Sì, negra perché Vincenzo Monti traduceva così, non me ne vogliano il politicamente corretto e il correttore. Comunque, in Libano è tornato il turismo. Non le orde di turisti mangia-sfilatino e tela che affollano le città italiane in questa estate. Forse. Perché “i numeri” – quelli che tutti citano a nastro – non sembrano così rassicuranti. Non divaghiamo! Al Festival Internazionale di Byblos, cuore antico della civiltà mediterranea, si ritrova una popolazione bella, elegante, festosa, nonostante le avversità, le ingiustizie, le ombre. E la vita lontano. Sono anche quelli della diaspora libanese, stimata dai 4 agli oltre 10 milioni nel mondo. Tornano a casa. Ben oltre un milione questa estate – stima il Ministro del Turismo Walid Nassar, che tanto si è speso per questo festival.
La situazione del paese rimane, però, in uno stallo magmatico. Tre anni fa la drammatica esplosione nel porto di Beirut, tre anni senza giustizia; non solo, tre anni in cui il giudice incaricato delle indagini è stato perfino minacciato ma difeso dal popolo. L’immagine dei pompieri che tengono stretta una foto di un collega è indelebile. “Ceci n’est pas un crime”: ha titolato L’Orient – Le Jour. Così ha reso tutto il surrealismo della situazione. Come dargli torto? Allora facciamolo qualcosa di più per questo mare che ci unirà saecula saeculorum e dove la cooperazione italiana tanto ha seminato e bene! La diplomazia meloniana è tutt’altro che deludente, con buona pace dei subiti allarmismi. E allora allarghiamolo questo piano Mattei! Non tanto stabilizzazione, ma almeno la normalizzazione del Libano dovrebbe essere al primo posto delle agende internazionali.
Tutto tace da un’Europa post-Brexit e con la guerra – di nuovo – in casa, dopo il fiasco Macroniano, finito per legittimare l’attuale classe dirigente. “Forse tu agisci da re perché ostenti passione per il cedro?”: recita il Deuteronomio. Il divino puniva già la hybris, prima delle vette dei “Persiani”. Altro che novello De Gaulle, insomma, come molti osservatori – nostrani e non – lo avevano dipinto. Nel frattempo, avviso ai naviganti e ai nocchieri, un’esplosione scuote il porto di Derince, tra gli stretti e il Pontus Euxinus, ovvero l’Ak Deniz, ovvero il Mare Nero, il lato oscuro del Kara Deniz, il “mare bianco” degli ottomani. D’altronde, il Mediterraneo è “mare di mari”, per scomodare Braudel ancora una volta, sicché tutto si condiziona, come un moto marino indefesso.
A proposito, i fratelli libanesi hanno apprezzato l’edizione in francese de “Le Grand Bleu” (Florence Press, 2014), curata da Franco Cardini. Ça va sans dire! Tra un tramonto che sembra Rothko e la voce del mare, un saluto, gordiani!
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