Siamo dunque a capo: la Cina.
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Paolo Desogus)
Mi pare che il programma di Kamala Harris non si discosti di molto da quello di Biden, almeno in politica estera. Lo schema è quello che intende conservare la supremazia militare americana, e dunque l’egemonia unipolare, contro l’avanzata cinese. Tutto il resto viene di conseguenza, incluso il sostegno netto a Israele, secondo la logica “Israele ha diritto a difendersi”, che come abbiamo visto significa avere il diritto di uccidere e seminare terrore in tutto il medio oriente. Israele è infatti l’avamposto americano per il contenimento dell’Iran, cioè uno degli “stati canaglia” alleati della Cina.
Siamo dunque a capo: la Cina. La prospettiva di un mondo multipolare ai democratici americani non va giù. Penso che siano consapevoli dell’insostenibilità economica della loro supremazia. E credo anche che, nonostante il mirabolante proposito di Kamala Harris di costruire un esercito ancora più potente, al Pentagono siano consapevoli dell’impossibilità di stare al passo dei numerosi conflitti sparsi per il mondo e soprattutto alla contesa con il gigante asiatico.
Che cosa significa per noi? Se prima gli USA potevano occuparsi di gran parte della difesa europea, ora siamo noi a doverci sobbarcare le spese militari, senza però poter pretendere un recupero dell’autonomia politica. Lo schema “io, Italia, ti cedo la sovranità e ti faccio costruire basi militari per tutto il territorio, voi, Stati Uniti, mi difendente e mi lasciate un pezzo di mercato in cui piazzare i miei prodotti”, non funziona più. Il nuovo è più o meno così: “tu, Italia, come gli altri paesi europei, devi farti carico sia della tua difesa e sia di un contributo significativo alla nostra politica militare; se ci stai ti garantiamo un livello economico decente e se non ci stai ci stai uguale perché interveniamo con tutti mezzi per condizionare le tue politiche di governo. Punto”.
Stiamo in altre parole per tornare a un livello di militarizzazione della politica da guerra fredda. Con la differenza che nel dopoguerra c’erano figure come Fanfani, Moro, Craxi e persino Andreotti, in grado di barcamenarsi in un paese a sovranità limitata, oggi abbiamo i servi volontari di Pd, FdI e compagnia cantante.
I margini di agibilità politica che sembravano essersi aperti negli anni Novanta e nei primi anni duemila, quelli che ad esempio avevamo permesso a Berlusconi gli accordi di Pratica di mare e a D’Alema di ritirare le truppe dall’Iraq, ebbene quei margini (per la verità molto ristretti) non ci sono più.
Per ora le file sono tenute serrate dai mercati (anche per una gestione sucida e ideologica della Bce) e dalla stampa, in Europa armata per distruggere politicamente i dissidenti. Pensate a Corbyn e a Mélenchon accusati di antisemitismo o al repertorio della macchina del fango italiano con il seguito di insulti degradanti (sovranista, rossobruno, antisemita…) che mettono fuorigioco chi non ci sta.
La scommessa americana per mantenere il suo primato con la Cina è comunque quella di poter conservare la propria supremazia contando sulle colonie europee. Per il momento la guerra in Ucraina è stata un ottimo test. Ha mostrato oltre le aspettative l’irrilevanza della politica italiana, il velleitarismo militare francese e la fragilità economica della Germania.
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