Firenze, il generale Mario Mori indagato per le stragi del ’93: “Sapeva e non le impedì”
da L’INDIPENDENTE ONLINE (Stefano Baudino)
L’ex generale del ROS Mario Mori – divenuto anche capo dei servizi segreti nel 2001 su nomina berlusconiana -, è indagato dalla Procura di Firenze nell’inchiesta sulle stragi del 1993. A renderlo noto è stato lo stesso generale, reduce dal celebre processo sulla “Trattativa Stato-Mafia” conclusosi, dopo una pesantissima condanna in primo grado, con un’assoluzione definitiva dal reato di “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”. Ora sono tornati i guai giudiziari: Mori è sotto inchiesta per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico nell’inchiesta sui mandanti degli attentati che, nel 1993, insanguinarono il nord e il centro Italia, provocando la morte di 10 persone. Secondo i magistrati, Mori non avrebbe impedito “mediante doverose segnalazioni o denunce, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative o preventive, gli eventi stragisti di Firenze, Roma e Milano di cui aveva avuto plurime anticipazioni”. Con una clamorosa invasione di campo, i rappresentanti del governo hanno difeso a spada tratta Mori, cui hanno espresso massima solidarietà. Alfredo Mantovano, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, lo ha addirittura ricevuto a Palazzo Chigi.
L’inchiesta
Mori, recentemente assolto in Cassazione al processo “Trattativa Stato-mafia” (sebbene la “trattativa” tra il ROS e Cosa Nostra, inaugurata dopo la strage di Capaci per il tramite dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, sia stata pienamente confermata dalle sentenze) il 16 maggio ha ricevuto dalla Procura di Firenze un invito formale per essere interrogato in qualità di indagato. Secondo le ricostruzioni dei pm fiorentini, l’allora generale del ROS dei carabinieri avrebbe ottenuto informazioni da due importanti fonti in merito agli attentati che la mafia – e chi presumibilmente la supportò dall’esterno – aveva in programma di compiere. Nello specifico, la Procura afferma che Mori, in prima battuta, sarebbe “stato informato già nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta del proposito di Cosa Nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale italiano, in particolare alla Torre di Pisa”. Successivamente, in occasione “di un colloquio investigativo a Carinola il 25 giugno 1993”, ad avvertire Mori sarebbe stato Angelo Siino, il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra, il quale “gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”. Siino avrebbe infatti riferito a Mori di avere saputo da molteplici fonti che la mafia aveva intenzione di consumare azioni eclatanti nel nord Italia per favorire l’emersione di nuove entità politiche collegate a Bettino Craxi. Secondo i pm, raggiunto da queste notizie, il generale non avrebbe mosso un dito. Occorre ricordare che, al momento, si tratta solo di accuse.
Bellini e Siino
La figura di Bellini, punto di tramite tra ambienti dei servizi, carabinieri, eversione di destra e mafia, è centrale. Recentemente, Bellini è stato condannato dalla Corte d’Assise di Bologna tra gli esecutori della strage alla stazione di Bologna del 1980. Membro di Avanguardia Nazionale fin dagli anni Settanta, poi inserito in un network criminale nero che connetteva varie sigle, Bellini – come ha recentemente ricordato la Corte – è stato coperto dai servizi segreti, nello specifico dal SID, nell’ambito di una relazione “stretta e anche reiterata nel tempo”. Le strade di Bellini e Mori si incontrarono indirettamente nel ’92, quando il maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta – amico e uomo di Mori -, inviò Bellini, come infiltrato, dai membri di Cosa Nostra con l’obiettivo di recuperare alcune opere d’arte rubate dalla pinacoteca di Modena. Bellini si interfacciò direttamente con il boss Nino Gioè, uomo “cerniera” tra mafia e servizi, con cui aveva stretto rapporti nel carcere di Sciacca nel 1981. Gioè propose a Bellini uno “scambio”, fornendogli un biglietto contenente i nomi di cinque importanti mafiosi allora detenuti e chiedendo per loro “arresti domiciliari o ospedalieri” per la buona riuscita della trattativa. Il documento arrivò sul tavolo del colonnello Mori, che parlò subito di richieste improponibili ma, senza sequestrarlo né informare l’Autorità Giudiziaria, trattenne il biglietto e lo distrusse. Negli ultimi mesi, le Procure di Caltanissetta e Firenze, che si stanno occupando dei presunti mandanti esterni delle stragi degli anni Novanta, hanno sentito Bellini. La magistratura ha già accertato la presenza dell’ex terrorista nero ad Enna nei mesi del 1991: nello stesso luogo, la Cupola organizzò una serie di importanti riunioni in cui deliberò la strategia stragista che si sarebbe consumata negli anni a venire con gli attentati del 1992 e le stragi “nel continente” del 1993. Lo stesso Bellini ha riferito in Aula che alla fine dell’estate del ’92 Gioè gli rivolse una domanda peculiare: «Cosa ne pensereste se una mattina vi svegliate e non trovate più la Torre di Pisa?’». Anche Siino non è uno qualunque, essendo stato uomo di fiducia di Totò Riina, per il quale gestiva il sistema degli appalti in Sicilia, e personaggio legato alla massoneria. Le sue strade si incontrarono con quelle dei ROS negli anni Novanta, quando Siino sostenne colloqui investigativi con Mori e il suo braccio destro Giuseppe De Donno. Quando poi, nel 1997, Siino si interfacciò con i magistrati di Palermo in merito alle sue interlocuzioni con i ROS, i rapporti tra la Procura guidata da Gian Carlo Caselli e i carabinieri erano estremamente incrinati, in particolare in seguito all’episodio della mancata perquisizione e sorveglianza del covo di Riina dopo il suo arresto del 15 gennaio e a quello della mancata cattura di Provenzano nel 1995 da parte dei vertici dei Carabinieri. Questi eventi portarono a processo Mori e i suoi uomini, in entrambi i casi assolti “perché il fatto non costituisce reato”.
Lo scudo del governo
A suscitare meraviglia è la reazione alla notizia degli uomini del governo e della maggioranza di centro-destra. Su X, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha scritto: «È stata aperta una nuova indagine contro il generale Mario Mori per le stragi mafiose del 1993. Del 1993!! Stragi mafiose!! Non ci si poteva accontentare di avergli reso la vita un calvario per decenni; non si poteva accettare il fatto che fosse stato assolto da ogni contestazione….». Secondo il vicepresidente della Camera dei Deputati, Giorgio Mulè, quella intrapresa dalla procura di Firenze «equivale a un orribile necrologio in vita verso un leale servitore dello Stato». Il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, ha sollecitato il ministro Nordio a inviare ispettori a Firenze, «la stessa Procura che perseguita Berlusconi e Dell’Utri con teorie che non voglio nemmeno definire». Ma c’è di più. Si è infatti appreso che la sera del 20 maggio il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha ricevuto Mario Mori a Palazzo Chigi. «Gli ho manifestato per un verso vicinanza di fronte alle contestazioni che gli vengono rivolte, delle quali mi ha messo a parte; per altro verso sconcerto, nonostante che decenni di giudizi abbiano già dimostrato l’assoluta infondatezza di certe accuse», ha dichiarato Mantovano. Rimane un dato oggettivo: un Sottosegretario di Stato, tra gli uomini più fidati della premier Meloni, ha accolto in pompa magna nella sede del governo italiano un indagato per concorso in strage con aggravante della finalità mafiosa e terroristica.
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