Il woke si inchina a Trump: si prepara la fine dell’Ue
DA OTTOLINATV
Pensavate fossero sofisticate strategie geopolitiche e, invece, era la solita tamarrata hollywoodiana; la grande rivoluzione che ha spazzato via in quattro e quattr’otto il vecchio pensiero unico dell’establishment liberale (impersonificato da rimbamBiden) con i miliardari del popolo Trump e Musk, alla fine si sta rivelando come il più trito e ritrito dei copioni: sbirro buono contro sbirro cattivo, il classico dei classici. Anche se, a questo giro, la sequenza è invertita e già qui sorge il primo problema: di solito, infatti, ogni interrogatorio che si rispetti inizia col cattivo, quello che con le regole ci si pulisce il culo e che ti prende a pizze. E, se non cedi, ecco allora che arriva quello buono: fa il comprensivo, ti fa sentire a casa, te ti lasci un po’ andare e zac, ti fotte. Qui, invece, siamo partiti da quelli buoni, anzi, quelli democratici, come si fanno chiamare (addirittura progressisti, a volte); lascia perdere che forniscono i missili per sterminare i bambini rintanati dentro un ospedale, o che armano fino ai denti battaglioni formati da energumeni di due metri con più svastiche e croci celtiche tatuate che denti: mica lo fanno perché so’ stronzi! E’ che sono costretti; d’altronde, di fronte alle minacce alla democrazia e al progresso, sono il male minore e, tra una lettura di Kant e l’altra, hanno imparato a rispettare le regole. Vabbeh, le regole… Non esageriamo; diciamo LA regola, l’unica che conta davvero: quella del Marchese del Grillo.
Ora, sarà perché quando parti subito con lo sbirro buono il giochino non funziona, oppure perché questo sbirro buono recitava troppo male e l’hanno sgamato subito tutti, oppure perché – banalmente – con questi imputati lo sbirro buono non aveva nessuna chance a prescindere, fatto sta che, stringi stringi, il giochino non ha funzionato. Trump lo ripete continuamente da anni: mica pensavate davvero di scoraggiare degli energumeni come Putin, Xi o Kim co’ ste fregnacce! Co’ quelli altro che sbirro cattivo ce vo’! In estrema sintesi, la geopolitica trumpiana sta tutta qui: dalle dichiarazioni sull’annessione di Canada, Groenlandia e Panama, alle minacce di dazi del 100% per chiunque si azzarda a commerciare con valute diverse dal dollaro, passando per Musk che dà il pieno sostegno a qualsiasi nazistello si presenti alle elezioni nei Paesi vassalli, lo scopo, piano piano, diventa sempre più chiaro e perfettamente razionale. Come ogni sbirro cattivo che si rispetti, l’obiettivo è che l’imputato non abbia la minima idea di cosa sia disposto a fare: devi pensare che è matto come un cavallo e che non puoi fare nessuna previsione basata su un calcolo razionale. I dazi al 100% farebbero più danni all’economia USA che alla tua? Sticazzi. Te devi comunque pensare che quello è talmente matto che li metterà uguale. Annettere un territorio con la forza dichiarando esplicitamente che è solo per interessi meramente economici asfalterebbe all’istante ogni retorica sul cosiddetto ordine fondato sulle regole? Stigrancazzi al quadrato! Te devi avere paura che sono così squinternati da farlo comunque sul serio. La domanda è: basterà? E fino a che punto saranno disposti a spingersi per convincerci che sono davvero uno sbirro cattivo? E chi pagherà il prezzo?
“Trump provoca per avvisare Pechino”; “negli USA torna la politica di potenza”: con queste parole, Stefano Graziosi su La Verità di giovedì scorso si accollava l’onere di spiegare la logica dello sbirro cattivo che sta dietro gli annunci di Trump. “Con Biden, Washington non faceva più paura ai suoi nemici” continua Graziosi; “Adesso la musica cambierà”. Secondo Graziosi, appunto, le minacce avanzate da Trump di ricorrere alla forza per rientrare in possesso del canale di Panama e della Groenlandia, rappresentano “il tentativo di ripristinare la capacità di deterrenza statunitense”: “Minacciando l’uso della forza, Trump sta dicendo a Mosca, Pechino e Teheran fate attenzione, sono disposto a tutto”; “In altre parole” sottolinea ancora Graziosi “Trump vuole essere percepito come pericoloso” e imprevedibile e, punto fondamentale, inarrestabile. Il punto è che le minacce sbandierate, col loro fare da bulli, da Trump e Musk hanno dei costi spaventosi, ma, da che mondo, i costi di ogni azione non vengono equamente distribuiti tra tutti; anche nella peggiore delle disgrazie c’è sempre qualcuno che si accolla i costi e qualcun altro che, al contrario, continua a guadagnarci. Affinché le minacce di Trump rappresentino un deterrente credibile agli occhi dei veri avversari, quindi, è necessario dimostrare che chi poi sarebbe chiamato a sostenere davvero i costi di un’eventuale azione sia così sottomesso e coglione da pagare in silenzio, senza menarla tanto: il bullismo di Trump e Musk nei confronti dei Paesi vassalli si potrebbe spiegare così. Di fronte alle boutade contro i cosiddetti alleati, quel che rimane della propaganda liberale che non s’è ancora convertita al trumpismo, infatti, rimane un po’ sbigottita: ma come! Proprio mo’ che l’unico risultato che era riuscito a ottenere Biden era di ricompattare tutto il cosiddetto Occidente collettivo, ti metti a seminare zizzania? Occhio che così rimani isolato, eh? Sì, come no… Isolato come Putin. Quello che, in realtà, Trump e Musk stanno dimostrando agli avversari in modo plateale è che i vassalli, ormai, sono totalmente in balia della sindrome di Stoccolma e più li meni e più ti vengono appresso
Il caso più eclatante, come sempre, sono i Paesi europei: di fronte alla minaccia di Trump di mettere nuovi dazi, dopo 15 anni che gli USA ci fottono letteralmente tutti i risparmi e i capitali per gonfiare la loro bolla finanziaria, invece di incazzarsi – da Draghi alla Von der Leyen, passando per la Lagarde – hanno fatto pubblica ammenda e hanno dichiarato che ci saremmo sdebitati comprando tutte le armi USA che voleva e che i soldi li avremmo presi dando un’altra bella sforbiciata a quel poco che ci rimane di welfare state, che significa anche costringere la gente comune a farsi un’assicurazione sanitaria e un fondo pensione integrativo privati – e, cioè, dare altri risparmi ai fondi USA per continuare a gonfiare la bolla; e quando poi Trump ha detto esplicitamente che, Ucraina o non Ucraina, dovevamo rinunciare comunque al gas e al petrolio russo e comprare quello zozzo e costosissimo prodotto negli USA con la fratturazione idraulica, invece di sfancularlo abbiamo convinto Kiev a non rinnovare l’accordo che permetteva di far passare ancora un po’ di gas russo dall’Ucraina. Poi? Volete altro? Una fettina di culo?
Nonostante la provata sudditanza degli amministratori coloniali, però, rimaneva ancora un potenziale punto di debolezza, perché sì, ok, in tutto l’Occidente è in corso da tempo una bella svolta autoritaria e alla favoletta della democrazia, a parte i giornalisti mainstream, non ci crede più sostanzialmente nessuno; però, comunque, per ora alcuni pilastri del formalismo liberale rimangono in piedi, a partire dalle elezioni. Certo, non sono più le elezioni democratiche di una volta; leggi elettorali antidemocratiche, campagne miliardarie, l’influenza delle lobby, il sistema mediatico, la scomparsa dei partiti: tutto quello che si poteva fare per renderle inoffensive è stato fatto, scientificamente. Ciononostante, per ora rimangono e quando accetti di radere al suolo la tua economia per fare un favore a una manciata di oligarchi statunitensi, rischi di perderle.
Perché la deterrenza fondata sui bluff del trumpismo risultasse davvero efficace, bisognava mandare un segnale chiaro agli avversari che qualunque sia il prezzo che alla fine l’attuazione delle minacce comporterebbe sugli elettori delle amministrazioni coloniali, non c’è nessuna speranza che la loro rabbia si traduca nell’affermazione di una nuova classe dirigente che non soffre della sindrome di Stoccolma e che sfanculi Washington e il suo inquilino dal ciuffo arancione, che è esattamente il capolavoro politico che l’internazionale trumpiana è riuscita a fare; lo ha spiegato in modo magistrale ieri, in un articolo pubblicato da Russia Today e ripreso in Italia dagli amici dell’Antidiplomatico, il celebre giornalista ucraino dissidente Oleg Yasinsky: La fine del “wokismo – è il titolo –la nuova messinscena del sistema”. Yasinsky sottolinea come il fantomatico movimento woke sia “nato negli Stati Uniti con la partecipazione attiva della Fondazione Soros e di molte altre varie istituzioni del capitalismo neoliberale” e che a dispetto del suo significato etimologico – e, cioè, risvegliato, awakened in inglese – “è riuscito a intorpidire, più di ogni altra ideologia politica, le forze sociali del mondo, riuscendo a distogliere l’attenzione e le energie di intere generazioni”. “Parlando di femminismo, di difesa dei diritti delle minoranze etniche e sessuali e di altre cause nobili e giuste” continua Yasinsky “i rappresentanti dei woke non hanno mai osato attaccare o mettere in discussione il potere globale delle corporazioni internazionali e del capitale bancario speculativo”: ma il risultato non è stato semplicemente quello “di deviare e neutralizzare le forze sociali” potenzialmente conflittuali, in modo da addomesticarle e disinnescarne il potenziale trasformativo, ma anche quello di preparare il terreno per il passo successivo e cioè, appunto, la gigantesca crociata anti-woke che si sta scatenando sotto i nostri occhi e che sta letteralmente monopolizzando l’intero dibattito pubblico: “Dopo le follie dell’agenda woke” sottolinea Yasinsky “ora è arrivato il turno per l’estrema destra di salvare il mondo all’insegna dello slogan del ritorno al buonsenso”. Secondo Yasinsky, si tratta di un piano preciso: la declinazione analfoliberale alla Netflix e alla +Europa delle tematiche green, gender e no border, sembra essere stata costruita apposta per far incazzare come bisce le persone comuni e, in particolare, le fasce popolari; nel frattempo, la stessa agenda analfoliberale finiva di depoliticizzare le società occidentali distruggendo quel poco che era rimasto, in termini di organizzazioni collettive, delle classi popolari. Risultato: pur di vedere asfaltata a suon di buonsenso la retorica woke che ha imperversato fino ad oggi, le persone comuni sono disposte a chiudere un occhio sul fatto che le politiche sociali ed economiche proposte dalle forze politiche che guidano la crociata anti-woke li renderanno ancora più poveri e sfigati. Tanto, non è che con i liberali, da quel punto di vista, le cose andassero meglio e tanto, ormai, gli strumenti e i punti di riferimento politici per battagliare su quel terreno non esistono più. Quindi essere poveri e sfigati per essere poveri e sfigati, tanto vale almeno esserlo in un mondo dove nessuno ti guarda in cagnesco se non c’hai l’auto elettrica da 30 mila euro o se una volta ti scappa di dire che una ragazza c’ha un bel culo, o che speri che arrestino gli spaccini magrebini della stazione che si prendono a bottigliate.
La forza materiale di questo trionfo politico ed ideologico sembra talmente inarrestabile che, nell’arco di poche settimane, tutti i principali attori del capitalismo woke sono andati in pellegrinaggio presso la nuova Versailles di Mar-a-Lago e hanno garantito a King Donald e a Elon Il Grande la loro conversione, tutti appassionatamente ottimisti per questa nuova grande operazione gattopardesca che promette di cambiare tutto, perché nulla cambi. Il vento è talmente in poppa che invece di provare a capire come limitare gli spazi democratici per evitare le critiche, la nuova crociata anti-woke si è fatta, al contrario, paladina della libertà di espressione e un primo risultato incredibile che ha portato a casa è imporre addirittura a Meta di farla finita con la censura; su questo, diciamo che noi abbiamo un’esperienza diretta: fino a un paio d’anni abbondanti fa, quando ancora Ottolina Tv su YouTube praticamente non esisteva, noi su Facebook facevamo in media 100 mila visualizzazioni a video e ci campavamo le famiglie. Poi la scure della censura si è abbattuta sul canale e, oggi, di views ne facciamo 2-3 mila (quando va bene) e la famiglia la dobbiamo campare in un altro modo. Immaginate quindi la soddisfazione quando Zucky si è dovuto inginocchiare alla corte di Mar-a-Lago, reinventarsi trumpiano, ammettere che avevano ragione i complottisti e torto – guarda un po’ – gli analfoliberali e che sì, effettivamente, Meta fino ad oggi è stato uno strumento del tutto illiberale della propaganda liberale. Piccole soddisfazioni personali; a parte, però, rimane il fatto che se la censura liberale era un segnale di debolezza del vecchio ordine, questa crociata per la libertà di espressione del trumpismo è un segno di forza. Detto questo, per smorzare subito l’entusiasmo dei suprematisti che stanno già brindando perché l’Occidente collettivo a guida USA, anche a ‘sto giro, apparentemente ha trovato una possibile via di fuga dalla disfatta, è il caso di ricordare che questa gigantesca operazione gattopardesca è diventata necessaria proprio perché l’invincibile Occidente collettivo tanto invincibile – evidentemente – non è stato e una bella mazzata l’ha presa eccome: su questo credo si possa tutti convenire, cioè, l’ordine unipolare neoliberale a guida USA negli ultimi 30 anni ha permesso alle oligarchie statunitensi di arricchirsi con una rapidità e una portata che non ha pari nella storia dell’umanità.
Come abbiamo ricordato già in un altro video, nel 2007 tra i 10 uomini più ricchi del pianeta soltanto 3 erano cittadini statunitensi; oggi solo uno non lo è. Allora i 10 uomini più ricchi degli Stati Uniti avevano un patrimonio complessivo di 257 miliardi di dollari; oggi è di 1847 miliardi: Musk, da solo, ha un patrimonio di 417 miliardi, quasi il doppio dei 10 uomini più ricchi degli USA di 17 anni fa messi assieme. Questi patrimoni sono dovuti praticamente interamente al possesso di azioni in un mercato che è sempre più in mano a pochissimi e che, dal 2007 ad oggi, è più che triplicato in termini di capitalizzazione; e a rendere tutto questo possibile è stata proprio la centralità degli USA e del dollaro nell’era dell’unipolarismo e della globalizzazione neoliberista. Ovviamente, se c’è qualcuno che non aveva nessun interesse a far crollare questo sistema feudale globale erano le oligarchie USA – che fortunatamente, però, non sono sole al mondo – e anche se i lavoratori occidentali, a quanto pare, non sono più capaci di andargli a chiedere di conto, qualcun altro in giro per il mondo che, invece, di farsi schiacciare e umiliare senza proferire parola non ce n’ha più voglia, evidentemente c’è e ha trovato il modo di farsi sentire. Il punto quindi da capire adesso è: dopo che l’unipolarismo USA è stato sconfitto, cosa può ottenere concretamente la nuova corte di Mar-a-Lago per permettere al suo imperatore e all’aristocrazia che lo circonda di continuare a guadagnare una marea di quattrini sulla pelle di vassalli e servi della gleba vari? Come hanno scritto sul loro profilo X i due animatori del podcast Russians with Attitude, “La nuova amministrazione sembra avere un’immagine più realistica dello stato di declino dell’egemonia americana e vuole adottare misure proattive per cercare di contrastarlo” e il modo individuato, visto che scontrarsi direttamente con le grandi potenze emergenti del nuovo ordine multipolare (per il momento) non sembra aver dato i risultati sperati, consisterebbe appunto nell’”aumentare la pressione sui propri vassalli”: “Estrarre più valore dai vassalli, sia attraverso tariffe, che attraverso più spese per la NATO, o ancora attraverso l’intromissione nella politica locale, e addirittura per via di potenziali nuove concessioni territoriali, è un passo assolutamente logico per consolidare e rinnovare la posizione dell’America come signore supremo della sua sfera”. Insomma: Trump è l’uomo che eredita il fallimento definitivo delle mire egemoniche globali coltivate dagli USA negli ultimi decenni e che ha il compito di ridisegnare il ruolo della prima potenza mondiale in un mondo irreversibilmente cambiato.
Come scriveva ieri Pino Arlacchi sul Fatto Quotidiano, “Con Trump, l’America torna alle sue radici profonde. Che non sono imperiali, ma coloniali. La differenza non è di poco conto. L’imperialismo è universale. Il colonialismo è nazionale”. Pur sottolineando i rischi che comporta avere a che fare con “un bullo nazionalista, protezionista e ben armato”, Arlacchi comunque rimane ottimista: “Quelli di Trump” scrive “sono vaneggiamenti sulla tomba di un potere imperiale ormai svanito, e che accelerano la corsa verso la fine, invece di rallentarla”; “Con Trump l’America diventerà ancora più piccola di quanto non sia già diventata” e, alla fine, “perfino i servitori più fedeli dello zio Sam, come gli europei e i giapponesi, saranno costretti a dissociarsi da questi deliri e guardarsi intorno”. Ce lo auguriamo; le cose, però, potrebbero essere un po’ più complicate: se, come dicono gli amici di Russians with Attitude, estrarre più valore dai vassalli si rivelasse sufficiente per continuare ad arricchire le oligarchie USA senza che i cittadini dei vassalli trovino il modo di chiedere di conto perché totalmente in balia dall’ideologia anti-woke, questi nuovi USA, che sono riusciti ad assorbire le mire egemoniche dell’era imperiale senza crollare e sono tornati al vecchio, caro colonialismo, potrebbero avere gli strumenti per dividere il campo avverso.
Che Trump abbia sempre puntato a costruire un rapporto privilegiato con la Russia di Putin per tenerla lontana da Pechino non è certo un mistero, ma fino a che la sopravvivenza degli USA dipendeva dalla sua proiezione imperiale globale, quel tentativo sembrava futile; gli USA, nel perseguire le loro ambizioni egemoniche, avvicinavano Putin a Xi, volenti o nolenti. Questi USA che accettano l’idea di un nuovo ordine multipolare, al contrario, potrebbero tornare ad avere qualche chance; in tal caso, il nuovo ordine sarebbe sì multipolare, ma nella sua versione peggiore: il multipolarismo fondato sull’asse tra Cina e Russia, infatti, è un multipolarismo che vuole restituire centralità alla Carta delle Nazioni e agli organi multilaterali. E’ un multipolarismo fondato sulla cooperazione, sull’integrazione economica pacifica e sulla strategia cinese del win-win, esattamente il contrario del multipolarismo degli USA colonialisti di Trump, che non è altro che un ritorno alle condizioni che inevitabilmente hanno portato alle due guerre mondiali del secolo scorso.
La buona notizia è che questa nuova fase, potenzialmente, potrebbe riaprire spazi politici concreti all’interno dei Paesi europei: il nuovo multipolarismo belligerante di Trump, infatti, sta in piedi se – e solo se – i vassalli accettano passivamente di farsi succhiare ancora più sangue che in passato; la creazione di un’alternativa politica concreta in grado di difendere gli interessi materiali dei lavoratori europei e, in particolare, italiani potrebbe rappresentare l’ago della bilancia che impedisce alla storia di tornare indietro di un secolo e permette di passare dall’idea di un nuovo ordine multipolare (che, nei fatti, c’è già) alla possibilità concreta della riscossa multipopolare.
Quindi buon 2025 di studio e di lotta a tutti, che qui c’è una quantità di lavoro spropositata da fare e c’è un buon motivo per farla; noi, come Ottolina, cercheremo di fare del nostro meglio anche con un nuovo palinsesto che entrerà a regime dalla prossima settimana, con il ritorno del Non Tg dal lunedì al giovedì (però, questa volta, a pranzo) e con i pipponi, invece, alle 18 e 30. Intanto stiamo lavorando a pieno regime per rilanciare anche i canali di Ottosofia, per dare basi teoriche solide al nostro lavoro quotidiano, e anche il nostro canale in inglese, per permetterci di partecipare a un dibattito che necessariamente deve andare ben oltre i confini italiani; per fare tutte queste cose, però, abbiamo bisogno sempre di più del tuo sostegno: visita Associazione Multipopolare per iscriverti alla nostra associazione e partecipare alle nostre iniziative e se poi ti avanza anche qualche eurino, aderisci alla campagna di sottoscrizione di Ottolina Tv su GoFundMe e su PayPal.
E chi non aderisce è Mark Zuckerberg
FONTE: https://ottolinatv.it/2025/01/15/il-woke-si-inchina-a-trump-si-prepara-la-fine-dellue/
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