Questo post torna a parlare di soft skills a scuola, di modello Big Five e dell’idea che sia possibile matematizzare e misurare i “tratti del carattere” degli studenti, preferibilmente quanto prima, perché le “competenze socio-emotive” sono malleabili e modificabili da interventi educativi intenzionali. Partite in ambito internazionale, queste nuove indagini standardizzate sono arrivate anche in Italia, in alcune scuole campione selezionate dell’INVALSI, su studenti di 11 anni. Ci viene detto che misurare le soft skills, anche grazie alle nuove tecnologie digitali, contribuirà alla promozione del benessere psico fisico e del successo professionale dei nostri alunni. E che queste misure miglioreranno anche l’equità del nostro sistema educativo. Noi pensiamo invece che raccogliere dati sulle competenze caratteriali e costruire un database pubblico sui “tratti non cognitivi” degli studenti da “mettere a disposizione di attori pubblici e privati” non sia affatto una buona idea. Anche se per adesso si tratta di un progetto pilota, la storia dei test INVALSI ci ha insegnato che da una piccola sperimentazione può nascere un intero sistema di misurazione.
Il nuovo progetto sperimentale dell’INVALSI si chiama ENRICH, e sta per: Evaluating non cognitive skills for Resilience Innovation and Change. Un altro acronimo che arriva nelle scuole, precisamente nelle scuole medie, classi prime, bambini di 11 anni e prevedrà la misurazione standardizzata di alcune “competenze socio emotive”.
La sperimentazione nasce da una collaborazione, ed è stata presentata al pubblico il 27 Settembre scorso (qui il link al webinar e qui i link alle presentazioni). Altri dettagli sono stati forniti poi alle scuole interessate (qui).
1) Cos’è ENRICH, qual è il ruolo dell’INVALSI e quali sono gli obiettivi
L’INVALSI la definisce “indagine pilota”, parte di un macroprogetto denominato a sua volta GRINS (Growing resilient, inclusive and sustainable), che è un “partenariato esteso” pubblico/privato del PNRR, il cui obiettivo è lo sviluppo di:
“un insieme integrato di basi di dati eterogenei geo-referenziati per lo studio delle condizioni economiche e sociali dei territori italiani e del sistema economico” da “mettere a disposizione di attori pubblici e privati”.
A partire da quei dati sarà possibile generare conoscenza utilizzabile, trasferibile e interrogabile anche grazie all’Intelligenza Artificiale.
Cosa c’entrano le “competenze caratteriali” degli studenti di prima media?
Dalla presentazione apprendiamo che l’INVALSI si occuperà della sezione relativa all’”Integrazione Dati Scuola-Università-Lavoro” e:
- costruirà una base dati “relativa alle competenze socio emotive degli studenti (dataset ENRICH) ed un dataset integrato (ENRICH+) con i dati rilevati da INVALSI sugli apprendimenti”,
- Poi condurrà “analisi statistiche per esplorare le determinanti delle competenze socio-emotive, con un focus particolare sul background socioeconomico, gli aspetti cognitivi e le differenze di genere”.
E’ “fondamentale costruire un database di dati non strutturati [..come..] tratti non cognitivi o aspettative della popolazione, che generalmente sono argomenti di sondaggi, limitati nel tempo e fatti da privati”
ovvero dati non indagabili tramite statistiche ufficiali, tipo ISTAT o amministrative.
Avere un database pubblico consentirebbe di:
“superare i problemi di privacy che rendono difficile il matching tra diversi dataset e statistiche”.
E’ quanto afferma dichiara Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, già fondatore della Compagnia delle Opere, nel suo intervento.
Siamo dunque dinanzi alla costruzione di una nuova infrastruttura digitale, capace di dialogare con altre banche dati e di generare informazioni a partire da diversi indicatori, tra cui i punteggi dei test sulle competenze sia cognitive che non cognitive dei nostri studenti, misurate dall’INVALSI.
Si amplia quindi la tipologia di dati raccolti, aggiungendo oltre alla cosiddette “competenze hard” (matematica inglese, italiano) anche le “competenze soft”, “le virtù caratteriali”, in modo da delineare meglio i profili degli individui oggetto dei test. E per iniziare, si parte con un piccolo segmento della popolazione scolastica.
L’indagine ENRICH sarà campionaria e avrà come popolazione target: gli studenti di 11 anni che frequentano la prima media delle scuole selezionate in diverse aree geografiche, anche se verrà data l’opportunità alle scuole che lo vorranno di partecipare con tutte le classi dell’istituto, al di fuori del campione. Si tratta di una scelta in passato già operata dall’istituto, non di poco significato, perché contribuisce a costruire una “normalizzazione” delle misurazioni svolte.
ENRICH, sulla falsariga delle indagini OCSE, si baserà su questionari proposti in modalità digitale tramite piattaforma Limesurvey. Dopo la raccolta dati, la pulizia e revisione, la generazione del dataset, seguiranno analisi, reportistica e distribuzione nelle scuole. La fase finale sarà quella di disseminazione, costruzione articoli, report e convegni. Fine prevista dicembre 2025.
In rete è possibile ricavare alcune circolari scolastiche delle scuole aderenti (qui, ad esempio) e l’informativa del trattamento dati.
2) Il Quadro di riferimento delle competenze socio emotive: poca chiarezza e confusione concettuale
Non ci sono attualmente informazioni dettagliate.
Quel che sappiamo dal webinar è che l’INVALSI si muoverà sul solco dell’indagine internazionale sulle Socio Emotional Skills dell’OCSE (di cui avevamo già parlato su questo blog) basato sostanzialmente sul cosiddetto Modello Big-Five, i 5 fattori chiave ricorrenti nella letteratura psico-econometrica: coscienziosità, estroversione, stabilità emotiva, apertura mentale, amicalità.
Alla base delle indagini OCSE c’è l’assunzione che i dati sulla personalità, raccolti su larga scala, siano predittivi del potenziale progresso sociale ed economico di un paese e che l’apprendimento socio emotivo rappresenti una rivoluzione didattica, sempre più personalizzata, grazie all’uso di tecnologie e piattaforme educative.
Proprio la Fondazione per la Scuola, Compagnia di San Paolo [1], presente al convegno, sta finanziando la rilevazione internazionale dell’OCSE (Survey in Social and Emotional Skills) su campioni di studenti di 10 e 15 anni delle regioni Emilia Romagna e Piemonte [2], arrivata oggi al suo “terzo round”.
Nel seminario informativo viene condiviso il quadro di riferimento teorico (mutuato dal quadro OCSE) in cui sono indicate con spunta verde le competenze da misurare.
Non viene data alcuna definizione, nessun approfondimento sugli strumenti di indagine che verranno utilizzati. In un altro documento, denominato “La restituzione dei risultati alle scuole”, reperibile in rete, possiamo trovare qualche descrittore o indicatore aggiuntivo della tassonomia scelta dall’Istituto.
Ad esempio, ricaviamo che la misura dell’ “apertura mentale” dei bambini sottoposti all’indagine è la combinazione della “competenza curiosità” (apprendere cose nuove e scoprirne il funzionamento) + “competenza creatività” (attitudine all’esplorazione, intuizione, soluzioni originali); che la “performatività” degli studenti sarà una combinazione della “competenza persistenza” (portare a termine le attività) + la “competenza responsabilità” (rispettare gli impegni, puntualità, affidabilità); che la misura della “regolazione emotiva” dei bambini dipenderà dalla “competenza resistenza allo stress” (capacità di modulare l’ansia, risolvere con calme problemi) + “competenza ottimismo” (aspettative positive su di se e sulla vita). E così via.
L’assenza di chiarezza definitoria non dipende dai relatori, funzionari INVALSI, professori universitari o dirigenti di Fondazioni che da anni si occupano di politiche educative, ma è insita negli stessi programmi sulle soft skills che stanno proliferando nelle politiche educative a livello globale.
Nel seminario INVALSI, le indagini sulle competenze socio emotive ci vengono presentate come strumenti trasformativi che spingeranno gli studenti verso migliori risultati accademici e realizzazione personale, ma le affermazioni restano deboli, apodittiche e dogmatiche. Ciò che emerge, invece, come a molti sembrerà ovvio e come testimonia il dibattito internazionale (vedi ad esempio qui, qui, qui o qui), è la scarsa coerenza teorica dei costrutti; il fatto che non esiste alcun modo affidabile, “oggettivo” e condiviso per misurare tratti caratteriali della personalità degli studenti, i loro valori e mentalità. Non si riesce nemmeno a concordare sulla definizione lessicale di queste “nuove competenze”, come è evidente dalla pluralità di termini con si tende a designarle (soft skills, characher skills, life skills, competenze trasversali…): la Fondazione per la Sussidiarietà continua a chiamarle “character skills”, mentre la Fondazione per La scuola preferisce “socio emotional skills”, sulla scia dell’OCSE.
La confusione concettuale è sostenuta dall’ armamentario retorico positivo, oggi egemonico, (enfasi sul benessere, empatia, collaborazione, socievolezza, amabilità contro lo stress, l’ansia, il “nevroticismo”, la conflittualità ) che consente richiami generalisti all’importanza del riconoscimento delle emozioni in ambito scolastico e lascia grande flessibilità nelle prese di posizione, che possono così soddisfare interessi e interlocutori differenziati, politicamente trasversali.
Anche in quello che il moderatore, Presidente INVALSI, chiama “dibattito” a conclusione della giornata, non c’è ombra di distanza o di esitazione nell’adesione al quadro imposto. Come sempre, non c’è alcun contraddittorio.
“E’ un tema complesso e scivoloso”, è la dichiarazione più critica che ascoltiamo.
Ma “proprio perché stiamo parlando di qualcosa di scivoloso, la rigorosità scientifica, almeno sotto il profilo statistico, aiuta”, afferma Giorgio Vittadini.
Il rimedio all’insufficienza teorica risiede nell’uso di quelle che Cathy O’Neil ha chiamato armi di distruzione matematica, cioè nella potenza persuasiva dei metodi econometrici, oltre che nel principio di autorità (dell’OCSE) e nell’attitudine alla subordinazione all’ordine internazionale, che vale anche nel caso del Ministero del Merito.
3) Le motivazioni dichiarate
L’inferno è sempre lastricato di buone intenzioni.
Le motivazioni addotte durante il seminario possono essere ricondotte a due principi:
- il primo, di ordine morale, ben noto, è quello dell’equità. Misurare ANCHE le soft skills in maniera standardizzata, contribuirebbe a rendere più equo il nostro sistema scolastico perché consentirebbe di matematizzare le correlazioni tra risultati, storie di vita, ambienti, comportamenti e atteggiamenti degli studenti e dunque costruire nuove inferenze e nuove policy educative, sempre più efficaci perché intimamente personalizzate.
- la seconda, di ordine concreto, è rispondere alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro. “Secondo una ricerca Unioncamere Excelsior (2020), gli imprenditori considerano le soft skills altrettanto importanti, se non più rilevanti, delle competenze tecniche, con flessibilità, lavoro in gruppo e problem-solving tra le più richieste”. Con l’Intelligenza Artificiale, ancor di più, bisognerà puntare sui tratti umani che distinguono il lavoratore dalla macchina.
Le soft skills “sono insegnabili”, ci spiegano all’INVALSI. Non si insegna più solo perché si impari qualcosa, ma si insegna anche ad essere.
I tratti personali sono modificabili da un’azione intenzionale e avvertita dell’insegnante e della comunità educativa: sono tanto più malleabili quanto più piccoli sono gli esseri umani con cui si lavora. Insegnare le soft skills è tanto più importante quanto più fragile e svantaggiato è il contesto di provenienza dello studente. Chi nasce senza capitale sociale, culturale, familiare, relazionale, chi è “fragile” nelle competenze cognitive, potrà sempre contare sul suo capitale psicologico: sulla sua resilienza, sulla capacità di adattamento e grinta. “Insegnare ad essere” significa che in un mondo sempre più difficile e incerto, nell’era dell’Intelligenza Artificiale, bisogna imparare a mobilitare e dare forma all’insieme delle risorse psichiche, emotive e intime dei soggetti in formazione. Un’idea di scuola a metà strada tra l’ingegneria sociale e l’educazione terapeutica alle “emozioni più appropriate” per affrontare le sfide del futuro.
4) Come saranno i questionari INVALSI?
Non sappiamo come saranno costruiti i questionari che verranno somministrati e in che misura saranno ripresi da quelli già sperimentati dall’OCSE. Non ci sono informazioni circa i loro contenuti, le modalità di analisi ed elaborazione dei dati. Sono pubbliche le istruzioni e le procedure che ciascuna scuola dovrà eseguire, non i contenuti della sperimentazione.
Con l’INVALSI, ormai lo sappiamo, l’opacità è la regola. Infatti, da quando le prove sono state digitalizzate, nel 2018, non abbiamo più contezza dei contenuti e dei metodi di correzione e revisione dei punteggi dei test individuali sulle competenze “hard” (matematica, italiano, inglese) che hanno addirittura valore certificativo. Difficile pensare di trovare trasparenza e condivisione in un’indagine sperimentale.
Qualche ipotesi però possiamo farla.
La ricercatrice INVALSI responsabile del progetto è Patrizia Falzetti, di cui ricordiamo un intervento del lontano 2018 sul questionario studente proposto in occasione dei test svolti in quell’anno.
Si trattava di un’insolita raccolta di quesiti, che indagavano “tratti caratteriali” come l’ansia, il senso di autoefficacia (sono un ragazzo sveglio? Sono capace di pensare in fretta?..), il rapporto coi compagni di classe (mi sento accettato? Mi posso fidare di loro?), il supporto genitoriale di tutti gli studenti italiani sottoposti ai test. Un quesito in particolare destò notevole sensazione, soprattutto pensando all’età degli studenti a cui veniva rivolto, bambini di 10 anni. Era il quesito dei soldi, da cui si originò un dibattito pubblico.
Furono in molti, e noi tra questi, a ritenere (a dir poco) inopportuna l’introduzione di domande di tipo psicologico senza alcuna spiegazione pubblica. L’informativa resa alle famiglie per il trattamento dei dati personali dei loro figli quell’anno non menzionava nemmeno l’aggiunta dei nuovi quesiti. Non esiste, a nostra conoscenza, alcun precedente scientifico, nazionale o internazionale, di rilevazioni di massa di tipo psicometrico-motivazionale.
Oggi, a distanza di 7 anni, e vista l’evoluzione delle politiche educative, possiamo ritenere quel primo tentativo azzardato come l’inizio di un percorso: quello della misura standardizzata delle soft skills.
Da allora molto è accaduto in Italia (in appendice a questo post una breve sintesi) e a livello internazionale. L’onda lunga dell’apprendimento socio emotivo con la sua raccolta di “psicodati” istituzionalizzata è arrivata, e a cominciare saranno gli studenti undicenni selezionati dal campione INVALSI. Forse, i futuri questionari proposti saranno simili ai primi “sondaggi non cognitivi” utilizzati dall’INVALSI nel questionario studente del 2018.
5) Predizioni
Non solo i costrutti e gli obiettivi dell’apprendimento socio emotivo sono mal definiti e poco convincenti, ma sollevano anche preoccupazioni. L’infrastruttura psicologica, economica e statistica dell’apprendimento socio emotivo è irrimediabilmente intrecciata a quella digitale. I problemi riguardano la tutela della privacy di dati altamente sensibili, il consenso adeguatamente informato da parte dei genitori, il diritto alla conoscenza delle finalità, degli usi futuri e quello alla cancellazione dei propri dati. Da un punto di vista educativo, produrre statistiche a partire da dati relativi a caratteristiche emotive e alimentarne il peso politico rafforza i bias preesistenti, irrigidisce i condizionamenti, rischia di consegnare facilmente all’ambito della patologia o della devianza atteggiamenti, traumi, disordini, ambivalenze, di auto alimentare determinate visioni, normalizzazioni e semplificazioni di sé.
Sappiamo che la mancanza di coerenza scientifica e i problemi di carattere etico legati alla matematizzazione e misurazione standardizzata dei tratti caratteriali degli studenti non limiteranno le politiche sulle soft skills. Questo perché le riforme educative “a pezzettini” che avanzano da almeno tre decenni, si muovono con la persistenza del mito, intrecciate ad un potente immaginario, ma producono un’ agenda sostenuta da forze ed interessi materialmente assai concreti (qui alcune tendenze sul mercato del socioemotional learning e dell’Ed Tech). Ad esempio, negli Stati Uniti , tutti i 50 stati hanno adottato le competenze socio emotive nei loro quadri curricolari e in 27 stati le competenze socio emotive sono parte dei loro standard per tutti gli studenti, dalla pre-K fino al 12° anno.
Ma sappiamo anche che esistono ancora spazi e contesti in cui esercitare la critica. Tra genitori e con gli studenti più adulti è possibile contribuire ad attivare la consapevolezza dei rischi e dei pericoli di etichettatura precoce e profilazione in campo educativo, l’attenzione alla privacy, il diritto ad un trattamento regolato e informato dei dati personali, la diffidenza verso programmi governativi di “psicologia da tavolino”. Ne abbiamo avuto prova con la sollecitazione pubblica e il recente intervento proprio sui test INVALSI e la classificazione degli studenti, da fragili a eccellenti, da parte del garante della privacy, al quale l’Istituto non ha pubblicamente risposto.
La prospettiva di costruire e alimentare una banca dati sempre più completa che contenga informazioni puntuali su studenti minorenni, la possibilità di matching e interoperabilità tra dataset impongono vigilanza e preoccupazione. Il tema dell’etichettatura individuale è ineludibile.
Questa è la risposta dell’INVALSI: ci lascia tranquilli?
Appendice: Breve storia italiana delle soft skills a scuola
Il tema delle soft skills non è nuovo ai lettori del blog. Ne abbiamo scritto in più occasioni, qualche tempo fa. Da tempo le politiche educative si concentrano sempre più sullo sviluppo e la misurazione delle competenze legate al “social-emotional learning” (SEL), un termine che designa competenze “non cognitive” o “non accademiche” come la determinazione, la resilienza, la mentalità orientata alla crescita, oltre a qualità personali, tratti della personalità e determinanti comportamentali psico-emotivi. Sono già state progettate dall’OCSE indagini di misurazione standardizzata sulle competenze non cognitive, sui bambini sugli adulti e attualmente sugli studenti di 10, 15 anni, in diversi Paesi. Anche se l’OCSE presenta la sua attenzione all’apprendimento socio-emotivo in termini positivi incentrati sul bambino, le sue metodologie restano saldamente radicate nella tradizione psicometrica quantitativa della misurazione della personalità. “L’apprendimento socio emotivo è per l’OCSE una proxy per il valore socioeconomico e le organizzazioni internazionali cercano dati statistici sulle caratteristiche psicologiche e sull’intelligenza emotiva richieste dai mercati del lavoro per massimizzare il potenziale produttivo in un futuro dominato dall’intelligenza artificiale.
(Vedi: Ben Williamson “Psycodata disassembling the psychological, economic, and statistical infrastructure of ‘socialemotional learning’, Journal of Education Policy, 2019. Qui una sintesi sul nostro blog)
La misurazione di queste competenze “soft” preparata a livello internazionale procedeva anche in italia. Nel 2018 cominciavano le grandi manovre. La pandemia di Sars-Cov-2 impose un rallentamento, mentre iniziavano le prime sperimentazioni (in Trentino, ad esempio, report finale qui).
La Fondazione per la Scuola, Compagnia di San Paolo finanziato e collaborato alla rilevazione internazionale dell’OCSE (Survey in Social and Emotional Skills) su campioni di studenti di 10 e 15 anni delle regioni Emilia Romagna e Piemonte.
La casa editrice il Mulino, nella collana finanziata dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, pubblicava nel 2021 un testo dal titolo Viaggio nelle characher skills, a cura di Giorgio Vittadini, Anna Maria Poggi e Giorgio Chiosso.
Intanto, in occasione dell’introduzione del curriculum dello studente, sulla stampa si tornava a parlare dell’importanza delle soft skills. Proprio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, firmava due editoriali dal titolo “Una rivoluzione alla Maturità: voto al carattere” e “Le nuove vie dell’apprendimento” e Gabriele Toccafondi, Deputato di Italia Viva, sostenitore della Buona Scuola renziana, faceva un elenco delle priorità scolastiche dopo l’emergenza: “Alternanza scuola lavoro, Its, istituti tecnici e professionali, formazione e apprendistato, metodologie didattiche come le “character skills”. Tutte priorità accolte dall’agenda politica del PNRR:
Proprio nell’estate del 2021 alla Camera dei Deputati l‘intergruppo parlamentare per la sussidiarietà teneva un seminario sulla proposta di legge “Lo sviluppo delle competenze non cognitive”. Tempo 6 mesi, gennaio 2022, la Camera approva . L’iter interrotto dal cambio di legislatura riprende nel 2023 e infine il Senato approva infine nel novembre 2024.
Qui il testo approvato, dal titolo: “Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi delle istituzioni scolastiche e dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti nonché nei percorsi di istruzione e formazione professionale” e qui i dettagli dell’iter parlamentare in corso.
[1] Nel cui Consiglio di Amministrazione siede il Presidente dell’INVALSI.
[2] Qui e qui i report dell’indagine OCSE italiana finora e qui la registrazione della presentazione dei risultati italiani, svolta il 18 Dicembre scorso, in presenza dell’INVALSI e del Ministero e di Andreas Schleicher, direttore per l’istruzione e le competenze presso l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
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