Il genocidio in atto a Gaza è un fatto: la bestemmia è di chi strumentalizza Segre e la Shoah
DA LA FIONDA (Di Giuseppe D’Elia)
Il caso Segre, esploso in questi giorni, è letteralmente la punta dell’iceberg di una montagna ghiacciata di propaganda con la quale si cerca di sommergere e soffocare ogni tentativo di far comprendere la concretezza e la serietà dei crimini di cui è accusato il governo israeliano in carica, da entrambe le corti internazionali di giustizia, ovvero: a) l’International Court of Justice (ICJ), che si occupa di giudicare gli Stati; b) l’International Criminal Court (ICC), che invece processa le singole condotte individuali.
Sono passati ormai quattro mesi da quando le accuse di genocidio, mosse dal Sudafrica contro Israele, sono state reputate credibili dalla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) – di seguito CIG – che ha emesso pertanto una Ordinanza per l’esecuzione di misure cautelari, nel caso “Sudafrica contro Israele”, con specifico riferimento all’applicazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio nella Striscia di Gaza.
È appena il caso di ricordare che l’articolo III della “Convenzione sul genocidio” definisce lo spettro delle condotte genocidiarie punibili e che – per prevenire con ogni mezzo queste nefandezze – lo spettro degli atti vietati risulta assai ampio.
La norma citata punisce infatti:
«a) il genocidio;
b) l’intesa mirante a commettere genocidio;
c) l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio;
d) il tentativo di genocidio;
e) la complicità nel genocidio».
In tal senso, i fatti fin qui accertati sono questi: il 29 dicembre 2023, il Sudafrica depositava un’istanza contro Israele per le presunte violazioni dei suoi obblighi ai sensi della Convenzione; il 26 gennaio 2024, la Corte emetteva la suddetta Ordinanza, in accoglimento delle istanze sudafricane; il 16 febbraio 2024, la Corte comunicava alle Parti, la richiesta del Sudafrica di ulteriori misure provvisorie, da emanare a causa dell’aggravarsi del quadro accusatorio, dato che l’offensiva militare israeliana – seguita agli attacchi del 7 ottobre, condotti da Hamas nel sud di Israele (quasi 1.200 le vittime israeliane; oltre 240 gli ostaggi) – aveva prodotto, allo stato, almeno 32mila decessi tra la popolazione palestinese come conseguenza diretta degli attacchi e dei bombardamenti ancora in corso; il 28 marzo 2024, la Corte ha indicato ulteriori misure provvisorie.
Gli ordini cautelari aggiuntivi della CIG, a fine marzo, prevedevano, in sostanza, che lo Stato di Israele, alla luce del peggioramento delle condizioni di vita dei palestinesi di Gaza, con specifico e particolare riferimento alla diffusione della carestia e della fame, si sarebbe dovuto adoperare per la tempestiva adozione di «tutte le misure necessarie ed efficaci per garantire, senza indugi, in piena cooperazione con le Nazioni Unite, la fornitura senza ostacoli su larga scala da parte di tutti i soggetti interessati dei servizi di base urgentemente necessari e dell’assistenza umanitaria ai palestinesi in tutta Gaza». Ai sensi della Convenzione sul Genocidio, Israele avrebbe dovuto inoltre garantire, «con effetto immediato, che il suo esercito non compia atti che costituiscano una violazione di uno qualsiasi dei diritti dei palestinesi a Gaza come gruppo protetto», ciò che include la cessazione di ogni azione finalizzata a impedire «la consegna dell’assistenza umanitaria urgentemente necessaria», con la precisazione che gli aiuti necessari riguardano cibo, acqua, elettricità, carburante, rifugi, abbigliamento, presidi igienici e sanitari, nonché forniture e cure mediche.
La CIG, proprio in questi giorni, ha infine portato a termine l’esame delle ulteriori allegazioni depositate dal Sudafrica, a seguito della estensione dell’offensiva militare israeliana a Rafah, ovvero in quel “rifugio” che avrebbe dovuto essere la zona di sicurezza per oltre un milione e mezzo di palestinesi, sfollati da una Gaza ormai quasi completamente rasa al suolo, riaffermando le misure cautelari già imposte a Israele, con le precedenti ordinanze del 26 gennaio e del 28 marzo, e implementandole con nuove misure rivolte a proteggere i palestinesi finiti sotto attacco anche a Rafah.
Se questo è il quadro complessivo dei provvedimenti della CIG, in cui la sussistenza delle condotte genocidiarie dello Stato israeliano viene riconosciuta e perseguita in maniera esplicita, la notizia più recente – ovvero le Richieste di mandati di arresto per la situazione nello Stato di Palestina – riguarda invece le specifiche condotte individuali delle figure apicali che sono state incriminate per l’attacco palestinese del 7 ottobre 2023 e per la lunghissima controffensiva israeliana tuttora in atto. Tali condotte, stando a quanto ha espressamente dichiarato lo stesso Procuratore Khan della Corte Penale Internazionale (ICC) – di seguito CPI – sono avvenute «nel contesto di un conflitto armato internazionale tra Israele e Palestina, e di un conflitto armato non internazionale tra Israele e Hamas (insieme ad altri gruppi armati palestinesi) che si svolgono in parallelo». Sul punto, è bene ricordare brevemente che lo Statuto di Roma della CPI non si applica a situazioni di semplice disordine interno e punisce esclusivamente le seguenti tipologie di condotte (art. 5): crimine di genocidio (art. 6), crimini contro l’umanità (art. 7), crimini di guerra (art. 8) e crimini di aggressione (art. 8-bis). Le violazioni dello Statuto che sono state specificamente contestate ai soggetti incriminati sono tutte relative a diverse ipotesi di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra.
Gli esponenti incriminati del Movimento di Resistenza Islamica “Hamas” sono tre: Sinwar (Capo di Hamas nella Striscia di Gaza), Deif (Comandante in Capo dell’ala militare di Hamas, conosciuta come le Brigate Al-Qassam) e Haniyeh (Capo dell’Ufficio Politico di Hamas). L’Ufficio del Procuratore ha ritenuto che i tre potessero essere considerati «penalmente responsabili dell’uccisione di centinaia di civili israeliani in attacchi perpetrati da Hamas (in particolare dalla sua ala militare, le brigate Al-Qassam) e da altri gruppi armati il 7 ottobre 2023 e della presa di almeno 245 ostaggi» e ciò all’esito di indagini che hanno preso in esame i racconti di diverse vittime e sopravvissuti, «compresi ex ostaggi e testimoni oculari dei sei principali luoghi di attacco», nonché elementi probatori quali: «filmati di CCTV, materiale audio, foto e video autenticato, dichiarazioni di membri di Hamas, inclusi i presunti autori sopra nominati, e prove fornite da esperti». I capi di accusa specifici – relativi anche a diverse ipotesi di condotte criminali commesse nel contesto della prigionia – sono: a) sterminio (art. 7); b) omicidio (artt. 7 e 8); c) presa di ostaggi (art. 8); d) stupro e altri atti di violenza sessuale (artt. 7 e 8); e) tortura (artt. 7 e 8); f) altri atti inumani (art. 7); g) trattamenti crudeli (art. 8); h) oltraggio alla dignità personale (art. 8).
Sul versante israeliano, gli esponenti incriminati, sia come coautori che come superiori (artt. 25 e 28) sono due: Netanyahu (Primo Ministro) e Gallant (Ministro della Difesa). I capi di imputazione specifica: a) affamare i civili come metodo di guerra, b) causare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni al corpo o alla salute – trattamento crudele, c) uccisione intenzionale – omicidio, d) dirigere intenzionalmente attacchi contro la popolazione civile (art. 8); e) sterminio e/o omicidio inclusi nel contesto delle morti causate dalla fame, f) persecuzione, g) altri atti inumani (art. 7).
La relazione del Procuratore evidenzia in particolar modo il fatto che tali crimini – tuttora in corso – rientrino in un quadro di «attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile palestinese, in conformità con la politica statale». Bisogna prestare molta attenzione a quanto è emerso dalle «prove raccolte, incluse interviste con sopravvissuti e testimoni oculari, materiale video, fotografico e audio autenticato, immagini satellitari e dichiarazioni del gruppo degli autori presunti». Secondo la procura, infatti, siamo in presenza di un quadro probatorio nel quale «Israele ha intenzionalmente e sistematicamente privato la popolazione civile in tutte le parti di Gaza di oggetti indispensabili per la sopravvivenza umana».
L’assedio totale su Gaza imposto da Israele, «dall’8 ottobre 2023 per periodi prolungati e poi limitando arbitrariamente il trasferimento di forniture essenziali – compresi cibo e medicine – attraverso i punti di valico del confine dopo che sono stati riaperti», si è tradotto anche nel «taglio delle condutture d’acqua transfrontaliere da Israele a Gaza – la principale fonte di acqua pulita per i Gazawi – per un periodo prolungato a partire dal 9 ottobre 2023», oltre che nella «interruzione e ostacolo delle forniture elettriche almeno dall’8 ottobre 2023 fino ad oggi». Numerosi e comprovati anche gli «attacchi ai civili, compresi quelli in fila per il cibo», in un quadro generale di «ostacolo alla consegna di aiuti da parte delle agenzie umanitarie». La relazione specifica, inoltre, che ripetuti attacchi e uccisioni di operatori umanitari «hanno costretto molte agenzie a cessare o limitare le loro operazioni a Gaza».
A fronte di questa impressionante mole di prove appare pertanto evidente come queste condotte criminali siano state commesse in attuazione di «un piano comune per utilizzare la fame come metodo di guerra e altri atti di violenza contro la popolazione civile di Gaza come mezzo per (i) eliminare Hamas; (ii) garantire il ritorno degli ostaggi rapiti da Hamas, e (iii) punire collettivamente la popolazione civile di Gaza, percepita come una minaccia per Israele».
Da ultimo, un passaggio conclusivo della relazione del Procuratore, merita di essere trascritto integralmente poiché chiarisce molto bene il punto nodale della vicenda, ovvero il fatto che i mezzi scelti da Israele per raggiungere i suoi obiettivi militari a Gaza sono e restano criminali, indipendentemente da qualsiasi valutazione in merito alle finalità:
«Gli effetti dell’uso della fame come metodo di guerra, insieme ad altri attacchi e punizioni collettive contro la popolazione civile di Gaza, sono acuti, visibili e ampiamente noti, e sono stati confermati da molteplici testimoni intervistati dal mio ufficio, inclusi medici locali e internazionali.
Questi effetti includono malnutrizione, disidratazione, sofferenza profonda e un numero crescente di morti tra la popolazione palestinese, inclusi neonati, bambini e donne.
La carestia è presente in alcune aree di Gaza ed è imminente in altre aree.
Come ha avvertito più di due mesi fa il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, “1,1 milioni di persone a Gaza stanno affrontando una fame catastrofica – il numero più alto mai registrato – ovunque, in qualsiasi momento” a causa di un “disastro interamente causato dall’uomo”.
Israele, come tutti gli Stati, ha il diritto di agire per difendere la propria popolazione.
Tale diritto, tuttavia, non esonera Israele o qualsiasi Stato dal rispettare il diritto umanitario internazionale».
In definitiva, sul piano delle condotte statali, la CIG riconosce espressamente le condotte genocidiarie israeliane, iniziate a seguito dei fatti del 7 ottobre 2023 e tuttora in essere, mentre su quello delle valutazioni individuali, i mandati di arresto emessi nei confronti delle due figure apicali del governo israeliano (il capo del governo e il suo ministro della difesa) individuano e contestano ‘solo’ diverse ipotesi di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità. La CPI, in effetti, punisce anche il crimine di genocidio (art. 6 dello Statuto) ma – in ossequio ai principi fondamentali del garantismo penale – lo fa con una nozione molto più ristretta di quella del summenzionato art. III della Convenzione. Nondimeno, il più grave tra i crimini dell’umanità che sono stati contestati individualmente dalla CPI, ovvero “affamare i civili come metodo di guerra”, quale esito finale potrà mai avere, se questa e tutte le altre condotte criminali individuate non cesseranno? La scelta di sfollare oltre un milione e mezzo di palestinesi, esponendoli alla fame, alla sete e a condizioni sanitarie praticamente inesistenti, la devastazione dei territori sfollati e la successiva offensiva che attualmente sta interessando anche la zona di sicurezza in cui erano stati forzosamente trasferiti i rifugiati, che esito finale avranno, in assenza di una piena e completa cessazione di tutte le ostilità?
Sul punto, conclusivamente, può essere utile esaminare i risultati dell’analisi legale approfondita, realizzata dall’University Network for Human Rights, composto da esperti dell’International Human Rights Clinic presso la Boston University School of Law, dell’International Human Rights Clinic presso la Cornell Law School, del Center for Human Rights presso l’Università di Pretoria e del Lowenstein Human Rights Project presso la Yale Law School.
Il report sul Genocidio a Gaza, pubblicato il 15 maggio scorso, nel ribadire la correttezza dell’impostazione della CIG, offre un passaggio di sintesi che merita di essere trascritto integralmente per la sua chiarezza e completezza:
«Israele ha commesso atti genocidiari di uccisione, causando gravi danni e infliggendo condizioni di vita tese a provocare la distruzione fisica dei palestinesi a Gaza, un gruppo protetto che costituisce una parte sostanziale del popolo palestinese.
Tra il 7 ottobre 2023 e il 1 maggio 2024, Israele ha ucciso almeno 34.568 palestinesi e ferito altri 77.765 palestinesi a Gaza.
Queste cifre rappresentano complessivamente più del 5% della popolazione di Gaza, con oltre il 2% dei bambini di Gaza uccisi o feriti.
Circa 14.500 dei palestinesi uccisi a Gaza erano bambini.
Nei primi quattro mesi del suo assalto, Israele ha ucciso più bambini di tutti quelli che sono stati ammazzati in tutti i conflitti mondiali degli ultimi quattro anni messi insieme.
Le forze israeliane hanno ucciso palestinesi indipendentemente dal loro status protetto secondo il diritto internazionale, con l’attuale bombardamento che costituisce il conflitto più mortale per i giornalisti mai registrato, e i numeri del personale ONU assassinato che hanno raggiunto un livello “mai visto nella storia”.
L’operazione militare di Israele ha distrutto fino al 70% delle case a Gaza e ha decimato le infrastrutture civili, inclusi ospedali, scuole, università, strutture delle Nazioni Unite e siti di patrimonio culturale e religioso.
Un impressionante numero di civili – 1,7 milioni, ovvero oltre il 75% della popolazione di Gaza – è stato sfollato con la forza a causa dell’offensiva militare di Israele.
I civili a Gaza affrontano livelli catastrofici di fame e privazione a causa delle restrizioni imposte da Israele e della mancanza di accesso adeguato ai beni essenziali per la vita, inclusi cibo, acqua, medicine e carburante.
Gli atti genocidiari di Israele a Gaza sono stati motivati dall’intento genocida richiesto, come evidenziato nel report dalle dichiarazioni dei leader israeliani, dalla natura dello Stato e dal comportamento delle sue forze militari contro e riguardo i palestinesi a Gaza, e dal nesso diretto tra questi.
Come dettagliato in questo rapporto, funzionari a tutti i livelli del governo israeliano, incluso il Primo Ministro, hanno fatto dichiarazioni che non solo esprimono disumanizzazione e crudeltà palesi e inequivocabili contro i palestinesi a Gaza e altrove, ma riflettono anche esplicitamente l’intenzione di distruggere e sterminare i palestinesi in quanto tali.
I modelli di comportamento delle forze militari israeliane a Gaza rafforzano ulteriormente la constatazione dell’intento genocida di Israele».
Questa mole impressionanti di elementi di fatto, raccolti ed esaminati da più fonti indipendenti, dovrebbe rendere chiaro a qualsiasi persona ragionevole il quadro accusatorio e la devastazione associata a questa infinita controffensiva israeliana, che è del tutto sproporzionata rispetto ai crimini commessi da Hamas, sia per la sua intensità, sia per la sua durata nel tempo, dato che ormai va avanti da quasi otto mesi e senza che si veda alcun minimo segno di ravvedimento, né una possibile prospettiva di pacificazione.
Giudicheranno, poi, le due corti competenti, in merito a ciascuna delle ipotesi di reato individuate, ma la valutazione politica può senz’altro precedere l’esito delle sentenze. E se si può umanamente comprendere lo stato d’animo di Liliana Segre, quando si lascia andare a una dichiarazione che contraddice così clamorosamente la realtà dei fatti, nessuna indulgenza invece si può avere per l’apparato politico, mediatico e affaristico che strumentalizza la senatrice a vita e la Shoah stessa, nel vano tentativo di sottrarre al giudizio i responsabili delle condotte genocidiarie, ai sensi dell’art. III della Convenzione, e le figure apicali per le quali sono stati emessi i mandati di arresto per le varie ipotesi di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra, individuate ai sensi degli artt. 7 e 8 dello Statuto CPI.
La senatrice Segre, che l’antisemitismo lo ha vissuto sulla propria pelle ed è sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, chiaramente è preoccupata dal possibile ritorno di un crescente antisemitismo. Lei dice testualmente: è assurdo che persone italiane di origine ebraica, che magari nemmeno condividono le politiche militari israeliane, vengano considerate corresponsabili. Questa preoccupazione è perfettamente comprensibile. Tuttavia, in quello stesso contesto in cui ha dichiarato che, per lei, è una bestemmia associare la parola genocidio a Israele, nel video, la senatrice affermava anche questo: «siamo accusati di tutto quello che noi per primi non vorremmo vedere». Singolare che, poi, solo la questione della bestemmia abbia trovato un così ampio spazio su tutti i principali media, mentre la parte in cui giustamente Segre chiarisce come e quanto il pregiudizio sia sempre deprecabile e pericolosissimo resta seminascosta: nessun titolo su questo passaggio più critico, nemmeno un trafiletto.
Come ha spiegato molto bene, qualche settimana, fa il senatore USA Bernie Sanders, criticare il governo israeliano per le sue politiche criminali non è antisemitismo. Cerchiamo dunque di non usare la Shoah e l’antisemitismo come una sorta di doppio manganello mediatico per mettere a tacere le proteste pacifiste e, qui dove la guerra (per ora?) non è ancora arrivata, forse, si potrà ricominciare a discutere e a confrontarsi civilmente, prendendo tutte le posizioni che ciascuno di noi si sentirà di assumere, secondo coscienza, ma senza mai ignorare o mistificare la realtà.
E la realtà di Gaza, ampiamente documentata, qui e ora è una realtà di sterminio e devastazione, perfettamente coerente con la definizione di genocidio, secondo la relativa Convenzione (art. III), oltre che con le diverse ipotesi di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra, che sono state contestate secondo le disposizioni dello Statuto CPI, riportate ed esaminate in dettaglio.
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