“Il dibattito libero è il pilastro centrale di una società libera”. È la frase che campeggia in apertura della pagina web westminsterdeclaration.org nella quale si può leggere il manifesto in difesa del free speech firmato da 163 tra accademici, artisti e giornalisti di diversa estrazione politica. Si tratta di un documento molto importante nato nell’ambito di un incontro tenutosi a Westminster nel giugno di quest’anno a cui hanno partecipato personalità accumunate dalla volontà di proteggere la libertà d’espressione, minacciata da più parti in questo complicato momento storico.
I promotori dell’iniziativa sottolineano le divergenze politiche e ideologiche di coloro che hanno aderito ma, allo stesso tempo, ritengono fondamentale unire le forze per contrapporsi alla censura che rappresenta una minaccia incombente per la vita democratica. Negli ultimi tempi, troppo spesso si è proceduto a censurare opinioni sgradite etichettandole come disinformazione.
Censura nell’era Covid
Da questo punto di vista, l’era Covid è stata paradigmatica dimostrando come si possono filtrare le informazioni secondo i voleri e gli interessi di chi è al potere.
Il Telegraph, che ha dato molta rilevanza alla Westminster Declaration, ha evidenziato il fatto che, nel Regno Unito, furono bollate come fake news le critiche rivolte alla strategia dei lockdown prolungati. Oggi, sappiamo che avevano ragione gli “aperturisti” e torto gli zelanti fact-checkers, rigidi guardiani del pensiero omologato e politicamente corretto. Il Telegraph ha giustamente parlato di abusi che hanno messo la mordacchia a opinioni più che legittime e, in certi casi, pure autorevoli.
Perciò, lo scopo dichiarato di questo manifesto è di porre un argine a questa deriva anti-democratica che porta a sopprimere il libero dibattito su questioni di rilevante interesse appiattendo la discussione sulle tesi care al mainstream.
La minaccia del DSA
Nel mirino è finita, naturalmente, anche la legge europea sui servizi digitali (l’orwelliano Digital Act Service), che “rimetterà il nostro diritto di parola alla discrezione di entità non elette e non tenute a rendere conto del proprio operato”. D’altronde, analoghe preoccupazioni le avevamo espresse anche su Atlantico Quotidiano in un recente intervento.
Senza dimenticare l’ultimatum recapitato dal commissario europeo Therry Breton a Elon Musk in quanto la piattaforma X (ex Twitter) avrebbe diffuso notizie fuorvianti sulla guerra in Medio Oriente. Il contenzioso che si è aperto rischia di costare caro a Musk perché, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere costretto a pagare una multa salata e, nella peggiore, a chiudere la piattaforma almeno nel territorio europeo.
Il caso “free speech” alla Corte Suprema
Intanto, il tema è tornato di stretta attualità anche negli Stati Uniti dove sarà la Corte Suprema a pronunciarsi sul caso promosso dal procuratore generale del Missouri, Eric Schmitt, che ha accusato l’amministrazione Biden di aver limitato, accordandosi con i gestori dei social network, il free speech sul Covid, silenziando scienziati accreditati che sostenevano tesi diverse da quelle governative.
La miglior difesa
Analizzando tutte queste situazioni, il nodo gordiano di tutta la vicenda è proprio quello che, magistralmente, evidenziano i sottoscrittori del manifesto: “Le misure a tutela della libertà di espressione non valgono solo per quelle che ci trovano in sintonia; bisogna strenuamente tutelare pure le opinioni con cui siamo in forte disaccordo”. Forse bisognerebbe consigliare ai burocrati europei di rileggere (o leggere) Voltaire ricalibrando queste misure liberticide e contrarie alla tradizione occidentale.
“La libertà di parola è la migliore difesa contro la disinformazione”, è la sintesi perfetta di questo manifesto che ha trovato poco spazio sui quotidiani italiani. Anche perché questo clima censorio rappresenta una zavorra per le nostre società che dovrebbero essere tolleranti e aperte, stronca il confronto tra le diverse opinioni e orienta la popolazione verso il manierismo ideologico.
La sterilizzazione del dibattito
Il rischio fondato è che le future generazioni “crescano in un mondo in cui si abbia il timore di esprimere la propria idea”. Così, si arriva addirittura all’auto-censura che rappresenta l’ultimo stadio di una società ormai ingessata che “semina sfiducia, incoraggia la radicalizzazione e delegittima il processo democratico”.
Da tutte queste premesse, con un espresso richiamo alla Costituzione degli Stati Uniti e alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, il manifesto per il free speech, si rivolge ai governi e alle organizzazioni internazionali con un triplice obiettivo:
- sostenere l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo;
- proteggere la piazza pubblica digitale e astenersi dalla censura politicamente motivata delle voci dissenzienti e delle opinioni politiche;
- costruire l’humus perché la libertà di parola parta dal basso, rifiutando il clima di intolleranza che incoraggia l’autocensura e provoca inutili conflitti personali, rifiutando la paura e il dogmatismo da sostituire con l’indagine e il dibattito.
In pratica, partendo dall’ultimo punto, il confronto pure aspro va sempre preferito alla sterilizzazione del dibattito. Se oggi è ancora possibile preservare i valori su cui si fonda la nostra tradizione liberal-democratica, allora è necessario aggrapparsi alla libertà di parola come ultimo baluardo per non rinunciare ai nostri principi. Prima che sia troppo tardi. Prima di essere definitivamente sottomessi alla dittatura degli algoritmi.
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