio-lungo periodo) di decisioni giurisdizionali non strettamente legate a un diritto positivo negoziato e condiviso in quanto di provenienza “politica”»[20].
È nella critica al protagonismo giudiziario che si può apprezzare maggiormente il tono “anti-neocostituzionalista” del Professore. Per neocostituzionalismo s’intende un movimento culturale e giuridico eterogeneo, ma accomunato da un serrato rifiuto del positivismo giuridico[21], tra i cui esponenti possono annoverarsi Robert Alexy, Ronald Dworkin e, in Italia, Gustavo Zagrebelsky. La coordinata di fondo che lega i neocostituzionalisti è la sfumatura della distinzione fra diritto e morale[22]: le carte costituzionali lunghe avrebbero incorporato veri e propri valori, così che il diritto non si limiterebbe a quanto espresso nei testi legislativi e il giudice non sarebbe soggetto soltanto alla legge, ma alla totalità del diritto, includendovi i valori[23]. Il corollario di questa impostazione è gravare i giudici, in particolar modo i tribunali costituzionali, del compito di applicare della Costituzione, lasciando però in disparte il legislatore democratico nell’attuazione della stessa. Il risultato, rivendicato dagli esponenti del neocostituzionalismo, è quindi «l’espansione del ruolo del potere giudiziario»[24]. Le supposte virtù del giudice di comporre i conflitti, con la formula “magica” del bilanciamento dei valori e della regola della proporzionalità, si basa sull’«edulcorata visione di un mondo interamente pacificato, nel quale i valori sociali di riferimento sono stati recepiti (i.e.: positivizzati) una volta per tutte nelle costituzioni o nelle carte internazionali dei diritti»[25], senza dover ricorrere a complicate mediazioni politiche nelle sedi (opportune) della rappresentanza. Si tratta, come nota Luciani, di una visione di un diritto senza conflitti che si disinteressa della questione del potere[26], abbandonando però la tradizionale nozione di costituzionalismo che ne accompagnato il percorso storico fin dalla sua genesi[27].
In conclusione, “Ogni cosa al suo posto” è un invito a riconsiderare criticamente fenomeni istituzionali quasi dati per assodati, ma ben lontani dallo spirito della Costituzione e dallo statuto della scienza giuridica. Restaurare l’ordine costituzionale dei poteri è, allora, il sunto di una «proposta pratico-politica»[28] non volta a una regressione nostalgica, anzi tutt’altro. Il senso proprio della “restaurazione” è attuare i precetti democratici, «abbandonando teorie post-moderne, strade alternative, percorse dal viandante malintenzionato, [che] non menano alla salvezza, ma alla perdizione»[29]. E al disordine.
[1] M. Luciani, op. ult. cit., pp. 11-12.
[2] M. Luciani, op. ult. cit., pp. 20-41.
[3] G. Gometz, La certezza giuridica come prevedibilità, Torino, Giappichelli, 2005, passim.
[4] M. Luciani, op. ult. cit., pp. 53-54.
[5] M. Luciani, op. ult. cit., p. 42. Amplius, M. Luciani, Garanzie ed efficienza nella tutela giurisdizionale, in Rivista AIC, n. 4/2014, pp. 32 ss.
[6] M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, cit., p. 43.
[7] M. Luciani, op. ult. cit., p. 37.
[8] M. Luciani, op. ult. cit., p. 60.
[9] M. Luciani, op. ult. cit., p. 64.
[10] M. Luciani, op. ult. cit., p. 64.
[11] M. Luciani, op. ult. cit., p. 65. Nella monografia Luciani cita il volume di Portaluri nel quale si descrivono gli esiti totalitari di un «ordinamento non fondato su fonti scritte e codificate, bensì alimentato da una rete di principi e clausole generali, nel cui ordito il giurista militante – pienamente immerso nel diritto profondo del Blut und Boden, nelle correnti pieni di vita del suo popolo – trova (invenit) o addirittura crea (schafft) la regola del caso concreto»; P. L. Portaluri, La cambiale di Forsthoff. Creazionismo giurisprudenziale e diritto al giudice amministrativo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2021, pp. 23-24.
[12] M. Luciani, op. ult. cit., p. 60.
[13] M. Luciani, op. ult. cit., p. 148. Un esempio “problematico” di autoregolazione è il caso del Facebook Oversight Board (FOD) con cui il social network decide in autonomia sulla moderazione dei contenuti sulla base di propri codici di condotta. Per considerazioni critiche sul FOD, v. A. Buratti, Framing the Facebook Oversight Board: rough justice in the wild Web?, in MediaLaws. Rivista del diritto dei media, n. 2/2022, pp. 31-48.
[14] M. Luciani, op. ult. cit., p. 8.
[15] M. Luciani, op. ult. cit., p. 226.
[16] M. Luciani, op. ult. cit., p. 227.
[17] M. Luciani, op. ult. cit., p. 111.
[18] M. Luciani, op. ult. cit., p. 149.
[19] M. Luciani, op. ult. cit., p. 150.
[20] M. Luciani, op. ult. cit., p. 179.
[21] Così, ex multis, G. Pino, Principi, ponderazione e la separazione fra diritto e morale, in Giurisprudenza costituzionale, n. 1/2011, pp. 965-997.
[22] Zagrebelsky ha scritto di «ri-moralizzazione del diritto»; G. Zagrebelsky, Stato costituzionale, in Id., Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune, Torino, Einaudi, 2009, p. 132.
[23] Secondo la teoria di Alexy espressa nel suo Theorie der Grundrechte, «l’attività di applicazione del diritto diviene molto più complessa e non può più essere considerata esclusivamente come sussunzione del caso alla norma: la decisione giurisprudenziale deve essere vista come attività che ha quale punto di riferimento i diritti e i principi (valori) contenuti nella costituzione»; G. Bongiovanni, voce Neocostituzionalismo, in Enc. dir., Annali IV, Milano, Giuffrè, 2012, p. 753. Sull’implicazione delle teorie neocostituzionalistiche sulle tecniche interpretative e sulla validità delle norme v. G. Messina, Il neocostituzionalismo, in Democrazia e diritto, n. 1-2/2011, pp. 384 ss.
[24] G. Bongiovanni, voce Neocostituzionalismo, cit., p. 749.
[25] M. Luciani, op. ult. cit., p. 13.
[26] Ibidem.
[27] L’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, tradizionalmente considerata la definizione del costituzionalismo in senso storico-politico, si riferisce contemporaneamente alla questione della separazione dei pouvoirs e alla garanzia dei droits. V., per tutti, V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. 2, Cedam, Padova, 1970-1971.
[28] M. Luciani, op. ult. cit., p. 225.
[29] M. Luciani, op. ult. cit., p. 261.
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