L’accaduto ci sconvolge perché ha rubato la vita di due connazionali e di un diplomatico come Attanasio che, ancora giovane, aveva già lavorato in luoghi complicati (la Nigeria, per esempio) e che con la moglie Sadia Zeddiki proprio in Congo aveva fondato un’associazione, Mama Sofia, per aiutare i bambini. Rientra, però, nella crudele «normalità» di quelle terre, che a quanto pare nessuno riesce a pacificare. Abbiamo detto della missione Monusco: i peacekeeper dell’Onu hanno perso finora un centinaio di uomini, quasi tutti indiani o pakistani, ottenendo peraltro scarsi risultati. E gli attacchi come quello di cui stiamo parlando, in quella zona, sono stati negli ultimi anni innumerevoli. Nell’aprile dell’anno scorso, sempre nel Virunga, decine di miliziani delle solite Forze democratiche colpirono un convoglio scortato dai ranger congolesi, facendo sedici vittime. Altri sei ranger sono stati uccisi nel gennaio scorso, sempre in quel parco che del resto, nel 2018, era stato chiuso per otto mesi proprio a causa delle continue violenze.
C’è di mezzo, ovviamente, anche l’impotenza del Governo congolese, che si trova alle prese con problemi assai più grandi delle sue capacità. In questi casi, di solito, s’invoca l’intervento di quell’entità indeterminata e provvidenziale che chiamiamo «comunità internazionale», in genere per scoprire che è già intervenuta (l’Onu, appunto) senza risolvere molto. Il problema è che l’Africa è stata insanguinata da un’infinità di conflitti etnici che dimostrano, come ha scritto Tim Marshall, che «l’idea europea della geografia politica africana non ne rispecchiava la realtà demografica». In altre parole, l’imposizione dello Stato nazione attraverso il colonialismo ha inasprito le rivalità etniche al posto di placarle. E nel cuore dell’Africa c’è appunto quel «buco nero» (ancora Marshall) che si chiama Repubblica democratica del Congo: 105 milioni di abitanti, 200 gruppi etnici, un territorio più vasto di Spagna, Germania e Francia messe insieme che è una miniera a cielo aperto. Ci sono molte ragioni per essere pessimisti ma nessuna buona ragione per restare inattivi. La stabilizzazione dell’Africa, ovvero l’equilibrio demografico, economico e politico del mondo, dovrà prima o poi diventare una priorità.
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