Il limite come valore invalicabile
DA LA FIONDA (Di Umberto Vincenti)
La cultura occidentale, coniugando individualismo e universalismo, ha marginalizzato, talora disprezzato, la nozione di confine, la cui conseguenza è il limite: l’uomo e la donna dei diritti non gradiscono limiti o eccessivi limiti. ‘I diritti’ sono strumenti per soddisfare le aspirazioni dei singoli: chi sia titolare di un diritto, o si illuda di esserlo, è teso incessantemente a realizzare il proprio io e, sentendosi nel giusto, avverte meno o non avverte affatto il legame con gli altri. È come ‘slegato’. A frenare e a fermare l’inesauribile spinta individuale dovrebbe attendere il ‘diritto oggettivo’, a cui compete di difendere gli interessi della comunità generale contro le ribellioni o gli eccessi dei singoli, anche quando il singolo si ritenesse nel giusto e perciò autorizzato ad ‘andare oltre’. Questo ‘diritto oggettivo’ funge da limite o da confine, specie per quell’individuo che non li vuole accettare, magari ritenendosi unico o legittimato – a prescinderne – dalla fattualità spontanea che rende troppo gravosa, anzi iniqua, l’osservanza del dovere di rispetto.
L’individualismo, matrice dei diritti, mette costantemente sotto accusa il diritto; e quest’ultimo declina e si scioglie negli infiniti diritti. Ma con ciò è la comunità a battere in ritirata: ad imporsi è l’individuo, anche nelle sue bizzarrie, nei suoi egoismi, nel suo inesauribile desiderio di prevalenza. Il primato dell’uno (sulla comunità) e dei diritti (sul diritto) hanno prodotto radicali mutamenti di assetto sociale. Ma qualunque mutamento è causa di effetti anche negativi. La politica si è uniformata, credendo che fosse opportuno e necessario adeguarsi per misere strategie elettorali: coltivare, anzi coccolare, l’uno o gli uni delle tante minoranze e, inevitabilmente, collocando le masse in seconda, terza o quarta linea. Al partito operaio – della massa degli operai – è così succeduto il partito dei diritti (il PD, per esempio, nella mitologia di Elly Schlein). Ma alla deriva individualistica si sono affrettate le agenzie educative – dalle famiglie alle scuole – e la società in genere. E la retorica ha fatto il suo mestiere insieme alla demagogia. Chi dei vertici delle nostre università ha il coraggio di ricordare alla comunità dei docenti e degli studenti che lo scopo istituzionale è il miglior acculturamento possibile della gioventù italiana? Chi nella scuola in genere se la sente di ammonire che a quest’obiettivo si può giungere solo con l’impegno attraverso verifiche non fittizie del profitto degli allievi? È precisamente questo che, da quando è al governo, va proponendo il ministro Valditara? Sono di questo tenore i discorsi ufficiali dei Rettori italiani?
Certo che no, perché ciò implicherebbe tutelare l’interesse della comunità generale a costo, se necessario, delle aspirazioni, della presuntuosaggine, delle fantasie dei singoli. Diritto alla felicità, diritto al successo, diritto all’autodeterminazione ecc.: se l’individuo ne risulta potenziato, in certo senso ne risulta anche esaltato. A un individuo così sostenuto le regole – regula è, in latino, la linea diritta che non ammette deviazioni – facilmente possono apparire, almeno in certe situazioni, come un intollerabile ostacolo. Occorre proprio fare degli esempi? O basta guardarci intorno? Magari fare un giro in macchina per vedere l’effetto che il traffico fa a non pochi automobilisti? O, magari, guardare qualche talk show e considerare parole e posture adoperate dai dialoganti?
Stiamo smarrendo la consapevolezza che dei limiti abbiamo bisogno se vogliamo continuare a vivere pacificamente in comunità, se vogliamo progredire, se vogliamo coltivare la speranza di giustizia. Il rispetto dell’altro a noi vicino come degli altri a noi meno vicini non passa attraverso i nostri diritti, al contrario è consegnato ai nostri doveri, la cui grammatica istituzionale esiste, anche se poco presente fin nella Costituzione del ’48 che troppo indulge sui diritti e poco, troppo poco, sui doveri individuali. Se riusciremo a riappropriarci del valore del limite, saremo più facilmente rispettosi; e persone migliori perché padroni di noi stessi, delle nostre emozioni, delle nostre reazioni. E allora ho l’impressione che il GIP di Venezia, Benedetta Vitolo, ci abbia indicato (anche) una linea di ricerca evidenziando, nell’ordinanza di custodia cautelare, che Filippo Turetta «ha dimostrato una totale incapacità di autocontrollo»; e che Paolo Crepet sfiori il vero sostenendo che Turetta «è sicuramente uno dei tanti giovani incapaci di elaborare un semplice no perché pretendiamo di proteggerli da tutto».
https://www.lafionda.org/2023/11/23/il-limite-come-valore-invalicabile/
Commenti recenti