Il problema della tecnica compreso entro lo sfondo della filosofia moderna
DA GAZZETTA FILOSOFICA (Di Giovanni Lunardelli)
Cosa significa comprendere filosoficamente il fenomeno della tecnica? Qual è lo sfondo entro cui questo si definisce? La tecnica può essere adeguatamente compresa solo se considerata alla luce della filosofia moderna, e dunque dell’emancipazione della soggettività e della sua contrapposizione all’oggetto. Questo “schema” teoretico puro è la struttura portante della modernità, e come tale si riflette in ogni specifico fenomeno dell’epoca, tra cui anche la scienza stessa. La tecnica non è altro che la compiuta concretizzazione di questo rapporto teoretico.
Comprendere filosoficamente il fenomeno della tecnica significa non limitarsi alla sua esterna manifestazione, ma indagarne il nucleo essenziale e seguirne le lunghe e intricate radici fino a giungere al terreno da cui queste prendono nutrimento. Capire filosoficamente il fenomeno della tecnica, cioè, non significa studiare accuratamente ogni suo singolo aspetto, al fine di ricostruirne una immagine il più dettagliata possibile; piuttosto, l’obiettivo è quello di circoscriverne il contorno, e a tal fine è necessario porre l’attenzione allo sfondo senza il quale quel contorno nemmeno sarebbe pensabile. In questo senso, seguendo in parte il discorso di Heidegger, si prova qui a pensare la tecnica entro lo sfondo della moderna filosofia della soggettività.
Per pensare la tecnica entro lo sfondo della modernità occorre anzitutto cogliere il senso di quest’ultima. Ora, come scrive Hegel, in ogni epoca:
« Esiste un solo spirito che si manifesta in figure diverse, in momenti diversi; esiste un solo principio che s’esprime nella situazione politica e nella religione, nella scienza, nell’arte e così via. Costituzione politica, religione, moralità, vita sociale, commercio, arte, industria sono tutti rami diversi dell’unico tronco principale » (G.W.F. Hegel, Introduzione alle Lezioni sulla storia della filosofia).
Ciascuna epoca, infatti, come un tutto organico, contiene in ogni sua manifestazione il medesimo “battito”: tutto si organizza secondo un unico criterio, poiché vi è un solo cuore ad animare l’intero “corpo”. Tra tutti i rami di quel medesimo tronco, però, la filosofia sembra avere un ruolo speciale: «essa è il fiore più splendido della figura assunta dallo spirito, infatti essa consiste nell’aver coscienza, nel pensare, nel sapere che lo spirito esiste e che cosa esso è» (ivi). Per questo motivo, «la filosofia è del tutto identica con lo spirito del suo tempo», essa «ne è la coscienza» (ivi). La filosofia riesce a configurarsi come l’autocoscienza di un’epoca perché, in virtù della sua purezza concettuale, essa agisce come una sorta di “setaccio” che “filtra” le contingenze pervenendo al nocciolo fondamentale, “scandaglia” cioè l’epoca riuscendo a rintracciare il suo unico battito. In questo senso, per comprendere l’epoca moderna occorre anzitutto riferirsi alla filosofia moderna.
Ebbene, la filosofia moderna è, se dovessimo riassumerla in un solo pensiero, la filosofia che inaugura il sorgere della soggettività in senso stretto e, in diretta conseguenza a ciò, il sorgere della separazione di soggetto e oggetto. Stando alla lettura di Heidegger, con Cartesio l’Io comincia a configurarsi come centro assoluto del sapere, fondamentum inconcussum, mentre la “realtà” si avvia, in particolare con l’idealismo tedesco, verso la sua riduzione a “oggetto” (Gegen-stand, ciò che “sta di fronte”) ed infine a “rappresentazione” (Vor-stellen, ciò che è “posto di fronte”) del soggetto. Con le parole di Heidegger:
« L’oggetto (Gegenstand) nel senso di ob-ietto si dà solo quando l’uomo diventa soggetto, quando il soggetto diventa io e l’io diventa ego cogito […]. Solo qui si svela l’essenza dell’oggetto nella sua oggettità » (M. Heidegger, Oltrepassamento della metafisica, in Saggi e discorsi).
La realtà, nella modernità si riconverte a ciò che è tale sempre e solo per un soggetto, in relazione ad esso. Al contrario, l’Io si impone nella sua assoluta autonomia come l’unica entità indubitabile, e dunque il pensiero si eleva a verità assolutamente certa. Tra soggetto e oggetto è l’Io a configurarsi come il lato “attivo” e “formatore”, mentre la realtà diviene una sorta di sostrato e di materia passiva che riceve dal soggetto la messa in forma. L’Io diviene, in quest’ottica, colui che pone (rappresenta, rende oggetto) la realtà pensandola, mentre la realtà è sempre un che di posto dal soggetto. Entro tale orizzonte, quella che Heidegger chiama la “metafisica della soggettività” o anche “onto-teo-ego-logia” si compie definitivamente quando l’Io perviene alla propria assoluta affermazione entro l’oggetto, quando il suo porre l’oggetto si eleva a piena auto-posizione di sé nell’oggetto. In questa sua tensione all’auto-posizione di sé, l’Io si eleva a pura “volontà”, a “volontà di volontà”, e il reale perde ogni resistenza e consistenza autonoma nei confronti della ferma ed assoluta presa del soggetto. Ora, se la filosofia è davvero in grado di riflettere con chiarezza l’anima dell’epoca, si può dunque affermare che la modernità come epoca si regge sul principio dell’affermazione ed emancipazione della soggettività e della riduzione della realtà ad oggetto per il soggetto.
Lo “spirito” di un’epoca, si è detto, corrisponde al suo “scheletro” o “struttura” portante, ed in tal senso si riflette in ogni suo aspetto; la sovrastruttura, infatti, si “allinea” spontaneamente alla sua struttura. Lo spirito della modernità, dunque, riflettendosi ovunque, coinvolge così anche il sapere scientifico, il quale si riposiziona entro le nuove coordinate dell’epoca. Così come sul piano teoretico il rapporto di soggetto e oggetto si sbilancia a favore del soggetto, il quale giunge a porre attivamente l’oggetto, così lo scienziato moderno non si accontenta più di “contemplare” la natura, in un atteggiamento meramente osservativo, bensì si rivolge ad essa con tono inquisitorio. Kant, in riferimento agli scienziati rivoluzionari di inizio modernità, scrive che «essi compresero che la ragione […] deve essa entrare e costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini» (I. Kant, Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura). La ragione dello scienziato moderno, dunque, si presenta alla natura «per venire, bensì, istruita da lei, ma non in qualità di scolare che stia a sentire tutto ciò che piaccia al maestro, sibbene di giudice, che costringa i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge» (ivi). In questo atteggiamento attivo, lo scienziato moderno adopera con novità l’artificio dell’esperimento, pensabile come una sorta di “trabocchetto” con cui egli cerca di porre la natura contro sé stessa, cioè di “ingannarla” e indurla alla confessione dei suoi segreti più intimi. Inoltre, lo scienziato moderno si relaziona alla natura sempre alla ricerca delle conferme o delle smentite delle sue proprie ipotesi, va cioè alla ricerca della corroborazione o della confutazione della propria teoria: la natura è dunque sempre pensata in riferimento alla teoria-rappresentazione del soggetto-scienziato. Di più, la scienza moderna non si rapporta alla natura con mera curiosità teoretica, con puro disinteresse, ma sempre con intenti strumentali. L’obiettivo del nuovo uomo di scienza è sempre, anche se talvolta inconsapevole, quello di conoscere per dominare, e mai soltanto di conoscere per conoscere. Per tutti questi motivi, la scienza moderna non è affatto un fenomeno autonomo rispetto alla tecnica, ma è bensì già in sé stessa inclinata verso la tecnica, il cui scopo è il dominio materiale della natura. Pensare quest’ultima come una conseguenza non predetta della scienza significa considerarla astrattamente e in modo inadeguato: il dominio teorico della natura si compie nel suo dominio materiale. La tecnica è dunque la destinazione naturale della scienza moderna in quanto è l’esplicitazione di ciò che in essa è ancora presente implicitamente. Per il suo intimo legame con la tecnica, per cui la scienza moderna è, nel suo nucleo, studio della natura allo scopo di dominarla, scienza e tecnica sono allora da comprendere come un unico fenomeno: la tecno-scienza.
Ebbene, siccome la scienza moderna non è altro che una concreta manifestazione del pensiero filosofico/teoretico della scissione di soggetto e oggetto e della centralità del soggetto (lo spirito dell’epoca moderna), e siccome la tecnica non è un fenomeno a sé stante, ma è implicitamente presente nella stessa scienza moderna come suo fine immanente, è evidente che la tecnica può venir compresa adeguatamente solo se considerata in essenziale rapporto con la novità della filosofia moderna e col suo apice come “volontà di volontà”. Come scrive Heidegger: «La forma fondamentale di manifestazione sotto la quale la volontà di volontà si installa e si realizza calcolando nel mondo della metafisica compiuta si può chiamare in una sola parola “la tecnica”» (M. Heidegger, Oltrepassamento della metafisica). Essa non è altro che la manifestazione massimamente “concreta” della riduzione teoretica dell’oggetto a rappresentazione del soggetto. Lo sfondo entro cui il contorno del fenomeno della tecnica viene alla luce è allora la moderna metafisica della soggettività. Essa ha infatti come suo intimo scopo l’effettivo dominio dell’oggetto da parte dell’Io, della natura da parte dello scienziato, del mondo da parte dell’apparato tecnico. Con la tecnica «l’uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra» (M. Heidegger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi), veste dapprima indossata solo su di un piano teoretico e filosofico.
A tal riguardo, occorre chiederci con Heidegger: che ne è della filosofia nell’epoca della tecnica? Nel mondo tecnico sembra non esserci più posto per la filosofia, e tuttavia, sotto un certo punto di vista, questo non accade perché il sistema tecno-scientifico condanni la filosofia ad un lontano esilio, ma poiché il mondo tecnico è, in sé stesso, il massimo compimento della filosofia. Con la tecnica l’uomo, il soggetto, l’Io, concretizza la sua assolutezza prima solamente pensata su di un piano filosofico/teoretico. L’Io diventa, con la tecnoscienza, autentico signore del mondo e della natura. Quello stesso Io che filosoficamente giungeva a porre l’oggetto come suo rappresentato perviene, con la tecnica, all’autentico dominio della natura. La posizione dell’oggetto da parte del soggetto è compiuta su di un piano effettivo.
Potremmo tuttavia domandarci se l’uomo, nell’odierna e avanzata società tecnica, non stia cadendo preda di un paradossale rovesciamento, ovvero se egli, proprio grazie alla tecnica, non stia paradossalmente rovesciando la sua essenza da soggetto a oggetto, se cioè la tecnica non si stia silenziosamente emancipando dal suo stesso creatore e, lungi dal servirlo come un suo strumento, non stia finendo per assoggettarlo e signoreggiarlo. Ancor di più, non si può non mettere in evidenza che la signoria sul mondo naturale da parte dell’uomo rischia di rivelarsi un “regno” assai breve, in quanto “sfinisce” la natura imponendole un dominio assoluto al quale essa non può che finire per ribellarsi. Come scrive ancora una volta Heidegger:
« Solo la volontà, che si organizza, con la tecnica, in ogni direzione, fa violenza alla terra e la trascina nell’esaustione, nell’usura e nelle trasformazioni dell’artificiale. Essa obbliga la terra ad andare oltre il cerchio della possibilità che questa ha naturalmente sviluppato, verso ciò che non è più il suo possibile, e quindi è l’impossibile. » (M. Heidegger, Oltrepassamento della metafisica).
15 maggio 2024
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