La Riforma fiscale della destra turbo-liberista: inattuabile e fumosa
di STRISCIA ROSSA (Giovanni Benaglia)
Smoke gets in your eyes, cantavano i Platters negli anni 50. Fumo gettato negli occhi, in italiano. Potrebbe essere la musica di sottofondo ideale per commentare la riforma fiscale che, al netto della giusta propaganda, è parzialmente inattuabile e in gran parte superflua.
Inattuabile innanzitutto perché per renderla effettiva bisogna sfornare una serie di decreti legge che, per capacità fin qui dimostrate, questo Governo non è in grado di produrre in tempi brevi. Per dire, la Legge di Stabilità 2023 prevede l’adozione di 116 provvedimenti attuativi. Ad oggi ne sono stati emanati 54, cioè meno del 50% di quelli necessari.
La vera pietra tombale, però, sulla riforma è contenuta nell’art. 22 della Legge Delega, il quale prevede che “dall’attuazione delle deleghe non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carica della finanza pubblica, né incremento della pressione tributaria”. Il principio di fondo è che se si scontano le tasse per qualcuno, ad altri bisogna aumentarle. Al più si tagliano le spese.
L’eliminazione dell’Irap, per fare un esempio, forse sacrosanta visti anche i suoi problemi di anticostituzionalità, prevede, di contro, l’introduzione di una addizionale all’imposta sui redditi, perché bisogna garantire “alle regioni un gettito in misura equivalente a quello attuale”. Taglio delle tasse, flat tax e altri slogan del genere, dunque, li possiamo lasciare ai libri dei sogni che, per vulgata comune, sono molto convenienti essendo gratis.
Accertamento e riscossione regolamentati in modo superfluo
La parte superflua della riforma è quella, a costo zero, che interviene sulle modalità di accertamento e di riscossione. Superflua, perché stabilisce principi e azioni già ampiamente presenti nel nostro ordinamento. Prendiamo la parte in cui si illustra il principio del contraddittorio e della espressa motivazione sulle osservazioni formulate dal contribuente oggetto di verifica. In soldoni, si deve prevedere in futuro che prima di emettere un atto di accertamento è giusto sentire il contribuente e poi, eventualmente, spiegargli il perché le sue osservazioni non possono essere tenute in considerazione. Questi due principi nel nostro ordinamento esistono almeno dal 1948. L’art. 97 della Costituzione prevede che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
Non motivare un atto amministrativo non è di sicuro assicurare il buon andamento di un ufficio pubblico. In più la legge 241 del 1990 stabilisce che gli atti della pubblica amministrazione devono essere motivati, per consentire al destinatario di difendersi. Già oggi, perciò, anche il più scalcagnato ragioniere di provincia può impugnare un atto non motivato e vedersi riconosciuto il suo annullamento. L’obbligo di chiamare il contribuente per instaurare il contraddittorio, è, invece, previsto dall’art. 5-ter del D. Lgs. 218/97 a pena di nullità dell’atto di accertamento emesso.
Per la lotta all’evasione c’è solo il concordato preventivo fiscale
Il capitolo della lotta all’evasione si limita a introdurre il concordato preventivo fiscale. Dovrebbe funzionare in questo modo: l’Agenzia delle Entrate chiama il contribuente, gli dice che secondo i dati raccolti, nei prossimi anni lui dovrebbe avere un certo reddito. Se il contribuente accetta, per due anni nessuno più lo disturba. Altrimenti, mal lo incoglierà e rischierà un accertamento. Questo procedimento nel nostro ordinamento è già stato presente, nel 2003 e poi nel 2015, con pochissima fortuna. Nessuno lo hai mai richiesto perché l’italiano, si sa, preferisce essere scoperto dal Fisco piuttosto che consegnarsi a lui. Tra l’altro, curiosamente, nella Legge Delega si legge che questo procedimento si baserà anche sugli “indicatori sintetici di affidabilità”, cioè la naturale evoluzione dei famigerati “studi di settore”, inventati dal Governo Prodi. Tornano alla mente i leghisti, i forzisti e altri esponenti della destra o dei rappresentanti degli imprenditori, quando si legavano fuori dal Parlamento protestando contro questo strumento, che a loro dire era vessazione di Stato.
C’è qualcosa in più, invece, sulla parte che riguarda la riscossione, ma non tale da richiedere una legge delega e poi una serie di decreti successivi. Le modifiche potevano essere fatte con una semplice legge ordinaria, al più con qualche decreto come se ne fanno tanti. Si introducono, infatti, dei principi di buon senso, come quello che l’Agente della Riscossione, dopo cinque anni passati infruttuosamente a cercare di recuperare dei debiti fiscali, può restituire tutto il pacchetto all’ente impositore che gli ha chiesto di recuperare questi debiti. Oppure, l’Agente della Riscossione prima di fare pignoramenti a pioggia, può preventivamente verificare se sul conto corrente del debitore ci sono almeno due spicci da prendere.
Un impasto di ricette propagandistiche
Cosa rimane, quindi, di questa sbandierata Riforma Fiscale? Poco di sostanziale e molto di propagandistico. È un perfetto manifesto di ciò in cui crede la Destra di Governo. Un impasto di ricette turbo liberiste, con un tocco di Reganomics e un po’ di Laffer che manco più i parenti di Laffer, dopo quarant’anni, lo stanno più a sentire.
Una curiosità in chiusura: l’art. 16 della Legge Delega prevede il divieto della vendita a distanza delle sigarette elettroniche che contengono nicotina. La motivazione è di “contrasto del mercato illecito, di tutela della salute dei consumatori e dei minori nonché di tutela delle entrate erariali”. Per carità, principi tutti condivisibili. Cosa c’entri questo con una legge delega di Riforma fiscale è assai oscuro.
Fonte: https://www.strisciarossa.it/la-riforma-fiscale-della-destra-turbo-liberista-inattuabile-e-fumosa/
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