Trump è davvero pronto a negoziare con l’Iran?
di GIUBBE ROSSE NEWS (Old Hunter)
L’approccio esplorativo di Trump all’Iran, presentato come una tabula rasa, è in netto contrasto con le turbolenze del suo primo mandato da falco. Si tratta di un sincero sforzo diplomatico o di una sortita calcolata per spiazzare i suoi avversari?
di Shivan Mahendrarajah per The Cradle – Traduzione a cura di Old Hunter
In un sorprendente dietrofront, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che in precedenza aveva ordinato l’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani e ritirato unilateralmente gli Stati Uniti dal Piano d’azione congiunto globale (JCPOA), ha manifestato la volontà di riprendere i contatti con l’Iran. Le sue azioni durante il suo primo mandato hanno destabilizzato significativamente l’Asia occidentale, massimizzato le tensioni tra Washington e Teheran, consolidando ulteriormente un’eredità di sfiducia, innescato conflitti per procura e complicato le relazioni degli Stati Uniti con i suoi alleati. Eppure, nonostante queste mosse passate, o forse proprio per questo, Trump ora sembra intenzionato a ripristinare le relazioni con l’Iran, segnalando un nuovo inizio senza minacce o precondizioni. Questo, insieme al suo licenziamento dell’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Iran, Brian Hook, un esecutore di sanzioni di “massima pressione”, alla revoca delle autorizzazioni di sicurezza per i politici anti-Iran che lo avevano tratto in inganno nel suo primo mandato, e alla sua nomina di Michael Di Mino, un realista sulla politica iraniana, sono segnali positivi.
Interpretazione dei segnali
Decifrare le ultime aperture di Trump non è un compito facile, data la sua natura volubile, la gamma contrastante di segnali provenienti da Washington e la tempesta politica che circonda le sue azioni. Il Tehran Times classifica le forze in conflitto in due campi: “War Hawks” e “America First”. Cercare di interpretare l’intento di Trump sembra incerto come la scapulimanzia, leggere il futuro nelle ossa degli animali, in mezzo al rumore della sua presidenza. Alcuni sospettano che i segnali sui negoziati, riportati da un quotidiano israeliano, possano servire obiettivi strategici ben lontani dalla diplomazia. Ad esempio, potrebbero essere una tattica dilatoria per il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per negoziare il rilascio dei prigionieri o per un esercito di occupazione esausto che deve riorganizzarsi prima di qualsiasi azione contro gli impianti nucleari iraniani. Per quanto ne sappiamo, l’amministrazione Trump potrebbe pianificare di sfruttare il ritardo per consolidare nomine cruciali o preparare l’esercito statunitense a sostenere le operazioni israeliane. Le numerose infedeltà coniugali, i fallimenti, le violazioni degli accordi commerciali e il ritiro unilaterale dal JCPOA nel 2018 del presidente degli Stati Uniti lo rendono, ipso facto, un uomo infedele e un partner negoziale discutibile. Affinché Teheran prenda in considerazione l’impegno, Trump deve offrire un autentico gesto di buona fede, come la revoca delle sanzioni sul petrolio iraniano o la riconnessione delle banche iraniane allo SWIFT. Mentre codificare l’alleggerimento delle sanzioni tramite il Congresso sarebbe l’ideale ma è anche altamente improbabile.
Il punto di vista della Repubblica islamica
Nel frattempo, l’amministrazione del presidente iraniano Masoud Pezeshkian non ha fatto mistero della sua apertura ai negoziati, con le fazioni riformiste che sostengono attivamente il dialogo. L’ex ministro degli esteri e attuale vicepresidente per gli affari strategici, Mohammad Javad Zarif, un favorito a Washington, ha recentemente fatto appello a Trump affinché riprenda i colloqui sul nucleare. Tuttavia, questa impazienza non fa che indebolire la posizione negoziale di Teheran, poiché gli istinti predatori di Trump sono rapidi a sfruttare la disperazione. L’approccio riformista del 2015, che ha concesso all’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama e a Netanyahu un’ampia leva senza garantire adeguati benefici, serve come un amaro promemoria dei rischi. Anche il licenziamento di Brian Hook è aperto all’interpretazione, così come le misure punitive contro i falchi John Bolton, Mike Pompeo e 50 ex alti funzionari dell’intelligence e dell’esercito, che possono essere spiegate con l’adagio politico “premia i tuoi amici, punisci i tuoi nemici”. La nomina di Michael Di Mino da parte di Trump a Vice Segretario aggiunto della Difesa per il Medio Oriente ha suscitato entusiasmo negli ambienti dell’America First e isteria nei circoli Israel First. Di Mino ha espresso opinioni razionali nei confronti dell’Asia occidentale. Una delle sue principali “eresie” è che la regione “non è realmente” importante per gli interessi degli Stati Uniti.
Il “Medio Oriente” ha importanza?
Anche un esame superficiale dell’osservazione di Di Mino ne rivela la verità. Il Nord America (Stati Uniti e Canada) ha abbondanti riserve di petrolio e gas per il consumo interno. Gli Stati Uniti non hanno bisogno di importare una goccia di petrolio greggio o un millimetro cubo di gas naturale, se vengono eliminate le restrizioni su “energia verde” e “cambiamenti climatici”, da qui la promessa di Trump di “trivellare, tesoro, trivellare” e abbandonare gli accordi di Parigi sul clima. Gli Stati Uniti sono un esportatore netto di petrolio e gas. Per fare un esempio, in seguito all’atto di terrorismo di stato dell’amministrazione Biden contro la Federazione Russa il 26 settembre 2022, con il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, gli Stati Uniti hanno iniziato a fornire all’UE gas naturale liquefatto (GNL), che rappresenta il 50 percento delle importazioni europee del 2023. Il petrolio e il gas dell’Asia occidentale non sono imperativi per il Nord America. Le basi militari statunitensi nell’Asia occidentale esistono principalmente per proteggere Israele. Le basi di Incirlik e Izmir in Turchia riflettono gli impegni della NATO. La base di Al-Udayd in Qatar è stata ampliata nel 2001; Al-Dhafra, negli Emirati Arabi Uniti, è stata sviluppata nel 2002; il porto marittimo in Bahrein nel 2003, la base aerea nel 2009; e la base aerea Prince Sultan e basi più piccole in Arabia Saudita sono state ampliate. Questa espansione era per la “Guerra globale al terrorismo” (GWOT) e per “contenere” l’Iran. Tuttavia, nonostante la fine della GWOT nel 2021, le basi prosperano ancora. Il Kuwait ha perso circa dieci basi dal suo picco della guerra in Iraq, ma circa 14.000 militari statunitensi rimangono a Camp Arifjan, alla base aerea di Ali al-Salem e in altre quattro basi. Gli avamposti di occupazione illegali degli Stati Uniti in Siria e la loro sgradita presenza in Iraq esistono solo per “contenere” l’Iran. Chi paga per queste basi? Non Israele. Le truppe di quale paese sono in pericolo in Siria, Iraq, Qatar, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti? Non Israele. Chi ne trae vantaggio? Di certo non gli Stati Uniti.
Fattori politici e militari che possono influenzare Trump
Le recenti dimostrazioni di capacità militare dell’Iran complicano qualsiasi piano di azione militare. Durante le operazioni True Promise I e II, il suo programma di missili balistici si è dimostrato in grado di penetrare le difese israeliane e i suoi avanzati sistemi di difesa aerea hanno sventato un attacco israeliano nell’ottobre 2024. Anche se la propaganda potrebbe suggerire il contrario – ovvero che Israele “ha deriso i missili iraniani definendoli ‘rozzi’ nonostante il fatto che i proiettili abbiano penetrato in massa la difesa aerea israeliana e colpito obiettivi sensibili” – la capacità dell’Iran di organizzare una risposta devastante all’aggressione rimane chiara. Di Mino è stato criticato per aver affermato che l’attacco dell’Iran era “abbastanza moderato“, ma l’ex analista dell’intelligence Lee Slusher è d’accordo:
“Che l’Iran non abbia eseguito un assalto catastrofico e di vasta portata è stato erroneamente interpretato come una mancanza di capacità anziché come un segno di moderazione. L’Iran ha risposto alle provocazioni di Israele comunicando che non voleva una guerra più ampia e, cosa fondamentale, anticipando alcune delle sue capacità offensive di alto livello”.
Allo stesso tempo, la reputazione di Israele a livello mondiale ha subito un duro colpo, poiché gli americani, sia liberali che conservatori, si sono stancati del coinvolgimento degli Stati Uniti nell’Asia occidentale.
Rendere l’America nuovamente affidabile
Il sentimento pubblico contro gli intrighi stranieri si estende al sostegno finanziario e militare per l’Ucraina e Israele, che molti americani considerano un peso per le risorse degli Stati Uniti. La base di Trump, in particolare, ha poca pazienza per le “guerre eterne” nella regione. Se Trump è serio nel negoziare con l’Iran, deve prima ricostruire la fiducia attraverso concessioni unilaterali. Per Teheran, questo potrebbe includere l’annullamento delle sanzioni o il ricollegamento ai sistemi finanziari globali. Senza tali gesti, lo scetticismo persisterà da entrambe le parti. In ultima analisi, Trump potrebbe scoprire che impegnarsi nella diplomazia, piuttosto che in un’altra guerra, è l’unica via praticabile. Resta da vedere se le sue azioni rifletteranno questa consapevolezza. Se Trump ascolta gli americani e riceve consigli sensati sulle capacità missilistiche e sulle difese aeree dell’Iran, troverà opportuno negoziare ed evitare una guerra che gli Stati Uniti alla fine perderanno in un conflitto lungo e costoso.
Fonte: https://giubberossenews.it/2025/01/29/trump-e-davvero-pronto-a-negoziare-con-liran/
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