Libano: i sunniti resistono alle pressioni Usa per eliminare Hezbollah
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Davide Malacaria)
La guerra e le pressioni non riescono a isolare Hezbollah all’interno del Libano. Il governo libanese respinge gli ultimatum e chiede l’applicazione della risoluzione ONU 1701.
Amos Harel, su Haaretz (1), verga un articolo dai toni trionfalistici sulla guerra che Israele sta conducendo in Libano contro Hezbollah, sgranando i tanti successi che Tel Aviv può vantare, dall’uccisione di tanti leader del movimento sciita, a iniziare dal suo leader carismatico Hassan Nasrallah, alla riduzione delle capacità offensive del nemico, soprattutto per quanto riguarda le sue capacità balistiche (così temute all’inizio dello scontro) e tanto altro.
Dichiarare vittoria e chiudere la guerra
Una serie di successi indubbi, commista ad altri dubbi, che fanno concludere all’analista israeliano che è improbabile che Israele possa “escogitare una ‘immagine di vittoria’ più convincente” di questa.
Conclusione da cui discende la considerazione più interessante: “Ci stiamo avvicinando al punto in cui il beneficio militare derivante dalla prosecuzione della guerra sarà pari al prezzo che verrà pagato per essa, nella misura in cui Hezbollah riuscirà a riprendersi. E nonostante le battute d’arresto subite dall’organizzazione, il personale dell’intelligence israeliana non ha dubbi sul fatto che il processo di ripristino all’interno dei suoi ranghi sia già iniziato”, da cui la necessità di un accordo che Tel Aviv possa brandire come vittoria.
Ma ad oggi Israele resta su posizioni massimaliste, avendo avanzato richieste che né la controparte né il governo libanese possono accettare. A trasmettere in via ufficiale tali richieste, spacciate come piano americano, l’inviato Usa per il Libano Amos Hochstein, sbarcato nel Paese dei cedri con un ultimatum: se non accettate la proposta, la guerra si intensificherà.
Un ultimatum che il governo libanese ha respinto, ribadendo la necessità che sia invece applicata la risoluzione Onu 1701, adottata dopo la guerra israelo-libanese del 2006 e mai attuata, che stabilisce che il territorio libanese al confine con Israele sia controllato unicamente da una forza libanese coadiuvata da forze internazionali, libera da Hezbollah, ma anche esente da violazioni israeliane dei suoi confini (che i jet israeliani attraversano in continuazione).
Ma Tel Aviv vuole di più, cioè che all’esercito israeliano “sia consentito di impegnarsi come ‘forza attiva’ per assicurarsi che Hezbollah non si riarmi e non ricostruisca la sua infrastruttura militare” al confine con Israele e che la sua aviazione “sia libera di operare nello spazio aereo libanese” (Axios).
Il fattore Paura
Richiesta respinta, appunto, ma gli Stati Uniti non si rassegneranno e continueranno a lavorare sia su questo sia, soprattutto, per dar vita a un governo libanese “libero” da Hezbollah – che ha nel corrispettivo Amal la forza politica più importante del Paese – con quel libero che va letto con la declinazione del caso, cioè gradito a Usa e Israele.
A tale scopo lavora da tempo l’inviato americano, cercando di creare un’alleanza tra i partiti libanesi disposti ad accettare la proposta israeliana ed eleggere a capo dello Stato l’attuale comandante dell’esercito libanese, il generale Joseph Aoun, ma ha trovato ben pochi sostenitori, il più importante dei quali è Samir Geagea, leader delle Forze libanesi, da tempo legato ad americani e israeliani.
In realtà è da anni che gli Usa – in accordo con Israele – stanno tentando di eliminare Hezbollah dalla scena politica del Paese dei cedri, usando a tale scopo anche l’arma delle sanzioni. La guerra rappresenta un’occasione d’oro per riuscire dove non sono riusciti finora, potendo usare come arma di ricatto la Paura, con un Paese sul quale piovono bombe (limitate per ora, a parte eccezioni, alle aree popolate da sciiti, ma con prospettive cupe per le altre) e che vede 1.2 milioni di sfollati, un quarto della popolazione totale, e conta già migliaia di morti (2400 una settimana fa, registrava il Timesofisrael).
Ma le forze politiche libanesi resistono e il perché lo spiega Responsible Statecraft (2), ricordando come queste siano espressione delle varie anime religiose del Paese, popolato per lo più da islamici, sciiti e sunniti, da cristiani e da drusi. In passato, le forze esterne avevano fatto leva sulla conflittualità tra sunniti e sciiti per le loro manovre, scrive RS, ma le cose sono cambiate.
Hezbollah e i sunniti libanesi
“Il sostegno di Hezbollah ai sunniti di Gaza – scrive RS – insieme alla ferocia senza precedenti dell’offensiva israeliana contro l’enclave costiera” ha cambiato le cose. Infatti, “sembra che importanti esponenti politici e i partiti sunniti libanesi ritengano di non potersi permettere di essere visti come schierati contro Hezbollah”.
[…] “Il fatto che gli sciiti di Hezbollah abbiano deciso di condurre operazioni oltrefrontiera contro Israele a sostegno della popolazione di Gaza e del movimento palestinese di Hamas, entrambi prevalentemente sunniti, gli ha fatto guadagnare il sostegno della maggior parte dei sunniti libanesi. Alcuni gruppi sunniti del Paese si sono persino uniti a Hezbollah per condurre attacchi contro Israele. L’al-Jamaa al-Islamiya libanese, una propaggine locale della Fratellanza Musulmana, si è persino coordinata con Hezbollah per condurre” attacchi.
“[…] Di non minore importanza è il pieno sostegno dell’amministrazione Biden a Israele […]. Con l’amministrazione Usa che getta tutto il suo peso, con riluttanza o meno, a sostegno della campagna militare israeliana, l’élite politica sunnita libanese non vuole che i propri nomi siano associati a una iniziativa coordinata dagli Stati Uniti per rimodellare la politica libanese, men che meno a una manovra mirata a marginalizzare il gruppo che ha mantenuto un così fermo sostegno a Gaza”.
L’aggressione all’Unifil e il tentativo di regime-change in Libano
Quanto ai cristiani, la più importante forza politica cristiana dopo quella guidata da Geagea, il Free Patriotic Movement, pur se critico di Hezbollah, ha dichiarato la sua opposizione a un presidente libanese eletto su pressione esterna e il suo leader, Jubran Bassil, ha dichiarato che l’attuale campagna di Israele non è diretta solo contro Hezbollah, ma “contro tutto il Libano”. Infine, per quanto riguarda la comunità drusa, che ha in Walid Jumblatt il suo leader storico, Rs rileva come anch’essa si stia coordinando con il partito politico di Hezbollah.
Insomma, almeno al momento, sembra precipuo il titolo di un articolo di Haaretz (3) di due giorni fa: Israele “non può contare sul Libano per finire il lavoro”.
A margine, ma non troppo, di ieri la rivendicazione di Hezbollah dell’attacco alla casa di Netanyahu a Cesarea con un drone. Vera o meno che sia, la rivendicazione toglie al premier israeliano la possibilità di accusare l’Iran dell’attacco e contribuisce a smorzare la conflittualità tra i due Paesi, già fin troppo alta.
Note:
1) https://www.haaretz.com/israel-news/2024-10-23/ty-article/.premium/close-to-mission-accomplished-in-lebanon-the-idf-is-just-waiting-for-the-outcome-of-talks/00000192-b5d2-d006-a5b3-ffda79590000
2) https://responsiblestatecraft.org/lebanon-hezbollah-bombing/
3) https://www.haaretz.com/opinion/2024-10-22/ty-article-opinion/.premium/israel-is-hurting-hezbollah-but-it-cant-rely-on-lebanon-to-finish-the-job/00000192-b06f-daee-a9fb-feff56c60000
#TGP #Libano #Israele #Hezbollah
[Fonte: https://www.piccolenote.it/mondo/libano-i-sunniti-resistono-a-pressioni-usa
Fonte: https://www.facebook.com/share/p/cDvq6dfuRgE2mjyx/
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