Contratti trasformativi: una lettera aperta alla CRUI
di ROAR (Redazione)
Dal 2020 in Italia si sottoscrivono i cosiddetti contratti trasformativi, cioè contratti in cui transitoriamente le istituzioni sostengono la trasformazione delle riviste scientifiche da ibride ad accesso aperto, pagando sia per leggere che per pubblicare. Un report fatto molto di recente dal JISC (che contratta gli accordi trasformativi per il Regno Unito) ha mostrato, dati alla mano, che questa costosissima trasformazione è ben lungi dall’avvenire. 70 anni il tempo stimato perché gli editori possano trasformarsi. Il JISC ha ritenuto fondamentale fare una analisi delle politiche di finanziamento implementate soprattutto in relazione ai risultati attesi e ai fondi impegnati e alla sostenibilità nel lungo (anzi lunghissimo) periodo.
La Associazione italiana per la scienza aperta (AISA) si è posta gli stessi quesiti del JISC e li ha posti a CRUI CARE che gestisce la contrattazione per conto delle istituzioni italiane. La risposta a queste domande, urgente e ineludibile, può aiutare le istituzioni a capire se la direzione presa con i contratti trasformativi sia l’unica possibile, se sia effettivamente sostenibile e fino a quando, o se invece non si debbano cercare già da ora strade alternative o complementari. Ma servono i dati.
Riportiamo qui sotto il testo della lettera aperta a CRUI CARE
La CRUI, associazione privata dei rettori italiani, offre alle università un servizio non gratuito, noto come CRUI-CARE, per la negoziazione di contratti consortili con gli editori scientifici commerciali.
Dal 2020 CRUI-CARE ha cominciato a stipulare una serie di contratti in virtù dei quali gli editori sono pagati non solo per leggere, cioè per far accedere a banche dati ad accesso chiuso, ma anche per scrivere, cioè per pubblicare ad accesso aperto. Questi contratti sono detti trasformativi perché sono stati pensati non per istituzionalizzare la pratica, deprecata, del cosiddetto double dipping, bensì come mezzi di transizione per incoraggiare gli editori a trasformare le loro riviste in riviste interamente ad accesso aperto.
Secondo quanto registrato in ESAC, i contratti trasformativi con controparte italiana sono 17, di cui 13 sotto la responsabilità di CRUI-CARE. Sebbene sia difficile evincerlo dal suo sito, non aggiornato nel momento in cui scriviamo, alcuni contratti sono in corso di rinnovo (Wiley, ACS) o scadono alla fine del 2024 (Emerald, IEEE, RSC, Springer e Kluwer).
Come mai, di spese così imponenti in termini di impegno del denaro amministrato da pubbliche istituzioni, esito di un “processo negoziale” che “si svolge alla luce del rispetto della normativa fissata in tema di contratti pubblici”, non esiste un rendiconto pubblico? Per dare un’idea delle cifre in gioco, l’ultimo contratto con Wiley ammonta a più di 36 milioni di euro, quello in corso con Springer a più di 45 milioni di euro, e quello rinegoziato lo scorso anno con Elsevier a più di 167 milioni di euro.
La Reference Guide to Transformative Agreements suggerisce che le istituzioni, prima di negoziare contratti trasformativi, raccolgano dati sia sulle pubblicazioni dei loro autori, sia sulle spese sostenute per pagare APC a editori che li richiedono come prezzo dell’accesso aperto. In base a quali informazioni CRUI-CARE ha concluso i suoi 13 contratti trasformativi? CRUI-CARE ha raccolto qualche dato in autonomia, o si è limitata a prestar fede a quelli forniti degli editori?
In Italia, la mancanza – o la segretezza – di questo ipotetico studio preliminare rende impossibile misurare l’efficacia degli interventi e la sostenibilità della spesa. Dopo 4 anni di accordi trasformativi non sappiamo come si siano articolati i costi nelle università pubbliche italiane e quali vantaggi o svantaggi abbiano prodotto. In particolare non sappiamo (i) quanto abbiamo pagato in questi quattro anni per i contratti trasformativi; (ii) quanto pagheremo nei prossimi anni; (iii) come i contratti trasformativi si distribuiscono fra le istituzioni italiane; (iv) quante di esse hanno aderito a ciascun contratto, se ne hanno tratto vantaggio e nel caso in che misura; (v) quanta letteratura scientifica prodotta in Italia rimane accessibile solo ad abbonamento; (vi) quanto la ricerca italiana ha contribuito all’open access a livello globale con articoli pubblicati in open access a pagamento.
Non abbiamo, in altri termini, dati la cui analisi permetta alle istituzioni di impostare linee di condotta non estemporanee per gli anni futuri, e a studenti e contribuenti di comprendere come e perché il loro denaro viene speso. Continueremo a firmarli, anche se chi – come Coalition S – registra, studia e pubblica i dati sta abbandonando l’idea di pagare per scrivere per orientarsi verso il Diamond Open Access?
Alcuni sostengono che i contratti trasformativi italiani siano giustificati perché in grado di indurre gli editori commerciali a passare all’accesso aperto. Senza i dati di cui sopra, non è però possibile valutare se lo fanno effettivamente, o se invece, come concluso in paesi come la Svezia, meritano di essere superati.1
I resoconti e le presentazioni britanniche, olandesi e tedesche sembrano suggerire che i contratti trasformativi non solo hanno imposto un sovraccarico di lavoro amministrativo, ma hanno prodotto fallimenti annunciati e conseguenze indesiderate.
Era prevedibile che solo una percentuale bassissima di riviste sarebbe passata all’accesso aperto, come documentato da Coalition S: perché un editore commerciale, con un vincolo contrattuale temporaneo, e in grado di spuntare prezzi altissimi sia per leggere sia per scrivere grazie a una valutazione bibliometrica della ricerca in Italia imposta anche amministrativamente, dovrebbe aver interesse a passare all’accesso aperto? Fra le conseguenze indesiderate si annovera, invece, una ulteriore concentrazione dell’editoria e delle relative piattaforme, una netta diminuzione del numero di articoli depositati negli archivi aperti e un aumento, proprio nelle riviste cosiddette trasformative, degli articoli ad accesso chiuso.2
Sui contratti trasformativi del Regno Unito, Jisc ha composto una revisione critica approfondita e anzi doverosa per un paese che vi ha speso in questi anni 137 milioni di sterline, pubblicando 39.163 articoli.3 I revisori britannici hanno lavorato su questioni riproponibili anche per l’Italia.
- Quale percentuale della letteratura accademica è ad accesso aperto?
- Quale impatto hanno avuto gli accordi trasformativi negoziati a livello consortile sull’accesso aperto delle pubblicazioni scientifiche a livello nazionale?
- Che effetto hanno avuto gli accordi trasformativi sui costi per le istituzioni di ricerca?
- In che misura gli accordi trasformativi hanno facilitato la conformità con i requisiti degli enti finanziatori?
- In che misura gli accordi trasformativi hanno consentito una maggiore trasparenza dei processi di accesso aperto degli editori scientifici?
Il rapporto britannico, sebbene molti dati di cui ha fatto uso siano soggetti a clausole di segretezza, riferisce che la spesa per i contratti trasformativi rappresenta più di un terzo dell’esborso delle biblioteche del Regno Unito per materiale librario. Riconosce, inoltre, che, a dispetto del dispendio di denaro pubblico, lo scopo di indurre le riviste scientifiche commerciali degli editori più grandi a passare all’accesso aperto pieno si realizzerà, a questo passo, fra 72 anni,4 quando saremo tutti morti. Ci si è chiesti, inoltre, se render pubblici a carico del contribuente articoli su riviste amministrativamente prestigiose indurrà mai i ricercatori a comprendere che la pubblicità a cui l’accesso aperto mirerebbe è quella della scienza e non quella del prestigio.
Disporre di informazioni pubbliche, nazionali e internazionali, sull’ammontare della spesa e su quanto se ne è ricavato è fondamentale per capire si ci siamo approssimati ai risultati attesi, ammesso e non concesso che risultati si attendessero. A ridosso dell’eventuale riapertura dei negoziati per il rinnovo di contratti ormai trasformativi solo in un senso ironico, sarebbe cruciale discutere della loro efficacia anche nel medio e nel lungo termine, e sui possibili modelli alternativi. E sarebbe anche utile sapere se, ai sensi dell’articolo 45 comma 2 del nuovo codice dei contratti pubblici, i negoziatori CRUI-CARE ricevono, a titolo di incentivo, una percentuale dell’importo complessivo, o se la CRUI ha un regolamento specifico in merito, essendo fatta salva “la facoltà delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti di prevedere una modalità diversa di retribuzione delle funzioni tecniche svolte dai propri dipendenti”.
Non basta raccontare che gli articoli ad accesso aperto, così generosamente finanziati con denaro altrui, sono, non sorprendentemente, aumentati di numero. Sarebbe importante avere anche le informazioni di contesto ricavabili dalla risposte alle cinque domande dei revisori Jisc.
E non sarebbe difficile ottenerle, se CRUI-CARE rendesse disponibili alle istituzioni e ai cittadini i dati necessari a decidere con cognizione di causa, a sviluppare politiche sulla scienza non estemporanee e a permettere al ministero dell’università e della ricerca di rispondere alle richieste dell’Unione Europea, popolandone i rapporti sulla scienza aperta che al momento, per quanto concerne l’Italia, rimangono desolatamente vuoti.
Chiediamo dunque a CRUI CARE di render pubblici tutti i dati sui contratti trasformativi di cui dispone. Se, per la causa dell’accesso aperto, sono stati un cosi brillante successo dovrebbe essere anche nel suo interesse.
- Il gruppo di lavoro svedese suggerisce di: (a) concludere accordi con editori che pubblicano solo riviste ad accesso aperto; (2) offrire una piattaforma nazionale di pubblicazione indipendente; (3) aiutare le testate di proprietà dei ricercatori ad abbandonare gli editori commerciali; (4) continuare a lavorare per adeguare il copyright legato all’accesso aperto.
- Si veda Jisc, A review of transitional agreements in the UK, 2024, p. 47.
- Secondo i dati raccolti da SCONUL nel 2021/22 le spese totali per il sistema bibliotecario britannico ammontano a £ 374.273.000.
- Jisc, A review of transitional agreements in the UK 2024, p. 47.
FONTE: https://www.roars.it/contratti-trasformativi-una-lettera-aperta-alla-crui/
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