Facciamo un esempio.
di GABRIELE GERMANI (Pagina FB)
Ma cosa vuol dire che i rapporti sociali e storici vanno interpretati dinamicamente?
Vuol dire l’esatto contrario di quello che veniamo abituati a fare durante il periodo dell’istruzione scolastica.
Durante lo studio ci vengono descritte la storia e le società umane, come dei blocchi omogenei, mentre sarebbe più corretto immaginare i gruppi umani e i fenomeni al loro interno come una serie di vettori che vanno in diverse direzioni.
Facciamo un esempio.
Quando parliamo delle ultime elezioni USA queste vanno analizzate su più piani.
Esiste un piano di competizione interna tra blocchi di capitalisti e quindi interessi diversi; banalizzando molto: Trump risponde ad alcuni interessi vicini all’immobiliare, ma anche ad alcuni gruppi tecnologici che stanno spostando il loro asse dalla California al Texas. Kamala era legata al digitale di San Francisco, all’agroalimentare, ecc
Questo non toglie (primo elemento di complessità) che un’azienda Y possa finanziare sia il candidato A, che il candidato B.
Questo inoltre si riflette su una diversa gestione del potere: Trump terrà una linea di ritiro controllato e pragmatismo nixoniano, mentre Biden il 30 ottobre ha discusso persino l’adesione di Cipro alla NATO.
A sua volta questo si inserisce nelle diverse tradizioni dei due partiti, i repubblicani pre-Bush erano molto più trumpiani di quanto ci facciano credere; ma al contempo è innegabile che il fenomeno Trump abbia le venature del populismo occidentale post-crisi del 2007.
A questo si unisce il movimento di ascesa cinese e la coesione di interessi (anche questa dinamica e quindi conflittuale a volte) dei BRICS.
Arrighi ci insegna che si avvia un nuovo processo di accumulazione che rimpiazzerà quello USA alla fine della corsa.
Bisogna poi sgomberare il campo del discorso “fascismo”. Trump, Meloni, Milei e via dicendo, non sono fascisti; parlare di fascismo serve a creare quelle grandi ammucchiate politiche alla Fratoianni che “no, grazie”.
Ciò non toglie che questi costituiscano un nuovo fenomeno regressivo e di risposta del capitale. Li definirei piuttosto anarco-liberisti e come tali parte di un processo di ristrutturazione dei rapporti tra Stato ed economia. A mio avviso Trump sarà il Diocleziano dei tempi nostri e uno dei giochi in ballo (ma posso sbagliare) è che il nuovo gruppo dirigente con un grande arrocco passerà dal dollaro al bitcoin (che gli USA detengono privatamente e pubblicamente in grandi quantità) per provare a rilanciare una nuova fase dell’imperialismo e dell’economia nazionale.
Lo abbiamo già visto nel biennio 1971-1973.
I capitali tendono a spostarsi nelle regioni a maggior potenziale, lentamente creano sacche di competizione nella periferia (vuoi per la presenza delle risorse, vuoi per i costi che il centro ha per il controllo, vuoi per il minor costo della manodopera). Al contempo, nella periferia maturano sentimenti anti-occidentali di orientamento marxista o nazionalista-religioso che poi portano allo scontro.
Nixon risolse la pratica sganciando il dollaro dall’oro e facendo leva sulle divisioni Russia-Cina.
La presidenza Trump ci regalerà qualcosa di molto simile: un cambiamento monetario, maggior pragmatismo, meno guerre con piede a terra, più manie di grandezza e maggior controllo interno (probabilmente)
… Ma la storia è dinamica e non monolitica, esiste anche la possibilità che gli USA crollino su se stessi in un cinquantennio; già all’inizio abbiamo parlato della rivalità tra Texas e California, che si riflette in diversi modelli economici (petrolifero vs green) o sociali (Bible Belt vs fricchettoni dem).
Esiste persino la possibilità che Diocleaziano-Trump garantisca altri cento anni di funzionamento all’impero, ma inneschi egli stesso quei meccanismi che poi ne causeranno la fine (ogni soluzione porta nuove contraddizioni).
Fonte: https://www.facebook.com/share/p/15feBeuFoF/
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