Schiaffo dell’Onu a Netanyahu: si alla risoluzione sul cessate il fuoco. Usa astenuti.
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Andrea Muratore)
L’astensione statunitense sblocca la prima risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a favore di un cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan a Gaza. L’autorità suprema dell’Onu ha infatti votato con una maggioranza di 14-0 una mozione che chiede l’interruzione immediata dei combattimenti tra Israele e Hamas e della campagna di bombardamenti di Tel Aviv contro la Striscia.
La risoluzione è stata la terza portata al voto dopo che gli Usa da un lato e Cina e Russia dall’altro hanno bloccato col loro veto due mozioni precedenti. A portarla in aula sono stati i dieci Paesi membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, eletti per mandati biennali: Algeria, Guyana, Ecuador, Giappone, Malta, Mozambico, Sierra Leone, Slovenia, Corea del Sud, Svizzera. Un gruppo eterogeneo di Paesi, comprese quattro nazioni a tutti gli effetti del campo occidentale: Corea del Sud, Giappone, Svizzera e Slovenia, Paese quest’ultimo membro dell’Unione Europea e della Nato. Il Mozambico è stato il primo proponente. Decisiva, come detto, la scelta americana dell’astensione, nel giorno in cui arriva ai massimi la tensione tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu.
La risoluzione, inoltre, tiene assieme alla proposta di cessate il fuoco l’apertura ai valichi bloccati dal conflitto per gli aiuti umanitari, nel giorno in cui l‘Unrwa viene bloccata dall’accesso al Nord di Gaza, e l’apertura alla richiesta di rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas. La posizione dei Paesi membri non permanenti, mediata dal Mozambico, assomiglia nel trittico cessate il fuoco-rilascio degli ostaggi-aiuti umanitari a quella proposta in passato da leader come Papa Francesco, il premier spagnolo Pedro Sanchez e il presidente brasiliano Lula.
Il voto giunge nel giorno in cui Netanyahu ha minacciato di bloccare l’invio di una delegazione negli Usa qualora Washington non avesse messo il veto e anche dall’ex presidente e sfidante di Biden alle presidenziali Donald Trump, pur col sostegno all’alleato conservatore israeliano, è giunto un secondo appello a terminare la guerra. “L’astensione degli Stati Uniti segna una spaccatura con il governo Netanyahu, riflettendo la crescente frustrazione di Washington per la provocatoria insistenza del primo ministro che le forze israeliane andranno avanti con l’attacco di Rafah, e per il continuo ostacolo israeliano alle consegne di aiuti umanitari”, nota il Guardian. “Sebbene la risoluzione richieda un cessate il fuoco temporaneo durante il resto del mese sacro musulmano del Ramadan, aggiunge che ciò dovrebbe portare a un cessate il fuoco duraturo e sostenibile”, aggiunge la testata britannica. La Russia ha provato a sostituire, con un emendamento, la parola “duraturo” con “permanente” ma la proposta è stata bocciata.
A caldo, Netanyahu, secondo quanto riferiscono fonti mediatiche di Tel Aviv, ha cancellato il viaggio della sua delegazione israeliana prevista in arrivo nei prossimi giorni a Washington. Occhi puntati sull’incontro tra il ministro della Difesa Yoam Gallant e il “triumvirato” di consiglieri di Biden, in programma a Washington. Gallant, feroce critico dell’apatia bellica di Netanyahu, vedrà Jake Sullivan, Consigliere per la Sicurezza Nazionale; Tony Blinken, Segretario di Stato; Lloyd Austin, Segretario alla Difesa. Un’occasione per avere un confronto lato militare su una guerra di cui Israele non ha mai chiarito le dinamiche militari e gli obiettivi reali dopo quasi sei mesi dai massacri di Hamas del 7 ottobre e che ha causato la strage di 32mila persone, in larga parte civili, a Gaza.
La risoluzione non è un passaggio risolutivo, ma sicuramente un punto di caduta importante: mostra la forza di una diplomazia multilaterale che resta attiva; manda un messaggio a Netanyahu sulle linee rosse del sostegno occidentale a Israele, sostanziato nel rifiuto dell’offensiva su Rafah; mostra l’esistenza di un consenso crescente alla fine del disastroso conflitto a Gaza. Tutti temi dalla grande valenza politica. Parafrasando le parole di Winston Churchill dopo la battaglia di El Alamein, questa risoluzione non è certamente l’inizio della fine della guerra. Ma potrebbe essere la fine dell’inizio. Ovvero della fase in cui Israele ha proseguito la sua brutale campagna militare a Gaza sganciandola dalla risposta alle stragi di Hamas e non seguendo gli appelli della comunità internazionale. Ora messi nero su bianco in un impegno scritto che ha valore diplomatico tutt’altro che nullo.
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