16 per 8, il significato dello scambio di prigionieri tra Russia e Occidente
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Fulvio Scaglione)
Come durante la Guerra Fredda ma con due notevoli differenze. La prima è che neppure negli anni cantati da Le Carré si erano scambiati così tanti prigionieri come è successo ad Ankara: 24 in un colpo, 16 occidentali per 8 russi. La seconda è che non siamo in tempi di guerra fredda ma di guerra guerreggiata, caldissima, un vero scontro epocale. Facendo comunque finta, come fanno regolarmente i media occidentali, che i “nostri” fossero tutti ostaggi innocenti e i russi tutti killer e spie, vale la pena di sottolineare qualche nome. L’inviato del Wall Street Journal Evan (Ivan in americano) Gershkovic, il dissidente Vladimir Kara-Murza, l’ex marine Paul Whelan. Sul lato russo un nome su tutti: Vadim Krasikov, l’ufficiale del Gru (il servizio segreto militare russo) da anni detenuto in Germania per aver ucciso a Berlino Zelimkhan Khangoshvili, un comandante militare ceceno nel 2004 aveva guidato un attacco contro i russi a Nazran, era stato accusato di aver piazzato, nello stesso anno, le bombe nel metro di Mosca ed era così finito sulla lista russa dei ricercati per terrorismo. Krasikov era l’uomo che avrebbe dovuto essere scambiato per Aleksej Navalny, se questi non fosse morto all’improvviso in febbraio nel carcere nel circondario artico di Jamalo-Nenec.
I protagonisti-vittime dello scambio, quasi tutti reduci da anni di carcere, sono in questo caso relativamente importanti. Contano per l’affetto delle famiglie e per le rispettive propagande. Il punto vero è chiedersi che cosa questo scambio significa, con la guerra in Ucraina che si avvia al terzo anno al fronte e le posizioni dei contendenti (e rispettivi alleati) in apparenza immutate.
In apparenza è la parola chiave. Nel corso degli ultimi mesi abbiamo visto succedere cose di non secondaria importanza. La Conferenza per la pace in Ucraina che si è svolta in Svizzera ha prodotto un risultato fondamentale, che i diplomatici russi non hanno mancato di sottolineare: ovvero, che senza la Russia non si va da nessuna parte. Nè con la guerra, che a dispetto di tutte le forniture militari occidentali non volge a favore dell’Ucraina, né con le ipotetiche trattative. Da allora, a cascata, sono successe altre cose. Gli ucraini hanno cominciato a dire che (ovviamente in futuro, a certe condizioni, senza cedere nulla…) che con la Russia si poteva anche trattare, a dispetto del decreto firmato da Zelensky nell’ottobre del 2022 che metteva fuorilegge la sola ipotesi. Putin ha fatto una sua “proposta di pace” che ovviamente nessun ucraino sano di mente potrebbe prendere in seria considerazione, ma che ugualmente non è una chiusura assoluta. E poi c’è stata la consacrazione della Cina. Che la Nato, come al summit dei 75 anni di Washington, la criminalizzi accusandola di sostenere lo sforzo bellico della Russia (vero), o che il ministro degli Esteri ucraino Kuleba vada a Pechino in pellegrinaggio da Xi Jinping, il succo è sempre quello: quando si comincerà a parlare seriamente, la Cina sarà al tavolo.
Ultima considerazione. Recep Tayyep Erdogan è il cavallo pazzo della politica mondiale ma la sua Turchia, almeno per quanto riguarda la guerra in Ucraina, resta un campo simil-neutro indispensabile a tutti. In realtà la Turchia non è neutrale, al contrario: sta con tutti. Vende armi all’Ucraina e compra petrolio e nucleare dalla Russia. Ma le uniche trattative più o meno serie tra russi e ucraini sono state quelle di Istanbul (marzo 2022) e l’unico accordo che è stato raggiunto e ha retto è quello sull’esportazione del grano ucraino, mediato appunto da Erdogan. A tenere aperta la porta turca, quindi, sono interessi concreti di entrambe le parti. E l’interesse, in questi conflitti, pesa sempre più degli ideali.
Qualcosa si muove, dunque. Anzi: qualcosa continua a muoversi. E il movimento, per come siamo messi, è comunque meglio della stasi bellica. Manca ancora un tassello fondamentale: l’elezione del presidente americano. Di Trump si sa: si vanta di poter chiudere il conflitto in 24 ore. Della Harris, finora pallidissima figura di contorno all’ombra di Biden, si sa meno, ma qualcosa prima o poi la candidata dovrà pur dire. E riesce difficile credere che le stia bene proseguire così, con l’Ucraina che resiste come Stato ma intanto si dissangua (si dissolve?) come popolo. E mentre il Medio Oriente, dove anche Benjamin Netanyahu cerca di farsi durare la guerra sperando nell’arrivo di Trump, rischia una delle sue esplosioni.
Siamo troppo ottimisti? Per niente. Ci pare che al confronto con un guerra che ormai sta ridisegnando gli equilibri mondiali, anche i più piccoli segnali abbiano la loro importanza. Continuiamo a sperare.
#TGP #USA #Russia
[Fonte: https://it.insideover.com/politica/16-per-otto-il-significato-dello-scambio-di-prigionieri-tra-russia-e-occidente.html]
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