Intelligenza Artificiale. Due o tre cose che sappiamo di lei (Parte 1^)
da ERETICAMENTE (Roberto Pecchioli)
L’Intelligenza Artificiale (I.A.) è entrata di prepotenza nelle nostre vite. A ritmo crescente – il nostro è il tempo della dromocrazia (P. Virilio) il potere della velocità – modifica ogni ambito dell’esistenza. L’uomo diventa antiquato, come paventava negli anni Cinquanta del secolo passato, agli albori della tecnica padrona, Gunther Anders. Con le acquisizioni tecnoscientifiche che chiamiamo Intelligenza Artificiale cambia l’uomo, in maniera così estesa da determinare un salto antropologico che la fa finita con l’homo sapiens, dominatore degli ultimi millenni, protagonista dell’antropocene, l’era caratterizzata dalla supremazia della specie umana sulla Terra.
L’I.A., frutto straordinario delle scoperte dell’intelligenza naturale degli esseri umani, sta modificando il nostro ruolo nel mondo a partire dal rapporto con la macchina e l’artificiale – con cui siamo destinati a ibridarci, dai chip cutanei alla distopia della mente alveare postumana – alle attività lavorative di natura specializzata, cognitiva, sempre più affidate a robot e apparati governati dall’I.A. La rivoluzione non risparmierà alcun campo dell’esistenza; il diritto sta già studiando l’istituzione della cosiddetta “persona elettronica”. Per questo abbiamo usato nel titolo il pronome personale “lei”, anziché il più corretto “essa”, riferito a una cosa.
Grandi cose ci possiamo attendere dall’Intelligenza Artificiale, ma anche pericoli estremi. Avanza infatti – insieme con una serie di applicazioni che possono aiutare la nostra vita – una modalità esistenziale che mette da parte l’umano, il naturale o biologico per privilegiare l’artificiale, con conseguenze non ancora immaginabili. Al di là di entusiasmi ingenui o demonizzazioni senza effetti pratici (le innovazioni tecnologiche diventano prassi per il solo fatto di essere state inventate e rese possibili) la minaccia per la creatura umana è reale. Innanzitutto per il fatto che l’I.A., come altre straordinarie possibilità tecnologiche entrate a far parte della quotidianità, è controllata, posseduta in regime di oligopolio da una cupola economica, tecnologica e finanziaria che non risponde ad altri che alla propria volontà di potenza.
La dimensione pubblica, statuale, territoriale, le leggi umane, quasi nulla possono dinanzi all’avanzata del leviatano tecnoscientifico proprietario di tutto, anche del conglomerato di conoscenze detto Intelligenza Artificiale. Ne sappiamo poco e ciò che filtra proviene dagli stessi che possiedono l’I.A. e hanno interesse a fornirne la descrizione più adatta ai loro obiettivi, il dominio ”biocratico” su di noi, antiquata umanità dalla limitata intelligenza naturale. Si allarga il fossato del deficit cognitivo tra l’umano e il tecnologico che Anders definiva dislivello, vergogna prometeica dell’uomo che si percepisce inadeguato di fronte all’apparato da lui creato e sul quale teme di perdere il controllo.
Occorre un modesto Bignami, un riassunto orientativo sull’Intelligenza Artificiale, a partire dalla definizione. L’I.A. è il ramo dell’informatica teso alla progettazione e programmazione di sistemi in grado di dotare le macchine di caratteristiche e abilità considerate umane, come percezioni visive, spazio-temporali e decisionali. Ovvero, non solo capacità di calcolo, conoscenza ed elaborazione, ma di riproduzione di tutte quelle differenti forme di intelligenza (o rappresentazione mentale) riconosciute dalla teoria di Howard Gardner. Lo psicologo americano identificò nove tipologie differenziate di “intelligenza”, ognuna deputata a differenti settori dell’attività umana: l’Intelligenza logico-matematica; linguistica; spaziale; musicale; cinestetica o procedurale; interpersonale; naturalistica; filosofico-esistenziale.
Già in questi termini è facile intuire l’infinito campo di applicazione dell’I.A. nella riproduzione di operazioni e comportamenti umani da parte di apparati adeguatamente impostati e informati. L’Intelligenza Artificiale nasce con l’avvento dei computer nel 1956. Significativamente, lo stesso anno di pubblicazione de L’uomo è antiquato di Anders. I primi elaboratori erano già in grado svolgere ragionamenti logici, in particolare legati alla matematica. Le aziende tecnologiche presero a sviluppare programmi e software in grado di pensare e agire come gli esseri umani in determinati campi e settori. Nacquero programmi capaci di dimostrare teoremi sempre più complessi e fu introdotto il Lisp, il primo linguaggio di programmazione, per oltre trent’anni alla base dell’I.A.
Per anni non fu chiaro se l’I.A. sarebbe stata in grado di riprodurre le capacità intuitive e di ragionamento degli esseri umani, ma le acquisizioni successive, in particolare nel campo della cibernetica, cambiarono lo scenario. La cibernetica è “il ramo della scienza che si prefigge lo studio e la realizzazione di dispositivi capaci di simulare le funzioni del cervello umano, autoregolandosi per mezzo di segnali di comando e di controllo in circuiti elettrici ed elettronici o in sistemi meccanici.” (www.google.it). Oggi l’apparato artificiale è dotato di un’“intelligenza” più rapida, veloce, priva di remore o vincoli rispetto a quella dei suoi inventori umani.
In alcune chiese protestanti, il sermone domenicale è stato affidato ad apparati di I.A. tipo ChatGPT. I fedeli non sono rimasti sconcertati – il che è significativo – ma hanno lamentato la mancanza di empatia, di coinvolgimento. Ovvio: la scatola magica non ha fede, può solamente ripetere, elaborandoli e dando loro linguaggio umano, i concetti appresi in forma di algoritmo matematico. In altri ambiti l’I.A. riesce a riprodurre perfettamente l’immagine umana, anche in movimento, e la voce. Gli entusiasti evidenziano la possibilità, per pazienti privati della parola, di tornare a parlare artificialmente, ma il furto di identità, la sostituzione di esseri umani reali con le loro immagini, ologrammi o avatar diventa realtà, tra immensi pericoli e ricadute legali.
Ecco il punto: gli apparati tecnici mirano alla sostituzione finale dell’umano. Ci correggiamo: per ora l’I.A. non mira a nulla: è, in sé, inerte. Chi ha obiettivi di sostituzione degli esseri umani è l’élite che la possiede e controlla. Di recente, alcuni scienziati si sono avvalsi dell’I.A. per individuare nuovi farmaci antibiotici. L’accelerazione informatica ha permesso all’apparecchio di valutare ben 6.680 composti, pervenendo in un’ora e mezza a un elenco ristretto dal quale ha estratto formule per nove potenziali antibiotici. L’impegno umano avrebbe richiesto anni. Un’ottima notizia, dunque? Sì e no. Il rischio evidente è conferire un potere immenso a chi detiene informazioni e tecnologie, la razza padrona del futuro prossimo, se non del presente. Inoltre, se l’I.A. può scoprire antibiotici, è ragionevole pensare che possa fare lo stesso con virus, batteri, armi letali. Di qui la necessità di un controllo pubblico, politico in senso alto, delle tecnologie e dei loro padroni.
Domani forse la cibernetica e altre scoperte renderanno possibile che la macchina si autoregoli, replichi sé stessa e addirittura prenda il sopravvento su chi fornisce informazioni. Fantascienza, paure superstiziose frutto di mentalità chiuse al nuovo? Forse, ma uno scienziato come l’astrofisico Stephen Hawking si disse sì affascinato per la straordinaria invenzione umana, la più grande della storia; temeva tuttavia che sarebbe stata l’ultima scoperta “umana”. Alle sue parole si possono dare due interpretazioni, una inquietante, l’altra devastante. E’ ormai lecito pensare che l’avvento dell’I.A. renda residuale l’intervento umano, sostituito in ogni operazione cognitiva: inquietante. Si può ipotizzare altresì che la macchina prenda il controllo su chi – scoprendo i segreti della natura – l’ha immaginata e realizzata. Devastante.
Si diffonde a macchia d’olio l’uso distorto dell’I.A. da parte di pirati informatici, colossi economici, organismi pubblici, servizi segreti, dinanzi ai quali siamo ogni giorno più indifesi. In basso, la dittatura della tecnica spinge all’eclissi del sapere. La cultura “serve” sempre meno, in un tempo dominato dall’utile e dalla strumentalità. Martin Heidegger, tra i primi a indagare l’influenza della tecnica sull’uomo, lo chiamava “pensiero non meditante”, indifferente al senso, all’etica, allo spirito, a principi diversi dal calcolo economico e dalla funzionalità.
L’unico obiettivo della macchina è funzionare. E lo farà benissimo sostituendo il suo creatore umano in migliaia di mestieri, professioni, incombenze. Avremo robot (apparati guidati dall’I.A.) chirurghi, ingegneri, avvocati, contabili, perfino dirigenti d’azienda, come già accade in Cina. La tigre della crescita – economica e tecnica – va allora cavalcata o temuta? Preoccupa molto e diventa angoscia l’atrofizzazione delle nostre capacità, la paralisi di funzioni, abilità e facoltà naturali dell’essere umano. La conclusione è sconfortante: “cresce la tecnica e decresce la cultura, così come cresce l’artificiale e sparisce il naturale, cresce il robot e declina l’uomo” (Marcello Veneziani). Una decrescita infelice travestita da felicità compulsiva, scimmia della “gaia scienza” di Nietzsche.
Si ingigantisce la forbice tra la tecnica e la conoscenza, espandendo l’artificiale sino all’incapacità di conoscerlo e quindi padroneggiarne gli effetti. Se l’uomo è obsoleto, va superato, sostituito: non vi è alternativa, secondo la logica vigente. Un altro punto sconvolgente è la perdita di autonomia umana. Infatuati dalla macchina, le trasferiamo ogni decisione: l’automatico, il meccanico, prevalgono su raziocinio, scelta, ponderazione in base a criteri “umani”. L’I.A. è potenzialmente feroce in quanto non ha criteri morali. E’ disinteressata a tutto ciò che non si può calcolare: dignità, libertà, etica, giustizia, spirito.
Proprio ciò che rende unico, straordinario l’essere umano, l’essere dall’istinto carente capace di pensiero astratto, valutazioni etiche, ansia di eterno, realizzazioni a lungo termine. La creatura che ha “inventato” la matematica, pensiero astratto da cui procede la tecnica e la stessa I.A., ma anche la filosofia, amore per la conoscenza, riflessione intorno all’uomo, alla sua presenza e ruolo nel mondo, la domanda che genera altre domande, all’infinito. Il pericolo vero, forse il più grande, va oltre la disumanizzazione: siamo alla sostituzione. Dell’uomo, della natura, della realtà, della storia, del pensiero, di quell’impalpabile concetto che chiamiamo anima.
Avverrà? Sta già avvenendo davanti ai nostri occhi, tra gli applausi delle vittime. Sindrome di Stoccolma spacciata per progresso. Ma quale progresso potrà esserci se non si salva l’uomo? Tutto ciò che è tecnicamente fattibile qualcuno lo farà; è la legge di Gabor, fisico magiaro premio Nobel. L’artefice ha prodotto un’invenzione più pericolosa – se non si perviene a strette regolazioni, controllabili e indipendenti – della “creatura“ di Frankenstein, che ancora aveva un’anima “umana”. Il potere che affidiamo all’I.A. conduce a esiti transumani e postumani, benché non tutte le applicazioni concrete lo siano.
La conseguenza è il transito dall’Intelligenza Artificiale all’uomo artificiale. La bioeticista Giulia Bovassi pone ulteriori domande: si potrà ancora parlare di libero arbitrio e di coscienza? Come e chi potrà (o vorrà) addestrare l’I.A. a valori giusti, “umani”, se manca un’etica condivisa? Sappiamo costruire una macchina in qualche modo cosciente – questo, alla fine, è il significato di intelligenza – ma lo facciamo a partire da una visione del mondo che nega ogni trascendenza, ignora la metafisica (“ciò che è oltre la dimensione puramente fisica, materiale”) e riduce la coscienza a una funzione organica spiegabile in termini chimici.
Superato dall’apparato, all’uomo non resta che ibridarsi con la macchina, ossia smettere di essere ciò che è, sino al traguardo finale dell’uomo artificiale. L’I.A., da strumento al servizio dell’umanità, rischia di diventare il grimaldello attraverso il quale un’oligarchia tecnoscientifica animata da un’illimitata volontà di potenza costringe l’uomo a un salto prometeico, transumano, l’approdo a una specie nuova. Natura non facit saltus, dice la biologia. Ma se la natura è sostituita dall’apparato? La sfida è aperta e merita, nella seconda parte, un approfondimento.
Intanto, sappia il lettore che il presente elaborato, con imprecisioni, errori, sfondoni, è frutto di un’intelligenza umana assai limitata e imperfettamente informata. Nessuna chat box, nessun “assistente individuale”: solo un asino naturale, non un intelligente artificiale. Forse per questo merita attenzione, al di là del giudizio di merito.
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