Se perfino la rivista Nature ritiene il Green Deal Europeo profondamente sbagliato
di SCENARIECONOMICI (Fabio Lugano)
Perfino Nature, una rivista scientifica allineata con l’establishmente, che sicuramente non va contro corrente, inizia ad avere dei dubbi circa le politiche ambientali estremiste e insensate volute dalla Commissione Europea e votate da un Parlamento influenzato dalla Demagogia Verde, e lontano dal popolo. Potete leggere il lungo, e ben motivato, articolo a questo link.
Il riferimento al link scientifico al termine.
Che cosa dice la rivista scientifica internazionale?
Il Green Deal europeo, varato nel 2020 con l’ambizioso obiettivo di raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2050, si sta rivelando un progetto sempre più distante dalla realtà geopolitica ed economica globale, cosa che chiunque con un po’ di sale in zucca ha detto sin dall’inizio.
Nonostante le buone intenzioni, l’Unione Europea sta percorrendo una strada che rischia di indebolire la sua competitività economica senza ottenere un reale impatto sul cambiamento climatico globale, anche perché la UE conta sempre di meno sul campo economico internazionale, per cui la sua riduzione di emissioni di CO2 ha peso sempre calante.
Le principali criticità del Green Deal possono essere sintetizzate in tre fondamentali errori di valutazione:
- Illusione della Tassazione Globale sul Carbonio L’UE ha erroneamente presupposto che si sarebbe sviluppata una tassazione globale sul carbonio. Invece, la realtà è drammaticamente diversa. Mentre l’Europa implementa un sistema di scambio di emissioni con prezzi significativi, la maggior parte dei paesi mondiali non applica alcuna tassazione seria sul carbonio. Gli Stati Uniti e la Cina sono impegnati in una guerra tecnologica sulle energie verdi, offrendo invece massicce sovvenzioni per ricerca e sviluppo. Le politiche europee, come il Carbon Border Adjustment Mechanism, il dazio alla frontiera legato alle emissioni di carbonio, rischiano di penalizzare pesantemente i paesi a basso e medio reddito, compromettendo gli equilibri commerciali internazionali. L’Unione sta paradossalmente abbandonando la sua tradizionale posizione di difensore del libero scambio, sostituendola con un approccio punitivo che potrebbe portare all’isolamento diplomatico. Fatto che è già in corso, come dimostrato dalla eprdita di peso in aree chiave, come l’Africa;
- Condizioni Economiche Mutate Il Green Deal è stato concepito in un contesto di tassi di interesse storicamente bassi e debito pubblico moderato. Oggi, lo scenario è radicalmente cambiato. Il debito pubblico medio supera l’80% del PIL, con paesi come Grecia, Italia, Francia, Spagna e Belgio che hanno rapporti superiori al 100%. Questa situazione limita drasticamente la capacità di supportare finanziariamente la transizione verde. Chi paga questi investimenti nella decarbonizzazione? I Cittadini? Perché questi dovrebbero votare il proprio impoverimento? sempre che glielo permettano di fare.
- Frammentazione Geopolitica L’iniziativa europea si scontra con sfide geopolitiche sempre più complesse. L’UE dipende pesantemente da fornitori esterni per minerali critici, con la Cina che controlla il 60-80% della produzione mondiale di elementi come litio e cobalto. Inoltre, l’Europa sta perdendo la corsa all’innovazione tecnologica, con un crescente divario in termini di reddito pro capite e capacità di commercializzazione delle innovazioni. La complessità legislativa, il vanto di poter essere il “Leader nella creazione delle norme”, sta distruggendo spirito imprenditoriale e industria europea.
Le conseguenze sono evidenti: l’economia europea langue, con un tasso di crescita del reddito disponibile pro capite dimezzato rispetto agli Stati Uniti dal 2000. La demografia sfavorevole – con un’età media di 44,4 anni contro i 38,8 degli USA – e leggi rigide sull’immigrazione aggravano ulteriormente la situazione. Però le leggi sull’immigrazione sono poi aggirate, creando un substrato sociale di sicurezza esplosivo e devastante.
Necessità di un ripensamento
Gli autori, Rabah Arezki, Jean-Pierre Landau e Rick van der Ploeg, che non sono tre sovranisti con l’elmo con le corna, ma professori di importanti istituzioni universitarie europee, abbastanza vicino alla sinistra, si spingono sino ad avanzare proposte concrete per rilanciare una strategia climatica più realistica:
- Puntare su incentivi e sussidi tecnologici invece di tassazioni punitive, ma questo ignora l’iper spesa di Bruxelles, che qualcuno deve pur pagare;
- Rallentare l’imposizione di standard ambientali, posticipando le scadenze di almeno un decennio e allineandosi quindi agli obiettivi di importanti economie, come Cina e India;
- Rivalutare il nucleare, soprattutto con i nuovi reattori modulari più sicuri ed economici (questo bisognerà spiegarlo alla sinistra tedesca ed italiana);
- Proteggere e promuovere le aziende europee, consentendo loro di raggiungere economie di scala, ma noi ci permettiamo di ricordare che le economie di scala si raggiungono anche, anzi soprattutto, stimolando i consumi intenri, non solo con le fusioni e acquisizioni, che invece creano solo oligopolio;
- Costruire partnership strategiche per l’approvvigionamento di minerali critici;
- Limitare la tassazione sul carbonio ai settori non esposti alla concorrenza internazionale, cioè limitarla a settori secondari;
- Minimizzare i costi sociali, evitando che le politiche climatiche vengano percepite come un’ossessione delle élite, cosa che, effettivamente sono;
Un monito finale: se non verranno intraprese azioni correttive, le politiche climatiche europee degraderanno in mere azioni protezionistiche e punitive, inefficaci nel contrastare realmente il cambiamento climatico, e sempre più avversate a livello popolare, sino a quando la scelta sarà fra la loro implementazione la Democrazia. Con le èlite che sceglieranno sempre e comunque la linea anti-popolare.
Il Green Deal ha bisogno di un profondo ripensamento – sociale, economico e politico – per diventare davvero efficace e guadagnarsi il sostegno popolare. Chi comanda capirà questo semplice concetto?
Rif: https://doi.org/10.1038/d41586-024-03918-w
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