L’accordo portuale dell’Etiopia col Somaliland è un colpo da maestro diplomatico
di GEOPOLITIKA.RU (Andrew Korybko)
Il primo ministro etiope Ahmed Abiy e il presidente del Somaliland Muse Bihe Abdi hanno appena firmato un memorandum d’intesa che garantirà all’Etiopia l’accesso ai porti del Somaliland, compresa una base navale, in cambio del riconoscimento formale e di una partecipazione nell’Ethiopian Airways.
In breve, l’anno scorso il premier Abiy ha rilanciato la politica marittima del suo Paese nel tentativo di scongiurare preventivamente gli imminenti problemi interni associati allo status di paese senza sbocco sul mare, ovvero i limiti alla crescita economica e le conseguenze sulla sicurezza politica alla luce della rapida espansione della popolazione. Finora, l’accesso dell’Etiopia all’economia globale era monopolizzato da Gibuti, che imponeva onerose tasse portuali. Negli ultimi anni, questi oneri sono diventati ancora più gravosi a causa di diversi sviluppi drammatici.
La pandemia ha aggravato i problemi di debito preesistenti, ulteriormente aggravati dal conflitto del Nord, durato due anni, dal 2020 al 2022. Nel frattempo, una grave siccità ha aggiunto ulteriore pressione sul bilancio, complicando così le sfide finanziarie. C’è anche la questione della militarizzazione del Mar Rosso che minaccia la logistica marittima (in particolare fertilizzanti e carburante) da cui dipende la stabilità economica dell’Etiopia e tutto ciò che ne consegue, che non può essere difesa senza una marina.
Questa confluenza di fattori, insieme alla rapida espansione demografica del Paese, ha spinto il premier Abiy a dare priorità a una soluzione pragmatica, con l’obiettivo di evitare preventivamente i problemi interni già citati, che se non affrontati potrebbero facilmente trasformarsi in un circolo vizioso di instabilità regionale. Ha quindi proposto di affittare un porto commerciale-militare in cambio di partecipazioni nelle società nazionali etiopi, ma gli Stati costieri, universalmente riconosciuti, non erano interessati a tale accordo.
Il dilemma della sicurezza regionale, che è stato descritto qui per quanto riguarda la dimensione etiope-eritrea e qui per quanto riguarda quella più ampia tra gli Stati dell’entroterra e quelli costieri, ha influenzato il giudizio dei loro decisori facendo loro percepire questa proposta come una sorta di minaccia imminente. Anche i sostenitori filogovernativi della comunità eritrea online hanno intrapreso una campagna di guerra informativa che continua tuttora a far temere che l’Etiopia stia complottando per annettere gli Stati confinanti.
La prima risposta è rimasta nell’ambito di una politica responsabile, per quanto molti in Etiopia considerino deplorevole la decisione di quei Paesi di rifiutare l’accordo, mentre la seconda ha esacerbato il dilemma della sicurezza regionale e ha fatto temere una guerra imminente. Inoltre, non si può escludere che questa campagna di guerra informativa sia stata in qualche modo orchestrata dall’intelligence eritrea, il cui Paese ritiene che il contenimento dell’Etiopia serva i suoi interessi.
In ogni caso, lo scopo della condivisione di questo approfondimento è quello di illustrare quanto sia diventata difficile la ricerca pacifica dell’Etiopia di un proprio porto marittimo entro la fine dell’anno, il che dovrebbe a sua volta aiutare il lettore ad apprezzare il colpo di genio con cui il Paese e il Somaliland hanno firmato il protocollo d’intesa lunedì scorso. Questa soluzione creativa risolve il dilemma del porto etiope e previene tutti i problemi associati descritti in precedenza, anche se non significa che non comporti dei rischi.
La Somalia è furiosa per quella che considera un’ingerenza nei suoi affari interni, a causa dello status finora universalmente riconosciuto del Somaliland tra gli Stati membri dell’ONU come parte integrante di quel Paese fratturato, nonostante Mogadiscio non abbia avuto alcuna influenza tangibile su di esso per più di tre decenni. Si prevede inoltre che l’intelligence eritrea intensifichi la sua campagna speculativa di guerra d’informazione per alimentare le fiamme della guerra come parte della politica di divide et impera del Paese e per screditare l’Etiopia come “Stato canaglia”.
Probabilmente cercherà anche di espandere i suoi legami militari con la Somalia insieme all’Egitto, quest’ultimo in lotta con l’Etiopia da anni con falsi pretesti sulla Grande Diga del Rinascimento Etiope, come parte del suo complotto egemonico per sabotare l’ascesa pacifica del Paese come leader africano. Questi rischi politici e di sicurezza erano prevedibili, ma il premier Abiy sembra aver calcolato che sono comunque gestibili e ne vale la pena per il bene superiore che è stato spiegato, anche se la Somalia si lamenterà con le Nazioni Unite.
Diventare il primo Stato membro delle Nazioni Unite a riconoscere l’indipendenza autodichiarata del Somaliland non è un’impresa da poco, soprattutto perché l’Etiopia ospita la sede dell’UA ed è storicamente la culla dei movimenti panafricani e antimperialisti del continente. La mossa del premier Abiy avrà quindi un grande impatto sugli affari africani e potrebbe anche ispirare altri paesi come gli Emirati Arabi Uniti, che hanno investito molto nel porto di Berbera del Somaliland e hanno ottimi rapporti con l’Etiopia, a seguire con il proprio riconoscimento.
Il lettore dovrebbe anche ricordare che l’Etiopia è entrata a far parte dei BRICS lo stesso giorno in cui ha firmato il MoU con il Somaliland, il che riduce le probabilità che i colleghi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Russia e Cina, siano d’accordo con qualsiasi risoluzione che condanni l’Etiopia (ed eventualmente gli Emirati Arabi Uniti) per il riconoscimento del Somaliland. Potrebbero non riconoscere formalmente il Somaliland, soprattutto la Cina a causa della questione di Taiwan, ma ciò non significa che appoggerebbero qualsiasi sanzione o minaccia di forza contro l’Etiopia (ed eventualmente gli EAU) per averlo fatto.
Oggettivamente, il Somaliland è molto più indipendente di quanto non lo fossero le due Repubbliche del Donbass alla vigilia del loro riconoscimento come Stati indipendenti da parte della Russia, e in più la regione separatista somala controlla più territorio di quanto non facciano le sue controparti ucraine. Sebbene i legami russo-somali siano fiorenti, Mosca non pratica una politica a somma zero, quindi non condannerà i suoi partner etiopi di 125 anni su richiesta di Mogadiscio, né tanto meno minerà inavvertitamente la propria posizione nei confronti del Donbass.
Se anche gli Emirati Arabi Uniti riconoscessero l’indipendenza del Somaliland, la Russia non condannerebbe nemmeno questo Paese, né a livello bilaterale né tanto meno in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Presidente Mohammed bin Zayed Al Nahyan è stato l’ospite d’onore del Presidente Putin al Forum economico internazionale di San Pietroburgo dello scorso giugno e gli EAU sono ora il primo partner commerciale arabo della Russia. Gli stretti legami della Russia con l’Etiopia e gli Emirati Arabi Uniti, così come quelli del suo leader con questi ultimi, potrebbero persino convincerlo a seguire il loro esempio con il tempo.
Qualunque cosa accada, è prevedibile che la Russia chieda una risoluzione pacifica delle dispute della Somalia con il Somaliland, l’Etiopia e forse presto anche con gli Emirati Arabi Uniti, se riconoscerà anche l’indipendenza di questo Stato separato, in linea con la sua neutralità di principio nei confronti delle controversie estere. Lo stesso vale per il potenziale peggioramento dei legami dell’Egitto e dell’Eritrea con l’Etiopia (e forse presto anche con gli Emirati Arabi Uniti) in solidarietà con la Somalia, in virtù degli interessi complementari di questi due Paesi nel contenere l’Etiopia.
L’equilibrio regionale del potere militare, diplomatico ed economico è tale da rendere improbabile una guerra più ampia per il Somaliland, che il premier Abiy avrebbe valutato anche prima di firmare lo storico MoU con il presidente Abdi. Le tensioni potrebbero aumentare per un breve momento quando la Somalia si arrabbierà per questa mossa, mentre l’Egitto e l’Eritrea cercheranno di sfruttarla per i loro scopi di divisione e di dominio, ma è improbabile che la Somalia muova guerra contro l’Etiopia (e forse anche contro gli Emirati Arabi Uniti), né che lo facciano l’Egitto e/o l’Eritrea.
Lo scenario migliore, per quanto possa apparire improbabile al momento, è che questo memorandum d’intesa porti alla fine gli altri vicini dell’Etiopia a riconsiderare la loro decisione di rifiutare la proposta pragmatica del premier Abiy di affittare un porto commerciale-militare in cambio di partecipazioni nelle società nazionali etiopi. In questo modo si svilupperebbero ancora di più i corridoi di connettività regionale e si attirerebbero a loro volta maggiori investimenti stranieri, potenziando così l’ascesa del Corno d’Africa in questo momento cruciale della transizione sistemica globale verso il multipolarismo.
Anche se i decisori di questi Paesi preferiscono che i loro cittadini non traggano profitto dalla bonanza BRICS dell’Etiopia, ciò non rende questo memorandum d’intesa un colpo di genio diplomatico. In un colpo solo, l’Etiopia concederà al Somaliland il riconoscimento che merita da tanto tempo, risolverà pacificamente il dilemma del porto con tutto ciò che ne consegue per scongiurare preventivamente gli imminenti problemi interni alla regione derivanti dal suo status di paese senza sbocco sul mare e dimostrerà che gli interessi reciproci possono essere portati avanti attraverso la reciprocità.
Pubblicato in partnership su One World – Korybko Substack
Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini
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