I numeri, quindi, e la pratica politica che i numeri impongono, ridimensionano gli slogan sia del fronte vincitore (libertà, sconfitta del comunismo e così via) sia della Cina, che ha accompagnato la marcia di William Lai con epiteti vari («piantagrane indipendentista» il più delicato) e con le abituali parole d’ordine sulla riunificazione di Taiwan alla Cina continentale. Nella realtà, poco dovrebbe cambiare rispetto a quanto abbiamo visto finora. Certo, Xi Jinping non rinuncerà alle sue pressioni: gli analisti già prevedono un’altra tornata di esercitazioni militari in primavera, quando a Taipei sarà celebrato l’insediamento di Lai. I funzionari di Pechino, poi, non mancheranno di far balenare qualche calibrata lusinga, soprattutto commerciale, ai leader degli altri partiti taiwanesi, quelli che possono decidere, in Parlamento, dell’approvazione o della modifica di qualunque legge.
Lai, Taiwan ha scelto lo status quo
da FULVIO SCAGLIONE (www.fulvioscaglione.com)
A dispetto della retorica, in parte giustificata, del duello tra «autocrazia» e «democrazia», è difficile capire chi abbia davvero vinto a Taiwan, il primo appuntamento elettorale di peso di un 2024 che, in decine di Paesi, manderà alle urne metà della popolazione mondiale. Il Partito progressista democratico (Dpp) è riuscito a far eleggere alla presidenza Lai Ching-te, noto come William Lai, fino a ieri vice-presidente. E questa è la parte positiva per la formazione politica che si batte per l’indipendenza dell’isola, un allontanamento dalla Cina e un maggiore avvicinamento all’Occidente, e che con questa elezione ha ottenuto la terza presidenza consecutiva. Lai, un medico con studi a Harvard che è stato anche primo ministro (2017-2019), ha vinto in modo netto sui candidati del Kuomintang (distacco del 6,7%) e del Partito popolare di Taiwan (Tpp, meno 13,5%) e su questo non v’è alcun dubbio. In una prospettiva più ampia, però, le cose si fanno più complicate. Lai ha ottenuto il 40,1% dei voti, per il candidato del Dpp la percentuale più bassa dal 2000: Tsai Ing-wen, che lo ha preceduto ed era stata la prima donna a salire alla presidenza, era stata eletta con ben più del 50%. Non solo: in Parlamento il Dpp non è il primo partito, superato 52 a 51 dal Kuomintang nel Parlamento monocamerale con 113 seggi. Ovvio che le leggi più impegnative, per esempio quelle sull’incremento della difesa militare dell’isola, siano costrette alle forche caudine di estenuanti trattative e compromessi con gli altri partiti.
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