Mobilitazioni per Gaza: a che punto è la libertà di manifestazione nei campus americani?
da ROARS (Alessia Lo Porto)
Da metà aprile, decine di Campus americani sono occupati dagli studenti in nome della difesa delle popolazioni civili di Gaza e della condanna del sostegno militare e finanziario degli Stati Uniti a Israele. Per molti osservatori, l’entità del movimento ricorda le proteste contro la guerra del Vietnam e il razzismo degli anni ’60, così come il movimento anti-apartheid degli anni ’80, che aveva contribuito a isolare il Sudafrica sulla scena internazionale.
Superando, come in passato, i confini americani, l’azione degli studenti del 2024 sembra essere motivata da una simile indignazione morale. Tuttavia, nell’America contemporanea, la tolleranza dell’amministrazione verso la dissidenza sembra ridursi in tutte le università, private e pubbliche.
La libertà di manifestazione degli studenti è garantita costituzionalmente negli Stati Uniti, da quasi lo stesso periodo di tempo che in Francia. Retaggio della Rivoluzione francese, questa libertà fu proclamata dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 nel suo articolo 11. Negli Stati Uniti, il suo fondamento giuridico è il Primo Emendamento della Costituzione americana del 1791, che garantisce la libertà di espressione e di informazione, principio fondante dell’identità nazionale, contro ogni restrizione, soprattutto da parte del potere politico.
Nei due paesi gli studenti godono quindi del diritto all’espressione e all’informazione, nel rispetto dell’equilibrio necessario tra la preservazione delle attività accademiche e il mantenimento dell’ordine pubblico. Che si tratti di San Diego o di Parigi, l’intervento della polizia sul campus può avvenire solo su richiesta o con l’autorizzazione preventiva del rettore dell’università.
Un controverso appello alla polizia nei campus americani
Durante i recenti scontri alla Columbia University di New York e alla University of California di Los Angeles (UCLA), la polizia è intervenuta proprio su iniziativa dei rettori delle università. Il principio generale della responsabilità dei rettori delle università rimane simile in Francia e negli Stati Uniti. Eppure, la crisi che ha scosso i campus americani evidenzia questioni specifiche per la governance universitaria, sia a breve che a lungo termine.
La rettrice della Columbia, Minouche Shafik, è stata criticata da gran parte della facoltà per avere definito una manifestazione inizialmente pacifica come un “pericolo chiaro e immediato per il funzionamento sostanziale dell’università”. La sua dichiarazione ha portato all’arresto di oltre 100 studenti da parte della polizia di New York e alla sospensione dei corsi per alcuni dei giovani coinvolti. Sono seguite altre misure, tra cui il passaggio all’insegnamento a distanza e la cancellazione della tradizionale cerimonia di laurea.
La decisione di chiamare le forze dell’ordine è avvenuta a seguito di un’audizione parlamentare durante la quale la rettrice della Columbia è stata violentemente attaccata dall’esponente repubblicana dello Stato di New York, Elise Stefanik, attualmente una delle principali sostenitrici di Donald Trump nella campagna presidenziale.
L’audizione si inseriva in un contesto già delicato. Dal 7 ottobre 2023, le proteste degli studenti, i sit-in e le chiamate al boicottaggio di Israele e dei suoi partner economici e militari hanno portato diversi rettrici e rettori universitari a comparire davanti al Congresso. Non riuscendo a convincere dell’importanza delle loro azioni a difesa della libertà accademica e di espressione, alcuni di loro, come la rettrice di Harvard e quella della University of Pennsylvania, sono stati costretti a dimettersi a seguito di accuse di antisemitismo. Per evitare la stessa sorte e dimostrare che non discriminava gli studenti ebrei, la rettrice della Columbia ha deciso di chiamare la polizia per fare sgomberare pacificamente il centinaio di studenti che occupavano il prato centrale del campus di Morningside a Manhattan.
Un’operazione della polizia di tale portata non si verificava alla Columbia dal maggio 1968, il che ha profondamente scosso gli studenti e il corpo docente, legati all’indipendenza accademica e alla libertà di espressione. I professori membri dell’Associazione Americana dei Professori Universitari (AAUP), di tutte le confessioni e etnie, hanno chiesto il 2 maggio una mozione di sfiducia nei confronti della rettrice Shafik.
Quello della Columbia, fortemente mediatico, non è un caso isolato. In una lettera aperta indirizzata il 29 aprile a tutti i rettori delle università del paese, l’ACLU (Unione Americana per le Libertà Civili) ha ritenuto opportuno ricordare alcune linee guida per garantire la libertà di espressione e accademica mentre si combattono le discriminazioni e i disordini: evitare di sanzionare o censurare punti di vista specifici, proteggere gli studenti dallo stalking discriminatorio e dalla violenza, consentire agli studenti di esprimersi in campus, riconoscere che la presenza di polizia armata in campus può mettere gli studenti in pericolo e può essere solo un’ultima risorsa, infine resistere alle pressioni politiche che cercano di strumentalizzare le tensioni universitarie.
I rettori delle università sottoposti alle esigenze federali e alle pressioni dei donatori
Negli Stati Uniti, le università godono di una piena libertà accademica. In questo contesto, possono assumere posizioni politiche e, a livello istituzionale, impegnarsi in specifici boicottaggi e disinvestimenti. Come tutte le istituzioni che ricevono finanziamenti pubblici federali, devono rispettare la “non discriminazione basata sulla razza, le opinioni politiche o la religione”, come stabilito dal Titolo VI del Civil Rights Act del 1964. La violazione di tale legislazione antidiscriminatoria può comportare la sospensione dei finanziamenti da parte del Congresso, il che rappresenta una sanzione economicamente significativa. La paura di perdere suddetti finanziamenti potrebbe avere influenzato la scelta di optare per la repressione.
L’esempio di Columbia è, ancora una volta, illuminante. Per spiegare le basi della sua decisione di chiedere l’intervento della polizia, la rettrice Shafik, in una dichiarazione pubblicata il 29 aprile, invoca la sicurezza fisica di tutti i membri della comunità universitaria, in particolare degli studenti e dei docenti ebrei, la necessità di rispettare i diritti di tutti di esprimersi, la condanna dell’odio, dello stalking, della discriminazione, compresi discorsi e azioni antisemite.
Nell’America di oggi, i rettori delle università sono sottoposti a una doppia pressione: devono rispondere alle richieste del governo federale per mantenere i finanziamenti, e al tempo stesso devono soddisfare i donatori, che potrebbero ritirare il loro sostegno dalle istituzioni considerate antisemite o xenofobe. È una posizione particolarmente delicata perché qualsiasi mossa sbagliata viene immediatamente amplificata dai social media.
L’importanza del denaro nel mantenimento del prestigio e dell’eccellenza scientifica delle università americane non è una novità. La scrittrice, attivista e intellettuale afroamericana bell hooks ne parla nei ricordi dei suoi anni di studio alla Stanford University negli anni ’70:
“Stanford era un luogo in cui imparavi da subito cos’era la classe sociale. Di classe si parlava dietro le quinte. I figli e le figlie delle famiglie ricche, famose o rinomate erano immediatamente riconoscibili. Gli adulti che si occupavano di noi erano sempre alla ricerca di una famiglia che potesse dare i suoi milioni all’università.”
Oltre agli eventi recenti e al contesto elettorale, la cautela dei rettori e dell’amministrazione riflette una tendenza di fondo nell’evoluzione dell’istruzione superiore americana e del suo modello economico. Le università, sia private che pubbliche, dipendono sempre di più dalle tasse scolastiche e dalla generosità dei singoli donatori piuttosto che dai finanziamenti pubblici. Le controversie legate alla libertà di espressione sul campus possono seriamente compromettere la reputazione delle università più antiche e prestigiose, influenzando così le loro capacità di finanziamento.
Come è accaduto durante le mobilitazioni nei campus americani negli ultimi due decenni, su temi come la cancel culture, il disinvestimento dei fondi provenienti dal settore delle energie fossili e l’emergere del movimento “Black Lives Matter”, tutti i recenti dibattiti sulla libertà di espressione nei campus americani sollevano preoccupazioni profonde sull’indipendenza accademica e su come gestire le aspettative dei donatori senza sacrificare questo principio. L’equilibrio tra i due è essenziale per preservare la capacità delle università di condurre ricerche e insegnare in modo critico.
Più di recente, i rettori e le amministrazioni subiscono anche le conseguenze di un clima di forti tensioni politiche e sociali, accentuate dal contesto elettorale. Lo sfruttamento politico delle manifestazioni universitarie è una tentazione evidente per i conservatori americani che denunciano regolarmente la “cancel culture” e il “wokismo”.
Francia e Stati Uniti: modelli di governance diversi
Rispetto alla situazione negli Stati Uniti, il panorama universitario francese è caratterizzato da una minore mediatizzazione e da una diversa dipendenza economica, con un finanziamento dell’istruzione superiore proveniente principalmente dallo Stato. La filantropia basata sul mecenatismo, le donazioni private e le fondazioni filantropiche rappresentano ancora una parte modesta delle risorse delle università e degli istituti francesi.
Inoltre, i rettori delle università in Francia vengono eletti a maggioranza assoluta dai membri del consiglio di amministrazione, per un mandato di cinque anni. Questa modalità offre loro una certa protezione dalle richieste dei finanziatori rispetto ai loro omologhi americani.
Queste differenze nel modello economico e nella governance mettono in evidenza la vulnerabilità del modello delle grandi università di ricerca americane alle pressioni esterne.
Politici e donatori spesso dimenticano che le università sono luoghi che, attraverso lo sviluppo del pensiero critico, preparano gli studenti a adottare, se necessario, un atteggiamento politico di opposizione.
In un articolo apparso sulla rivista The New Yorker, la scrittrice britannica Zadie Smith osservava riguardo alle occupazioni dei campus che “parte del significato di ogni manifestazione studentesca risiede nel modo in cui offre ai giovani l’opportunità di difendere un principio etico rimanendo, comparativamente parlando, una forza più razionale rispetto agli adulti responsabili”.
Gli eventi recenti ricordano l’importanza cruciale di un dialogo rispettoso e della garanzia della libertà di espressione, anche per le opinioni più discordanti. Nel caso degli Stati Uniti, la repressione e il silenzio imposti alle voci dissidenti hanno solo alimentato il risentimento e la frustrazione, portando talvolta a violenza verbale e fisica. L’educazione all’espressione di un pensiero critico sembra oggi più che mai fondamentale per lo sviluppo di cittadini impegnati e consapevoli delle sfide delle nostre democrazie.
Commenti recenti