Il PNRR nella politica reazionaria dell’imperialismo
da LA CITTA’ FUTURA (Pasquale Vecchiarelli)
La liberalizzazione del mercato energetico è stata posta come condizione per accedere al PNRR , traducendo, soldi tolti alle tasche dei lavoratori per finire in quelle delle multinazionali.
La Schlein ha accusato la Meloni di imporre un’ulteriore tassa agli italiani aprendo il mercato dell’energia agli “squali” di questo settore, Salvini, dal canto suo, si dice contrario alla liberalizzazione e pronto a bloccarla, tantopiù che essa riguarda scelte politiche prese dai governi precedenti e in particolare dal governo Draghi. Ma è il “più repubblicano” dei parlamentari, lo sciocchino Calenda, che ci rivela qualcosa di interessante su tutta questa faccenda che diviene giorno dopo giorno sempre più penosa, visto il ridicolo teatrino dello scambio di accuse reciproche. Egli, infatti, è entrato nel dibattito sulle liberalizzazioni del mercato energetico a gamba tesa contro il Pd -mostrando peraltro che la sua opposizione al governo è pura finzione qualificandosi più come stampella che come pungolo- sottolineando, con i toni che gli sono propri, che i democratici, a suo tempo, hanno votato per la liberalizzazione del mercato energetico in quanto condizione necessaria affinché l’establishment di Bruxelles potesse concedere il via libera alla terza rata del PNRR. Secondo Calenda infatti, strenuo difensore del mercato, il problema non sarebbe la liberalizzazione in sé, la quale non può che portare benefici (!), ma piuttosto il modo con cui essa viene presentata e comunicata!
A questo punto merita una breve parentesi la spiegazione dell’epiteto “sciocchino” con cui abbiamo etichettato l’istrionico senatore “azionista”. Non che ci interessi molto la sua pseudo formazione politica ma prendiamo spunto dalle sue posizioni per riaffermare un concetto basilare del materialismo storico dialettico e cioè che le formazioni economiche-sociali hanno un loro sviluppo, declinato sia nella struttura che nella sovrastruttura, ed è proprio da questo sviluppo quantitativo e dalle contraddizioni che esso genera che si creano le condizioni per un nuovo modello sociale. E’ stato così per tutte le forme sociali precedenti a quella attuale, (servitù , schiavitù) basata sul lavoro salariato: lo sviluppo dell forze produttive giunte ad un determinato stadio impone trasofrmazioni anche sulle forme sociali e dunque politiche e le rivoluzioni suggellano tali passaggi storici. Come non è possibile ad esempio ritornare alle forme economiche di tipo feudale, allo stesso modo bisogna comprendere che anche ritornare alle fasi “originali” del capitalismo è impossibile ed è sciocco pensarlo, visto che quest’ultimo ha mostra tutti i segni della sua senilità essersi sviluppato nella forma attuale e concentrata di direzione economica e cioè lo sviluppo in senso monopolistico.
Dunque egli cade senza avvedersene e con un certa prosopopea, nella più pia delle illusioni borghesi e cioè quell’illusione di poter riavvolgere il nastro della storia e così, d’un sol colpo, ritornare a metà dell’Ottocento, al capitalismo delle origini, ad un idilliaco liberalismo colto e dal volto umano, un capitalismo progressista con tanto di afflato etico-culturale e “azionista” d’ispirazione mazziniana, illudendosi perfino di poter avere il consenso delle masse con un programma apertamente liberale, immaginandosi cioè novello condottiero dei diritti del cittadino in una epoca tardo feudale, insomma uno spostato che finge di non sapere che la repubblica borghese è già sorta e che il capitalismo ha già fatto il suo corso giungendo alla sua fase superiore cioè monopolistica e dunque reazionaria. Bel modo di ingannare le masse! Ma, recuperando un pò di serietà e tornando ai fatti meno divertenti dell’attualità, dicevamo che il redivivo Mazzini -quello che vuole resuscitare il morto (il capitalismo)- ha dichiarato alla stampa questo fatterello che nella sua portata, solo apparentemente limitata, disvela al contrario tutto l’impianto classista che sta alla base delle trattative sul PNRR.
Prima o poi la verità doveva venire a galla: non che si tratti di chissà quale grande scoperta, ma finalmente possiamo togliere il velo d’ipocrisia e vedere con chiarezza ciò che già sospettavamo e cioè che la reale natura di questo fantomatico nuovo piano Marshall, come è stato definito il PNRR, se qualcuno nutrisse ancora qualche dubbio, sta proprio nel rinnovato slancio reazionario dell’imperialismo tutto interessato a nuove acquisizioni e scambi di plusvalore tra le diverse frazioni che organicamente lo compongono- e il tutto a scapito dei subalterni.
Proviamo a spiegare. La liberalizzazione del mercato produrrà nuovi grossi profitti -di tipo monopolistico, questo è evidente, basti osservare che i principali “competitor” sul mercato energetico italiano, che poi sono trust composti di capitali di diversa provenienza geografica, hanno sostanzialmente prezzi da cartello– ma naturalmente tali profitti saranno il risultato di ulteriori drenaggi di risorse operati sulle spalle delle classi subalterne che vedranno un generale rialzo delle bollette: infatti, checché ne dica il nostro, tutte le liberalizzazioni sono andate sempre e solo a vantaggio dei colossi che ne dominano il relativo mercato.
Tanto è vero questo che, tornando all’oggi, è già partito il reciproco, e diremmo ridicolo, scambio di accuse su chi dovrà essere additato quale responsabile di quest’ulteriore sacrificio, mostrando come loro stessi siano ben consapevoli che le suddette liberalizzazioni altro non sono che ulteriori e ghiotti occasioni di profitto sulle spalle dei lavoratori e mostrando anche quanto sia farsesca tutta la tiritera sulla famosa “mano invisibile del mercato” spacciata quale comandamento imprescindibile e humus vitale per le sorti progressive dell’umanità, salvo poi scoprire che la suddetta mano finisce sempre per infilarsi nelle tasche dei proletari.
Dunque un regalo ai colossi o per meglio dire ai monopoli dell’energia in cambio di fondi, quelli del PNRR, che il governo sta distribuendo ai capitali nostrani che come lupi li stanno sbranando sottraendoli allo Stato che evidentemente, sottoposto a pressioni lobbistiche di ogni forma, tale è la fame di profitto, non riesce ad esercitare il benché minimo controllo di gestione e di direzione dei fondi europei che saranno, nel vero senso della parola, fondi “perduti” nel senso che si perderanno nelle tasche di poche famiglie imprenditoriali. Non ci stupiremo se alla fine di questa grande sbornia del PNRR ciò che rimarrà sul terreno sarà un ulteriore impoverimento delle fasce più deboli, un’ulteriore devastazione ambientale, un coacervo di opere senza né capo né coda ma al contempo avremo formato nuovi trust e cartelli d’imprese pronti ad aggredire il mercato.
La fase suprema del capitalismo è anche questa. Quando si parla di politiche reazionarie dell’imperialismo non bisogna necessariamente forzare il pensiero ad immaginare chissà quale grande guerra che, proprio a causa dello sviluppo ineguale e della già completata spartizione del mondo, è un fatto del tutto possibile nell’attuale modo di produzione, ma basta anche osservare ciò che ci circonda, le politiche che uno stato imperialista come il nostro fa al proprio interno. L’imperialismo infatti non è una questione esclusivamente politica o, ancor più strettamente, di “politica estera” come pure non è una questione esclusivamente economica, da cui ne potrebbero discendere concezioni di natura meccanicistica nella direzione dell’ultra imperialismo, ma una sintesi tra questi due momenti ovvero tra la fase economica, contraddistinta dalla più grande concentrazione del capitale, e le relative sue politiche. I monopoli garantiscono infatti grandi profitti proprio perché sono in grado di imporre agli Stati politiche a loro favorevoli, di esportare capitali, di sottomettere piccoli capitali e sfruttarli a loro piacimento tramite modelli sempre più raffinati di comando come quello toyotista. Per questa ragione tutti i capitali non possono che partire alla conquista del capitale finanziario, aspirano cioè a crescere a far parte di trust sempre più grandi. Ma l’entrata nei grandi gruppi è un avvenimento contraddittorio che prevede conflitti che si dipanano sulla base dei reciproci rapporti di forza.
A tal proposito, per citare l’esempio di una recente grossa fusione finanziaria, sarebbe stato molto istruttivo essere stati presenti alle riunioni che hanno portato alla nascita di Stellantis, gruppo monopolistico dell’automobile, per capire come si sono combattuti i capitali prima di fondersi – anche se non è difficile immaginare come mai a spuntarla siano stati i francesi che ne hanno preso il controllo.
Concentrazione, centralizzazione, dimensione, controllo dello Stato, fusione bancarie industriali, possibilità di esportare capitali, tutte caratteristiche imprescindibili per addivenire alla fase monopolistica. Solo i capitali nazionali avviati già sulla strada del monopolio e che hanno la forza per contendersi il controllo dello Stato (nelle varie strutture di cui esso si compone oltre all’apparato coercitivo parlamentare) potendo esercitare l’egemonia sulle classi subalterne – godendo cioè della possibilità di dominare con il consenso dei dominati e proprio per questo portar avanti le più bieche politiche reazionarie – acquistano il rango di candidati alla corsa sul capitale finanziario di ordine superiore che travalica cioè i confini del mercato nazionale. La conquista dello Stato significa cioè strappare il biglietto per poter competere oltre confine, contando su un vasto bacino di forza lavoro egemonizzata pronta anche al sacrificio militare. Allo stesso tempo, questi capitali, mentre conquistano o cercano di conquistare spazi sempre più ampi in monopoli sempre più concentrati e dal respiro transazionale, esercitano le proprie politiche reazionarie e il proprio dominio non solo sui Paesi esteri eletti a meta delle proprie scorribande ma anche al proprio interno, divenendo cioè di fatto anti-nazionali. Così si realizza il paradosso che proprio i partiti più audaci difensori della patria molto spesso finiscono per tradirla.
Il ruolo dello Stato nella fase imperialistica è dunque determinante e per nulla superato, si può dire che esso è la base su cui si svolge la lotta di classe e dove i capitali poggiano le proprie gambe. Mentre le unioni e i trust internazionali comprese le sovrastrutture politiche (vedi l’Unione Europea) hanno sempre un andamento che rispecchia lo sviluppo ineguale dell’economia e i rispettivi diversi rapporti di forza che proprio in quanto mutevoli possono determinare rotture improvvise e mutamenti che nel migliore dei casi si risolvono con nuovi accordi nell’impossibilità dei quali si affaccia la politica di guerra, lo Stato permane la base solida sulla quale si svolge la principale battaglia per il potere.
Di questo aspetto sembra esserne ben consapevole uno dei principali rappresentanti del capitale finanziario ed ex presidente del consiglio Mario Draghi . Recentemente ha dichiarato che l’Unione Europea è a rischio, nonostante tutta la propaganda post bellica sulla presunta ritrovata unanimità, ritenendo un’utopia la parola d’ordine degli Stati Uniti D’Europa. Non ha però riferito come mai ci siano questi rischi salvo fare un inquietante dichiarazione riguardo la presunta fine del modello di sviluppo adottato negli ultimi anni…Quale modello? Le classi subalterne hanno conosciuto solo il modello dell’austerità e il famoso “bazooka” ha salvato semmai le banche ma non certamente l’economia dei più poveri che hanno continuato ad impoverirsi.
FONTE: https://www.lacittafutura.it/interni/il-pnrr-nella-politica-reazionaria-dell%e2%80%99imperialismo
Commenti recenti