Tentativo ucraino di logorare la Russia: così “allarga” il fronte di guerra fino al Sudan
di INSIDE OVER (Paolo Mauri)
Il conflitto in Ucraina si approssima a terminare il suo secondo anno e alle porte si ripresenta un altro inverno che porta con sé una nuova e ampiamente prevista stasi delle operazioni belliche.
Al di là dei meri fattori climatici – la rasputitsa, il fango delle pianure ucraine, è arrivato puntuale a impantanare uomini e mezzi -, a onor del vero questo stallo è cominciato da diverse settimane, ovvero da quando è apparso evidente che né la controffensiva ucraina, né gli attacchi russi, hanno portato a un sostanziale cambiamento strategico.
Lo Stato maggiore di Kiev ha scelto deliberatamente di impiegare le sue forze, composte dal sostanzioso aiuto occidentale in termini di mezzi corazzati, con una filosofia “enemy oriented”, ovvero volta al logoramento progressivo del nemico, invece di agire secondo un impiego “terrain oriented”, cioè rivolto alla conquista del territorio ponendosi obiettivi fisici considerati strategici.
Il logoramento delle forze russe è evidente dal ricorso da parte dell’esercito di Mosca a mezzi e armamenti riesumati dai depositi di epoca sovietica (carri T-62, T-54/55 ma anche pezzi di artiglieria risalenti addirittura alla Seconda Guerra Mondiale), ma tutto questo ha avuto un caro prezzo per le forze di Kiev, che hanno perso numerosi mezzi (carri armati e veicoli corazzati di fabbricazione occidentale compresi) e gli ancora più preziosi uomini: da quello che sappiamo, l’età della coscrizione per il fronte si è notevolmente alzata arrivando a una media di 43 anni.
La Russia, potenzialmente, dispone di un bacino di personale molto più ampio e lo stesso vale per la disponibilità di mezzi militari, che se pur obsoleti possono risultare ancora utili in un fronte in cui gli avversari non dispongono di strumenti moderni in un numero tale da essere game changer. Il logoramento del potenziale bellico russo diventa quindi una questione fondamentale per Kiev, che non può contare di ribaltare le sorti del conflitto solo ed esclusivamente basandosi sulla forza del suo esercito, troppo a corto di mezzi moderni.
Un logoramento che esula i confini ucraini, o russi, e si estende là dove Mosca ha stabilito teste di ponte per portare avanti la sua agenda di politica estera volta al contrasto dell’attività occidentale e all’allargamento del suo bacino di influenza.
Sappiamo che nel continente africano le PMC (Private Military Company) russe sono attive da anni, e che tra di esse il Gruppo Wagner del fu Evgenij Prigozhin rappresenta ancora il braccio principale della Russia per gestire in modo disinvolto la sua agenda estera.
Il logoramento di Mosca passa anche per il logoramento della sua immagine all’estero, e quindi ogni attività in grado di ridimensionare la percezione che si ha della Russia in Africa – e in generale altrove – è funzionale alla diminuzione della sua capacità di accattivarsi simpatie così come alla diminuzione del suo potenziale bellico.
Quanto accaduto tra il 7 e l’8 novembre in Sudan, in una località non molto lontana dalla capitale, si può inquadrare proprio in questo senso.
Il quotidiano ucraino Kyiv Post ha diffuso immagini di uno scontro tra forze speciali ucraine e operatori del Gruppo Wagner a Omdurman, cittadina situata a nord di Khartoum. Il video è di una ripresa notturna, quindi non è possibile capire esattamente equipaggiamento e divise dei protagonisti dello scontro a fuoco, ma è stato georeferenziato nella cittadina sudanese.
Quanto visto potrebbe essere effettivamente un combattimento tra SoF (Special Operation Forces) ucraine e militari della Wagner, se consideriamo che nei mesi scorsi è emerso che proprio l’esercito regolare del Sudan – alle prese come sappiamo con una guerra civile – ha utilizzato droni di provenienza ucraina per colpire i ribelli in almeno 8 attacchi distinti. Oltretutto, sappiamo che, nonostante l’Ucraina non abbia rivendicato ufficialmente la responsabilità degli attacchi né una partecipazione di qualche tipo, il presidente Volodymyr Zelensky si è incontrato in Irlanda, a Shannon, con Abdel Fattah al-Burhan, capo del supremo consiglio sudanese, in una riunione non prevista tenutasi per “discutere le nostre sfide alla sicurezza in comune, vale a dire le attività di gruppi armati illegali finanziati dalla Russia”.
Kiev ha dimostrato, in questi mesi di guerra, di alternare rivendicazioni a smentite riguardo azioni condotte all’interno del territorio della Federazione russa, in un abile gioco che punta a mantenere la possibilità di negazione plausibile e nel contempo mettere pressione sul Cremlino sfruttando l’opinione pubblica internazionale. Non ci attendiamo quindi una rivendicazione nemmeno per quanto visto a Omdurman, ma riteniamo alta la possibilità che siano state effettivamente forze speciali ucraine ad attaccare miliziani del Gruppo Wagner.
L’apertura tra Zelensky e al-Burhan molto probabilmente ha portato in Sudan team di incursori che si sono occupati direttamente dell’utilizzo dei droni negli attacchi precedenti ai ribelli e che stanno operando per contrastare l’attività russa nel Paese.
Quest’attività causerà molto più di un grattacapo in quel di Mosca, arrivando in un momento in cui il Gruppo Wagner sta subendo una “normalizzazione” tramite la sottoscrizione obbligatoria di contratti con la Difesa per i suoi volontari, se pur considerando che, almeno nominalmente a detta dei massi vertici russi, i compiti che ha all’estero non sono stati né ridimensionati né cambiati.
Il contrasto armato ucraino alla PMC in Sudan dovrà essere preso in carico dalla Difesa russa, che sarà costretta in qualche modo ad aumentare la sua presenza in quel Paese e ampliare il raggio d’azione delle sue operazioni per cercare di porvi termine, pena il rischio di dover abbandonare il Sudan che, lo ricordiamo, è al centro degli interessi di Mosca da tempo.
La Russia, a novembre 2020, era riuscita a concordare con Khartoum una bozza di accordo per stabilire una base navale a Port Sudan, nel Mar Rosso. Il primo ministro Mikhail Mishustin era riuscito a strappare un primo accomodamento col governo al-Burhan che prevedeva l’utilizzo del porto da parte russa per 25 anni. Ma il Sudan ha avuto dei ripensamenti e il generale Mohamed Othman al-Hussein, allora capo di Stato maggiore, aveva affermato che il Paese avrebbe acconsentito a costruire la base navale, ufficialmente descritta come una “struttura di supporto tecnico-materiale”, solo se il Cremlino avesse fornito assistenza economica. Ancora più importante, la nuova negoziazione prevedeva che la marina russa potesse usufruire della base solo per cinque anni, con la possibilità di estendere il contratto di locazione fino a un totale di 25.
Nel frattempo c’è stato un altro colpo di Stato (2023) e l’arrivo degli Stati Uniti a mettere pressione su al-Burhan, che si è ritrovato a dover combattere contro le milizie ribelli sostenute dal Gruppo Wagner che era presente in Sudan dai tempi di Omar al-Bashir per addestrare le forze locali.
Ora, a meno di ulteriori cambi di regime – che non sarebbero così improbabili nel Paese e nella regione – Mosca si trova in svantaggio e pertanto si è creato l’humus adatto per poter contrastare le sue aspirazioni nel Paese, logorando sia la sua immagine sia il suo potenziale bellico.
Non è da escludere che, vista anche la sede dell’incontro al vertice Zelensky – al-Burhan, ci sia il sostegno attivo del Regno Unito per quanto riguarda la presenza di SoF ucraine in Sudan, del resto Londra ha avuto una presenza storica di epoca coloniale nel Paese.
L’esito di questa attività di forze speciali di Kiev potrebbe essere fondamentale per un possibile futuro allargamento di queste operazioni di contrasto alla presenza russa nel continente africano, anche se il quadro storico/politico del Sudan è piuttosto peculiare e ha offerto terreno fertile che potrebbe non esserci altrove.
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