L’Ucraina colpisce le raffinerie, la Russia le centrali elettriche. Partita a scacchi con le bombe
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Fulvio Scaglione)
Da quando è cominciata la guerra in Ucraina, la gran parte degli osservatori si è persa nella classica sindrome “Davide contro Golia”. Ovvero, si è messa a fare il tifo per la più piccola Ucraina contro la più grande Russia, finendo con l’esaltare e il sopravvalutare ogni successo vero o presunto del Davide kieviano. Un fenomeno che non riguarda solo noi europei e occidentali in genere, che ci troviamo nella fortunata situazione di fare il tifo mentre a combattere e morire sono gli ucraini, ma che pare aver investito gli ucraini stessi. L’Ucraina resiste e combatte grazie agli aiuti (circa 45 miliardi l’anno nel solo settore militare) che arrivano dai Paesi amici. E qualche volta certe iniziative militari sembrano dettate (anche) dal desiderio di convincere quegli amici che la vittoria sulla Russia è possibile e che, dunque, vale la pena di continuare a contribuire. C’era tutto questo intorno alle polemiche sulla difesa strenua e inutile di Bakhmut e il siluramento del generale Zaluzhny.
Nelle ultime settimane la polemica si è ripetuta per la nuova strategia ucraina, quella di colpire le raffinerie russe di petrolio. Un obiettivo facile: di solito si tratta di grandi impianti, difficili da mancare, e la Russia ne ha tanti, molti dei quali a una distanza dal confine che i droni ucraini possono facilmente colmare. Un obiettivo facile da danneggiare: al di là dell’esplosione della carica portata dal drone, le raffinerie per definizione sono facili agli incendi. Un obiettivo di grande effetto: il petrolio, si sa, è nel cuore dell’economia russa, colpirlo dà l’impressione di toccare un nervo molto sensibile. Un obiettivo economicamente conveniente: un attacco con uno sciame di droni costa tra 1 e 5 milioni di dollari, mentre una qualunque raffineria “vale” centinaia di milioni di dollari.
Detto tutto questo, però, resta la domanda: le raffinerie russe sono anche un obiettivo importante? Decisivo per le sorti della guerra? Il dibattito è aperto. Un contributo interessante l’ha portato Sergey Vakulenko, economista e per molti anni manager e consulente di grandi aziende petrolifere come Shell e Gazprom Neft.
Vakulenko sottolinea giustamente che l’atto alle raffinerie, per risultare sensato, dovrebbe portare a tre risultati: diminuire le risorse (in questo caso i carburanti) a disposizione delle forze armate russe; far crescere i prezzi dei carburanti sul mercato interno russo; far calare la capacità di esportazione, che produce redditi importanti per la Russia. Non è una strategia nuova, dice Vakulenko: durante la seconda guerra mondiale, gli Alleati scatenarono una campagna contro le raffinerie tedesche in Germania, Austria e Romania. Centinaia di raid aerei e migliaia di bombe caddero sulle raffinerie, generando problemi che non furono però decisivi: il sistema petrolifero della Germania nazista riuscì ad assestarsi su una capacità produttiva di circa il 50%. E gli Alleati usavano bombe da 500 chili, non dormi con cariche da 50 chili di esplosivo.
Che cosa ci dicono, invece, i dati relativi alla Russia? Che il mercato interno non è stato toccato, visto che i prezzi al consumo sono rimasti sostanzialmente stabili, e anche quando si sono mossi lo hanno fatto in una “forchetta” paragonabile a quella registrata negli Usa. Altrettanto si può dire per i rifornimenti alle forze armate: non sono mai andati in crisi. E questo per una ragione molto semplice: la capacità di raffinazione dell’industria petrolifera russa è di 2,5 volte rispetto al fabbisogno.
Le esportazioni? Anche qui, nessun effetto catastrofico. In gennaio la Russia raffinava 5,5 milioni di barili di petrolio al giorno, in aprile “solo” 5,2. Si calcola dunque che gli attacchi ucraini abbiano impedito la raffinazione di circa 300 mila barili di greggio al giorno. Se questi 300 mila barili sono stati venduti all’estero come greggio e non come prodotto finito, la perdita per la Russia in aprile sarebbe intorno ai 135 milioni di dollari. Questo a fronte di introiti, nello stesso periodo, per 16 miliardi di dollari. Alla fin fine, il danno maggiore prodotto dagli attacchi ucraini è quello sulle strutture industriali: decine di milioni di dollari per impianto a carico delle compagnie petrolifere, private e statali, che però in media hanno riportato le raffineria all’operatività nel giro di due-tre settimane.
Molto interessante anche un altro aspetto del ragionamento di Vakulenko. Qual è il prezzo che l’Ucraina paga a questi attacchi? La guerra tra Russia e Ucraina, spiega lo studioso, può sembrare una guerra “totale” ma non lo è. Entrambe le parti tendono a compartimentalizzare le loro iniziative belliche, scegliendo di volta in volta il settore su cui accanirsi. La Russia non ha bisogno di colpire le raffinerie ucraine: ce n’era solo una operativa quando cominciò l’invasione, quella di Kremenchug, fu subito colpita nel 2022 e poi di nuovo nel febbraio di quest’anno. Nel 2024, invece, proprio in risposta agli attacchi sulle raffinerie, la Russia ha intensificato i colpi contro il sistema ucraino di produzione dell’elettricità, passando dalle incursioni contro i trasformatori (facili da colpire ma anche da sostituire) a quelle turbine, generatori e centri di controllo, assai più decisivi, costosi e difficili da riparare perché in molti casi risalenti all’epoca sovietica, con pezzi di ricambio impossibili da recuperare.
Nella sostanza, lo studio di Vakulenko è l’ennesimo invito a considerare l’andamento di questa guerra con meno tifo e più raziocinio. Non è un videogame, le persone muoiono davvero. Che Zelensky e i suoi possano fare determinate mosse anche tenendo a mente le esigenze della propaganda e delle pubbliche relazioni internazionali è normale. A noi il compito di usare il cervello.
#TGP #Ucraina #Russia
[Fonte: https://it.insideover.com/guerra/lucraina-colpisce-le-raffinerie-la-russia-le-centrali-elettriche-partita-a-scacchi-con-le-bombe.html]
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