È passato un anno da quando constatavamo – dopo una parata del 9 maggio “tranquilla” a Mosca anche se per certi versi atipica – che la guerra sarebbe proseguita senza particolari scossoni o svolte, con le forze armate russe che lentamente espugnavano la “fortezza” di Azovstal, la roccaforte ucraina di Mariupol’, in uno degli ultimi successi militari che avrebbero avuto prima che la controffensiva ucraina, mesi dopo, riconquistasse quasi tutto l’oblast’ di Kharkov e metà di quello di Kherson, inclusa il capoluogo. Quest’anno però, oltre alle incognite sulla parata alimentate dal clamoroso attacco con droni al Cremlino, se ne aggiunge anche una potenzialmente più importante: come andrà a finire la faida tra il “capitano di ventura” Evgenyj Prigozhin, fondatore e comandante del Gruppo Wagner, e le alte sfere della ministero della Difesa russo?
Il tema non è nuovo. Ad ottobre 2022 già raccontavamo di questa frattura, venuta alla luce a partire dalle prime sconfitte russe sul campo e poi scoppiata in occasione dell’attacco ucraino al Ponte di Kerch, occasione in cui Prigozhin, con il supporto di Ramzan Kadyrov, presidente della Cecenia e al comando di un suo esercito personale in Ucraina, si scagliò contro i vertici militari, mentre sembrava che le forze dell’ordine russe iniziassero a colpire la rete di interessi legata alla Wagner. La frattura sembrò ricomporsi con la nomina del generale Surovikin al ruolo di comandante dell’Operazione Militare Speciale, nomina che sembrò reinstaurare una parvenza di ordine nelle linee russe dopo le sconfitte dei mesi precedenti, e avviò una campagna (necessaria anche se dolorosa) di stabilizzazione del fronte con la costruzione di linee difensive e il sistematico attacco missilistico contro le retrovie ucraine, inaugurando una nuova fase di guerra d’attrito.
Nel contesto di questa guerra d’attrito, l’unica significativa avanzata nel fronte, da una parte e dell’altra, è quella nella direzione di Bakhmut e Soledar (oblast’ di Donetsk) per opera esclusiva del Gruppo Wagner, con le forze armate russe solo in ruolo di supporto. Una campagna di successo – seppur molto lenta, e che ancora a inizio maggio vede le
forze armate ucraine presenti in alcuni quartieri nella parte Ovest di Bakhmut – che Prigozhin sfrutta sia per migliorare la sua immagine in Russia (e fare pubblicità ai Wagner per eventuali clienti stranieri) sia per ricominciare a dare spallate ai suoi avversari a Mosca: Valery Gerasimov, capo di Stato Maggiore delle Forze armate russe e comandante dell’Operazione Militare Speciale (declassato Surovikin al ruolo di vice, insieme ad altri due generali), e Sergey Shoigu, ministro della Difesa, agli occhi di Prigozhin rei di non fornire supporto sufficiente agli uomini della Wagner e in particolare di aver causato con la loro incompetenza, una grave mancanza di munizioni che rischia di mettere in pericolo la tenuta del settore e il proseguimento dell’avanzata.
A pochi giorni dalla Parata della vittoria del 9 maggio l’annuncio sensazionale: il Gruppo Wagner lascerà Bakhmut il 10 maggio e consegnerà le sue posizioni alle Forze armate, vista l’impossibilità di proseguire le operazioni senza un sufficiente munizionamento. Decisione poi ritirata di fronte a un impegno del Ministero, che dovrà poi essere implementato e che comunque non risolve il problema di fondo. Stiamo per arrivare ad una resa dei conti tra Prigozhin e gli ambienti della Difesa russa?
Prima di tutto va nuovamente ripetuta una cosa: quello in Russia è ancora uno scontro tra boiardi, che non tocca il cuore del potere politico russo e in particolare non tocca il suo vertice, Vladimir Putin. Naturalmente non possiamo sapere come si stia muovendo Putin per gestire questo scontro intestino che rischia di avere gravi ripercussioni su ogni fronte. Possiamo solo osservare un comportamento e dichiarazioni atte a smorzare i toni, e constatare che da Prigozhin non è (ancora) arrivato nessun attacco diretto verso il
Presidente. E successivamente va constato un fatto: Cremlino e Wagner sono in simbiosi, simul stabunt, simul cadent. Il Cremlino non può permettersi di “debellare” i Wagner, che non solo forniscono importanti risorse in Ucraina ma, fatto ancora più importante, agiscono a favore degli interessi russi nel mondo come l’esercito regolare non potrebbe, spesso autofinanziandosi siglando in proprio contratti con governi, eserciti e imprese stranieri, reclutando soldati in tutta l’ex Unione Sovietica e oltre la cui perdita non è onerosa – dal punto di vista politico ed economico – come quella di un soldato delle Forze armate. Specialmente in un momento così delicato, con una guerra esistenziale combattuta di fatto anche in territorio russo. Questi vantaggi evidentemente, nel calcolo del Cremlino, valgono il rischio arrecato da un indebolimento del monopolio della forza dello Stato russo.
D’altra parte Prigozhin correrebbe un grosso rischio a sfidare il potere politico della sua base di operazioni, la Russia, senza la quale il Gruppo Wagner non potrebbe esistere, quello stesso potere che controlla i flussi di uomini, merci e aziende che partono da Mosca e arrivano nei Paesi del Sud del mondo e che formano quell’ecosistema russo con cui il Gruppo Wagner vive in totale simbiosi. Beninteso potrebbe provarci, ma partendo da una posizione di tale svantaggio che potrebbe pregiudicare una posizione negli affari politici ed economici russi al momento molto forte.
Quello che al momento Prigozhin sta cercando di fare, almeno in base alle informazioni di cui disponiamo, è guadagnare posizioni in seno all’aristocrazia militare russa, diventarne arbitro in modo da potere, in seguito, influenzare maggiormente il Cremlino. Magari addirittura espugnarlo, con la forza prima della dipartita di Putin (politica o naturale che sia, correndo però il rischio di un collasso totale dello Stato, con le forze armate ucraine alle
porte) o per vie pacifiche, sfruttando una consolidata rete d’influenza, dopo di essa. Del resto Prigozhin può forse permettersi di aspettare, avendo solo 60 anni. Aspettare che il conflitto in Ucraina si congeli, che l’era di Putin giunga al termine, e che le varie anime del potere politico moscovita si sfidino e si accordino per trovare un successore.
Dunque Prigozhin, per liberarsi dei suoi avversari Gerasimov e Shoigu e non rischiare un disastroso scontro frontale da una posizione di svantaggio, ha ancora bisogno dell’appoggio del Cremlino, e dei vari gruppi di influenza che gravitano intorno a Putin. Il Cremlino per ora non accetta il “patto col diavolo” che vedrebbe un Gruppo Wagner sicuramente più collaborativo ma in condizione di diventare predominante e di schiacciare – ora o in futuro – i detentori del potere politico. Un equilibrio fragile, però, che potrebbe rompersi in qualunque momento.
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