Papa Francesco Vincenzo Pinto/AFP via Getty Images
Papa Francesco – Vincenzo Pinto/AFP via Getty Images

 Nessuna confusione dunque tra credo e violenza, tra sacralità e imposizione, tra percorso religioso e settarismo”.

Ci risiamo con le premesse. Papa Francesco ha uno stile retorico antico, oserei dire aristotelico. Date alcune premesse, tira le conclusioni. Si chiama sillogismo, che a sua volta viene da silloge, raccolta, antologia di logoi.

Cos’è il logos? Possiamo definirlo come un principio che consiste a prescindere dalle circostanze. Il sillogismo è una raccolta di principi primi, o verità immutabili.

L’espediente ha una forza persuasiva tale che Aristotele stesso mette in guardia dall’esistenza dei falsi sillogismi. L’esempio classico di fallacia è: niente è meglio della felicità, un panino è meglio di niente, un panino è meglio della felicità.

L’idea che la religione in genere – quella cattolica che un papa dovrebbe incarnare – siano portatrici di violenza e sopraffazione, è vecchia come il cucco in relazione alla modernità illuminista, relativamente nuova nell’ambito della storia umana, che è una storia prevalentemente religiosa.

Negli ultimi tre secoli si è fatta largo l’idea ferrigna che spirito e materia siano in attrito, fede e ragione in contrasto. Che la religione sia la causa principale di ogni nequizie e abuso di potere. È un argomento specioso nato nel pieno di una lotta ideologica feroce: l’archetipo del cittadino soppianta quello del fedele. Lo Stato prende il posto di Dio, le cose del cielo vengono separate da quelle della terra.

Questa è la premessa necessaria, persino obbligatoria, che qualsiasi credente si trova ad affrontare in qualsivoglia contesto pubblico, che sia al bar, nel Senato degli Stati Uniti o seduto sul soglio di Pietro. Si tratta di una premessa dalla quale si possono tirare le conclusioni più disparate e contrastanti.

Altro esempio dello schema retorico caro a papa Francesco. Di recente, è tornato ad opporre “indietrismo” ad “avantismo”. La chiesa americana, almeno in alcune sue significative componenti, sarebbe indietrista. Il paradigma avanti-indietro è valido solo se presuppongo che “avanti” sia sempre bene, “indietro” sempre male.

È una divisione schiettamente manichea: ciò che salva l’uomo sarebbe una direzione. No hay otras interpretaciones, come scrisse il papa ai vescovi argentini che chiedevano conferma, alla luce di Amoris Laetitia, dell’opportunità di dare la comunione ai divorziati conviventi o risposati. Questo contraddice la dottrina e il magistero sviluppato in venti secoli e 265 papi? Non importa. Da qualche parte là avanti c’è un bene superiore.

Se in macchina a 200 km/h mi trovo davanti un muro, non ho alcun vantaggio ad andare “avanti”. Si intravvede uno schema di cieca ostinazione e ruggente superficialità sul punto, latitanza di spirito critico e ogni altro ben di Dio; tuttavia, il papa sembra sapere benissimo che questo non interessa a nessuno, tutt’al più ad uno sparuto manipolo di indietristi.

Il ragionamento, come sovente gli capita, non è sviluppato. Non indica un cammino, non dettaglia eventuali benefici oltre un orizzonte vago come la “pace”. Che beninteso è un’ottima cosa ma rischia di restare un bene-chimera, puro desiderio. Il papa conclude tutto nell’enunciazione del bisogno: l’anelito alla pace minacciato dal bigottismo integralista, abbandonato il quale è tutta discesa.

Dunque, un uomo oscurato dal settarismo potrebbe – se vogliamo restare nel solco del paralogismo – abbandonare di colpo le proprie convinzioni abbracciandone di opposte, avantiste, luminose e aperte. Come? Perché? In virtù di un esercizio di volontà titanica? Il papa non lo spiega.

C’è una seconda parte del discorso che si accompagna alla prima. Il papa in Mongolia non esita ad elogiare le tradizioni buddiste e usanze sciamaniche che, presumo diversamente dal cattolicesimo, “possono contribuire in modo significativo agli sforzi urgenti e non più rinviabili per proteggere e preservare il pianeta Terra”.

Il papa premette, ma la premessa non è solo debole, falsa o quanto meno opinabile. È anche irrealizzabile. Presto o tardi, verrà sottoposta al fuoco purificatore dei fatti, che in genere sono impietosi. Per quell’ora tutti gli errori ed orrori dettati dall’orgoglio saranno compiuti, e molti dei vecchi avvelenatori di pozzi già morti.

Per restare in tema di esternazioni pontificie non verificate, non si capisce per quale ragione un “coprofilo” – così già nel 2017, quando l’espressione si affacciò al mainstream, Francesco bollò coloro che “credono” alle fake-news – debba smettere di amare le deiezioni corporali, specie vedendo che si rivelano esatte in modo strabiliante.

Fake-news come quelle contrarie agli “atti d’amore” vaccinosi, la Russia che perde la guerra in Ucraina in pochi giorni, la transizione ecologica che costa 50 triliardi di dollari solo negli U.S.A. a carico dei contribuenti a fronte di chissà quali benefici, e rischia di travolgere l’intera economia occidentale.

Gettarsi a corpo morto in previsioni future “avanti”, per di più emergenziali, urgenti, non differibili, espone a magre figure: la previsione può non realizzarsi. Al contrario, guardare indietro può a volte aiutare ad individuare elementi certi per capire il presente, e in qualche modo prevedere il futuro, che in qualche caso cade “come corpo morto cade”.

Finché figure barbine – con elementi da trattato di psicopatologia criminale – le fanno esponenti politici, tecnici prestati alla politica o sedicenti esperti di scienza medica, passi. Ma se le fa il pontefice con affermazioni poco assennate, il discorso cambia.

Naturalmente il papa non corre rischi in tal senso. Sia perché la logica aristotelica e il principio di identità e non contraddizione non contano più un ciufolo, sia perché la preoccupazione dietro a queste intemerate non ha nulla a che vedere con il bersaglio dell’argomentazione, nel caso la pace e la salvezza del pianeta Terra.

L’uso fallace delle premesse, le strizzatine d’occhio alla vulgata anticattolica, l’abbraccio alle teorie liberal più strampalate – sul gender con qualche flebile distinguo, sull’ecologia ventre a terra – sono prese di posizione politiche. A giudicare dai fatti e parole, a volte, sembrerebbe che la politica per il papa sia importante quanto, se non di più, gli aspetti spirituali, religiosi o filosofici.

Penso che il papa sia convinto che esista un apparato ideologico-politico, quello liberal globalista, che ha preso il sopravvento su tutte le altre teorie e pensieri alternativi.

Una teoria politica definitiva, post-storica, che ha vinto tutte le battaglie e i conflitti che lacerano l’umanità da quando esiste, e ci vede in marcia felici e contenti nelle vicinanze di un Eden universale.

È come se il papa pensasse che sia indispensabile alla sopravvivenza stessa della Chiesa aderire a questa ideologia. Casomai in seguito sarà possibile dialogare con i suoi esponenti ritagliandosi uno spazio come credenti in questo o quello. Una grave ingenuità, che fa a pugni con l’astuzia unanimemente riconosciuta a Bergoglio.

Il che mi induce a pensare che papa Francesco creda con fermezza che molti elementi di questo pensiero siano fondati e necessari, in una parola: buoni. E nessuno dovrebbe sottrarsi alla bontà, per il suo bene.

L’umanità che unendo le forze salva sé stessa e la casa comune, e poi vediamo: ci occuperemo di Dio se e quando ce lo troveremo davanti. Nel caso, non potrà sottrarsi al perdonare tutto a tutti, come si conviene a quella che secondo noi è la Sua natura.

Se questa è la vera premessa sottostante le altre, allora posso comprendere tutte le conclusioni – giuste o sbagliate – che Bergoglio trae.

Papa Francesco è molto attento a sposare le tesi dei “grandi della terra” (lui stesso lo è, e forse si reputa tale) che coincidono con le tesi del mainstream occidentale.

Con qualche incursione ad est – la Mongolia rappresenta per la Cina ciò che Cartagine fu per Roma – qualche carezza a Russia e Cina, l’asse portante della narrazione bergogliana è apocalittico quanto quello liberal-globalista: l’uomo si ammala e muore, vacciniamoci tutti, il clima è impazzito a causa nostra, salviamo la casa comune, ci odiamo, fratelli tutti, crediamo in divinità differenti ma ci sbagliamo, Dio è uno, cambia solo il nome e via dicendo.

Fatte digerire alla plebe queste piccole magagne, se avanza tempo tramutiamo l’acqua in vino. Rigorosamente analcolico, come vorrebbe l’UE.

Dal bene che mi vuole lo Stato e i grandi del mondo mi mise in guardia Céline anni fa, che in Viaggio al termine della notte scrive: “Quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia… È il segnale… È infallibile. È con l’amore che comincia”.

Se come dice il papa “Dio è pazzo d’amore per l’uomo” anche quando l’uomo sbaglia, allora anche il pensiero aristotelico e le teorie politiche meno sostenibili possono allegramente finire in soffitta. Insieme al sillogismo polveroso: l’uomo sbaglia, il papa è un uomo, il papa sbaglia.

Avanti così, da qualche parte.

Mattia Spanò – Nato a Milano nel 1977, ha vissuto in Svizzera e Congo Belga. Ha collaborato a progetti editoriali, attualmente si occupa di marketing online, copywriting e business intelligence. Lettore accanito di Dostoevskij, Celìne, Mann, George Steiner e altri. Sposato con un figlio.