Turisti, Airbnb e grandi eventi, così le città diventano luoghi solo per chi può spendere (e molto)
di STRISCIA ROSSA (Andrea Aloi)
“Com’è bella la città/ Com’è grande la città/ Com’è viva la città/ Com’è allegra la città/ Piena di strade e di negozi/ E di vetrine piene di luce/ Con tanta gente che lavora/ Con tanta gente che produce/ Con le réclames sempre più grandi/ Coi magazzini le scale mobili/ Coi grattacieli sempre più alti/ E tante macchine sempre di più/ Sempre di più, sempre di più, sempre di più! “. Parole cantate di Giorgio Gaber, cinquantaquattro anni fa, i poeti hanno lo sguardo profondo e d’istinto non confondono sviluppo quantitativo e progresso, inteso come miglioramento delle reali condizioni di vita di più cittadini possibili. Mica tanto belle le città, ieri miraggio di vita nuova urbanizzata, vita più “facile” e ciao campagna, oggi metropoli seduttive che si vendono sui mercati globali per attrarre investimenti, rifarsi il trucco, ma con costi sociali alti pagati dai più deboli o dai meno dotati di pecunia, il che è lo stesso. Città meno vivibili, città più care. È senso comune, i cittadini attivi stanno all’erta, la politica tace, si lega al giorno per giorno, punta molto meno di quanto servirebbe l’orizzonte.
Città da ricchi
Milano è un buon esempio, a fianco delle città d’arte e dei must vacanzieri. Si è chiusa per il nostro Paese un’estate (non ancora climaticamente) nel segno dei record di affluenza turistica, milioni di “migranti” esterni e interni, costiera amalfitana congestionata e trasporti in tilt, tempeste di selfie, rifugi zeppi in Trentino, Cinque Terre visitabili a pagamento e bisogna aver fortuna, perché la domanda è tanta e l’offerta sembra non bastare e allora sotto con Airbnb e affini (Booking.com, Tripadvisor etc). Troppi affitti temporanei, italianamente sregolati, esosi, questione di crescente problematicità anche in città. Tanta domanda? Prezzi su. Si scrive qui da testimoni oculari: a Camogli, splendido borgo a una manciata di chilometri da Genova, pane ai cereali a 12 euro al kg, tortina di riso da 300 grammi a 12 euro, mini appartamenti a novecento-mille euro a settimana.
Buon pro per i proprietari, si dirà. Sicuramente sì, ma non per i residenti meno… fortunati e le giovani coppie. E nelle città universitarie sono tempi grami per gli studenti fuorisede, quelli che stanno protestando col movimento delle tende. Più Airbnb meno case affittabili a costi umani. E la risposta la danno i privati, con i campus sciccosi sempre più cari. Alcuni Comuni e il Miur varano iniziative di edilizia residenziale per studenti ma sono gocce nel mare. Intanto la gentrificazione va avanti che è un piacere, via gli abitanti dai quartieri popolari, espulsi in periferie ancora più lontane e sotto con i condomini centrali o semicentrali “di pregio” dai costi surreali al metro quadro.
Il trend ha negatività non monetizzabili e umanamente pesanti, con zone turistiche invase, spossessate di identità e sindaci protagonisti di suicidi assistiti, con piccoli borghi o angoli di bellezza unica travolti da una turisticizzazione (si chiama così) forsennata, costo della vita in salita, riminizzazione di ogni lungomare con moltiplicazione virale di ristoranti e bar: una omologazione terrificante, il centro di Firenze o Venezia che diventa un habitat alieno secondo linee standard di spremitura dei visitatori, Palermo uguale Ortisei, almeno nei posti caldi di struscio turistico e movida. Una sorta di pazzo rave della rendita immobiliare e di spaghetti alle vongole a 18 euro (pensare che in Romagna le vongole le chiamano “poverazze”, a denotare uno splendido cibo popolare che fu).
Per le città-metropoli focus su Milano, dall’Expo 2015 entrata in competizione serrata con altre metropoli per attrarre artisti di pregio, intermediatori finanziari, professionisti magari short time coi boschi verticali e le ristrutturazioni di interi quartieri, i grattacieli a rendere più suggestivo lo skyline di pianura. Capitali in arrivo, naturalmente anche arabi, un big game innescato dai grandi eventi: funziona così quasi ovunque, vedi Parigi con le Olimpiadi dell’anno prossimo. Milano “più bella” dentro la cerchia dei Navigli, quindi non per tutti. I soliti prezzi dispettosi in salita, le periferie in cronaca nera. E due alberi e due panchine per velare una realtà complessa: il filantrocapitalismo (filantropia + capitalismo) inganna. E la parolina magica “riqualificazione” fa il resto. Davvero a Inter e Milan non bastava San Siro?
Gentrificazione vs città di tutti
All’osso: la turisticizzazione e le mega opere gentrificanti rappresentano una estrazione della ricchezza a favore di pochi, senza corrispettiva diffusione di servizi, benessere e legami sociali. Un gioco a somma “meno” per la maggioranza, la città come un corpo con diversi organi malati. Il cemento è l’unico parametro per misurare lo sviluppo? A vedere dalle polemiche sulla pista di bob per le Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026 (rimettere in sesto quella esistente o costruirne una nuova, spesa multimilionaria per un breve evento singolo e tanto suolo e paesaggio schiaffeggiato per sempre) sembrerebbe di sì.
Molte idee che suggeriscono speranza e una strada diversa le indica Lucia Tozzi, studiosa di politiche urbane e giornalista free lance, nel suo intervento filmato “Perché le città sono diventate invivibili”, visibile in “Lucy. Sulla cultura”, progetto web multimediale tra scritti, podcast e video, di cui Nicola La Gioia, scrittore ed ex direttore del Salone del Libro di Torino, è direttore editoriale. Intanto positivi esempi di riallineamento tra bisogni veri – non favole o narrazioni di città future che forse a un futuro di marzapane non arriveranno mai per inquinamento e conflittualità sociali – e risposte adeguate ci sono. A Barcellona movimenti, associazioni e cittadini hanno fatto argine agli scempi mascherati da riqualificazioni e la città resiste allo snaturamento socio-culturale. Quanto afferma Tozzi è ben verificabile e l’abbiamo fatto, le stesse olimpiadi del ’92 hanno in parte arricchito la qualità della vita, la collina di Montjuïc e le strutture sportive olimpiche oggi sono utilizzate per eventi e spettacoli, il distretto di Poblenou, nel ’92 residenza degli atleti, ha visto un gran recupero di aree dismesse e una modernizzazione – spostamento della linea ferroviaria e abbattimento di vecchie strutture industriali – a misura d’uomo.
Cosa combinerà Parigi con i prossimi Giochi? Saprà farli fruttare a beneficio di tutti? L’attuale sindaca, la socialista (!) Anne Hidalgo ha da poco concesso a un lussuoso albergo di Montmartre di allargarsi a spese di un’area sede da mezzo secolo del Club Lepic Abbesses Pétanque: gente del quartiere che gioca a bocce, gente altamente incazzata. Brutto segno. A Berlino, che giubilo, non hanno dimenticato l’efficacia di due lettere magiche: “no” e la vasta area dell’ex aeroporto di Tempelhof (chiuso nel 2008) è rimasta tale e quale, ora è frequentatissima da amanti della bicicletta, dei rollerblade, degli skate, serve pure per fiere e conferenze. Un’area più grande di Central Park in mano ai cittadini.
Airbnb e affini
E la “piaga” Airbnb e confratelli? A Berlino il numero di notti in cui una casa può essere affittata è limitato, idem a Parigi e Londra, New York vuole affrontare il problema con misure forti. È una battaglia dura. Barcellona si sta dando da fare per regolamentare le piattaforme di affitti turistici e vieta – unica in Europa – l’affitto di camere singole, ma Inside Airbnb, associazione che controlla l’impatto di Airbnb sulle comunità, ha stimato che il 30% dei 15.655 immobili Airbnb registrati a Barcellona alla fine di giugno fossero illegali e le varie piattaforme giocano contro ogni regolamentazione (per saperne di più, leggere su Bloomberg “Airbnb hosts try to evade city regulations, from Copenhagen to Catalonia”). Da rifletterci. San Francisco o Seattle hanno messo limiti al numero di proprietà che un host può avere e sono posti che il welfare europeo non l’hanno visto manco in sogno.
Qui in Italia c’è stallo, si contrappongono da un lato albergatori e cittadini senza casa o molestati dalla trasformazione dei condomini in alberghi, dall’altro costruttori e proprietari di case. Siamo il paese delle gilde, dei balneari concessionari a vita per investitura imperiale, del superbonus sfruttato soprattutto per edifici non certo popolari: il più grande trasferimento di risorse pubbliche a favore degli abbienti nella storia della Repubblica e che giusto in questi giorni complica la vita di chi deve far quadrare il bilancio dello Stato.
Ci sono buone battaglie da combattere, sogni da cui svegliarsi. La gara tra metropoli è incompatibile con un minimo di redistribuzione e giustizia. Sì, è in atto una selezione in cui è ritenuto giusto che i deboli soccombano e lascino campo (spazio, vita, verde) a chi può. Serve un pensiero lungo, serve puntare sull’edilizia pubblica e sul governo di quella privata: un’offerta ampliata è l’arma migliore contro i ghetti. Chi si ricorda il bellissimo film di Franco Rosi “Le mani sulla città”? Era il 1963 e la speculazione dei piccoli e dei grandi non ha perso i denti.
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